Cradle Of Filth
Darkly, Darkly, Venus Aversa

2010, Peaceville Records
Gothic

In un piccolo villaggio, forse un paesino di mare, ha inizio il nuovo racconto gotico...
Recensione di Marco Somma - Pubblicata in data: 24/10/10

Oscuri cantastorie, i Cradle Of Filth tornano più maturi che mai a raccontarci una storia di paura, seduzione, mito e leggenda. I Nostri, nel corso della loro carriera quasi ventennale, hanno visto e toccato con mano l’oscurità, tanto da riuscire a narrarla scatenando emozioni attraverso pancia e timpani, tessendo le trame di un’avventura del tutto originale. Liberi da ogni sorta di vincolo burocratico e concettuale, Dani Filth e soci abbandonano per un attimo le fonti storiche e tornano a pescare nel mito per scrivere alcune tra le righe e le note più dirette, gradevoli ed eccitanti degli ultimi dieci anni.

Se, come il sottoscritto, avete avuto modo di ascoltare il singolo che ha accompagnato con il suo videoclip la campagna promozionale del nuovo Cradle Of filth (stiamo parlando, ovviamente, di “Forgive Me Father (I Have Sinned)”), probabilmente vi sarete già fatti un’idea di ciò che potreste trovare tra i solchi di “Darkly, Darkly, Venus Aversa”… e quasi certamente siete stati mandati fuori strada! Sebbene il disco non manchi una certa orecchiabilità, il singolo non si avvicina neppure lontanamente al valore dell’opera nella sua interezza. Solo undici tracce, a discapito delle tracklist sovrabbondanti delle produzioni metal degli ultimi anni, una scelta, questa, che suggerisce già un intento di fondo volto a privilegiare la qualità, piuttosto che la quantità. Ulteriore prova di una controtendenza rispetto al passato è l’assenza della classica introduzione strumentale, accantonata in favore di una rapida presentazione della protagonista assoluta del nuovo disco: la dea-demone Lilith!

I am She, Lilith, Mistress of the dark, of Sheba. First offender and succour to demons”.
 
Un sottofondo di note  incantate intessute da un clavicembalo ci avvolge subito in un'atmosfera vittoriana, nel pieno di quel nebbioso ottocento inglese immortalato dalla penna di Edgar Allan Poe e Ann Radcliffe, ricco di morti, leggende secolari e maledizioni. La voce seducente della Dea, lascia subito spazio alla furia della musica. Le urla, i controcori, la batteria e le sessioni ritmiche serrate al massimo entrano in scena tutti in un istante accompagnati fin da subito da quelle tastiere che saranno un leit motiv del disco. “The Cult Of Venus Aversa” è un brano a tratti spaventosamente potente ma con una quantità di inserti melodici che non si contano. I riff di Allender fanno e faranno per tutto il disco comunella con le tastiere della bella Ashley Ellyllon, che incredibilmente non hanno molto da invidiare a quelle di Powell.

Per quanto riguarda il concept del disco, trattandosi di una storia originale, sarebbe un vero delitto svelarvela in anticipo. Non so voi, ma io odio le persone che ci raccontano la trama di un libro prima ancora di averci lasciato la possibilità di leggerlo. Diciamo solo che si tratta di un racconto gotico che inizia in un piccolo villaggio, forse un paesino di mare, per poi dipanarsi tra le pieghe del tempo. Al centro della storia c’è la rinascita della Dea. Detto questo, non potendo procedere nella disamina della storia con conseguente “vivisezione” di ogni singola traccia, posso solo anticiparvi che si tratta di un racconto dai toni epici che mescola atmosfere da vecchio cinema horror ad un approccio più brutale, come quello delle avventure di Solomon Kane di Rober Howard.

Dedichiamo dunque piena attenzione alla musica. La seconda traccia “One Foul Step From the Abyss”, un po’ più easy rispetto al pezzo d’apertura, è a tutti gli effetti un primo passo verso il cuore della storia, un balzo indietro nel tempo sia dal punto di vista lirico che musicale fino ai tempi di “Saffron's Curse”. Non mancano le sfuriate tanto care ai Cradle degli ultimi anni, ma questo rimane uno dei primi momenti melodici impreziositi da un ritornello sinistro e catchy. “The Nun With The Astral Habit” prosegue sulla scia del pezzo precedente salvo riservare uno spazio addirittura maggiore agli inserti armonici di voce e tastiere. Sembra quasi che le note della Ellyllon si divertano ad inseguire i percorsi del vocalist. Gli assoli di chitarra assolutamente heavy completano l’opera. Il passaggio su “Retreat Of The Sacred Heart” può risultare vagamente asfissiante. Salva la situazione il lavoro alle sei corde che alleggerisce un l’impatto accompagnandoci alla parte centrale più pomposa e recitativa. Forse un pezzo difficile ma che potrebbe fare la felicità dei fan di “Damnation And A Day”. Si torna su toni decisamente più morbidi e (nel limite del possibile) cantabili con “The Persecution Song”. Un brano struggente, romantico ed appassionato come i Nostri non ne facevano da tempo. Non è forse la perla del disco, ma più per mancanza di una vera originalità che per valore oggettivo. “Deceiving Eyes” si presenta come un pezzo heavy metal allo stato puro, almeno nell’attacco, per poi virare su soluzioni che di nuovo ricordano il monumentale “Damnation”.

