Cradle Of Filth
Thornography

2006, Roadrunner Records
Gothic

Recensione di Marco Somma - Pubblicata in data: 10/10/10

Oggetto di discussione ormai da diversi anni, i Cradle Of Filth danno alle stampe il loro lavoro di gran lunga più controverso. Capolavoro per alcuni (ben pochi a dire il vero), assoluta delusione per altri. Molto meno discontinuo del predecessore, da cui comunque eredita l’approccio easy listening, “Thornography” si presenta fin da subito come un lavoro coerente, volto alla ricerca della perfetta melodia. Lo studio armonico è portato ai suoi livelli più alti, difficile dubitarne, ma la strada per l’inferno è lastricata di buone intenzioni e i Nostri questa volta hanno forse fatto uno scivolone di quelli che i fan faticano a perdonare.

L’apertura del disco è affidata nelle mani degli Angtoria, band personale della corista Sarah Jezebel Deva, qui ospiti d’eccezione. Assolutamente senza infamia e senza lode… e va detto priva anche di qualsiasi personalità. Superata l’intro si passa a “Dirge inferno”. Non c’è soluzione di causa, non c’è motivo portante che leghi i due pezzi e cosi le prime note del brano calano con la delicatezza di una scure. Si tratta dell’unico momento decisamente poco melodico che ci offrirà il disco, fatta eccezione per titletrack. Le chitarre eccessivamente sgravate sono le vere protagoniste del brano, indizio, questo, di quello che si rivelerà uno dei punti saldi del full. “Tonight In Flames” appare da subito ancora più catchy della precedente anche se il meglio in questo senso deve ancora venire. Le chitarre continuano a farla da protagoniste con un cantato per lo più scuro e poco distorto (almeno per i parametri filthiani). Splendido l’intermezzo recitato con la voce di Filth che si moltiplica sulle note di tastiera. “Libertina Grimm” riesce bene nella ricerca di un buon connubio tra melodia e potenza, ma senza elevarsi al titolo di perla del disco. La prima sorpresa del disco, se cosi possiamo dire, arriva con “The Byronic Man”