Primo canzone del disco resa disponibile all'ascolto, “Lilith Immaculate” è di sicuro uno dei momenti più originali dell’intero full. Nonostante le sfuriate black metal non manchino, ma facciano addirittura da tappeto per gran parte del pezzo, l’approccio lirico è di certo quello prevalente trovando la sua piena espressione in un ritornello affidato quasi completamente alla voce femminile di Lucy Atkins. Melodico e seducente, questo brano costituisce un ottimo corpo centrale per un disco che, come anticipato da leader del gruppo, si contrappone al precedente, così nettamente maschile, per il suo carattere profondamente legato ai segreti del gentil sesso. “The Spawn Of Love And War”, per quanto piacevole, non spicca particolarmente per originalità, trovando la sua collocazione ideale come pezzo funzionale alla storia, con buoni intermezzi narrativi da parte di Dani. “Harlot On A Pedestal” potrebbe apparire ad un primo ascolto eccessivamente venata di una violenza thrash che non resiste però negli ascolti. L’impronta melodica ha alla fine la meglio. Abbiamo già parlato del pezzo accompagnato da videoclip che sta da qualche tempo rimbalzando tra rete e canali tv specializzati. “Forgive Me Father (I Have Sinned)” è destinata a diventare uno di quei tormentoni da concerto che faranno felici alcuni e renderanno nervosi gli altri. Splendidamente melodica per i primi, colpevolmente “leggera” per i secondi. Con “Beyond The Eleventh Hour” ritroviamo la voce che ci ha accolti all’inizio della storia, sulle note della tastiera che ci ha accompagnato per buon parte del viaggio ci prepara alla conclusione della storia. È difficile da stabilire, ma qualcosa nell’orchestrazione e in particolar modo nel suono delle chitarre (lo studio dei suoni è certamente di gran pregio come sempre) ci fa avvertire una strana sensazione di destino ineluttabile. La traccia più recitativa e al contempo quella meno immediata del lotto affida la chiusura allo spirito maligno e teatralmente dotato della band.

Dopo lavori apparentemente impersonali come “Nynphetamine” e “Thornography”, la natura cosi diretta di questo LP giunge come una vera boccata d’aria. Non vogliamo certamente dimenticare il precedente “Godspeed On The Devil’s Thunder”, disco sicuramente validissimo, ma in ogni caso impegnativo, difficile da digerire e a tratti talmente iper-prodotto da risultare per molti un piatto indigesto. Siamo sempre nell’ambito di una band che ha fatto della teatralità, dei riff al fulmicotone e del beat blast il proprio marchio di fabbrica, questa volta c’è però una semplicità nel tessuto del disco che lo rende piacevole, di nuovo originale e al contempo facilmente assimilabile, se non immediato. In conclusione, se state cercando un modo per riavvicinarvi ad una delle band ormai storiche del panorama metal ed alle atmosfere che vi ci hanno fatto affezionare, questo potrebbe essere il canale perfetto per farlo. In passato è capitato che mi chiedessero come potessero certi dischi e certa musica risultarmi così piacevoli, catchy… ed entusiasmarmi all’ascolto. Questo è un disco che potrebbe tranquillamente rispondere alla domanda.

Una perfetta storia per Halloween, che non a caso, come accadde per “Midian”, arriverà nei negozi proprio in occasione della notte delle streghe. I Cradle Of Filth fanno rinascere il mito di Lilith mescolando atmosfere alla “Sleepy Hollow”, una discreta dose di black-stile e melodia come se piovesse, il tutto senza mai perdere di vista la cura dei particolari.

Com’era quell’espressione? Certo, “il diavolo sta nei dettagli”!



01. The Cult Of Venus Aversa
02. One Foul Step From The Abyss
03. The Nun With The Astral Habit
04. Retreat Of The Sacred Heart
05. The Persecution Song
06. Deceiving Eyes
07. Lilith Immaculate
08. The Spawn Of Love And War
09. Harlot On A Pedestal
10. Forgive Me Father (I Have Sinned)
11. Beyond The Eleventh Hour

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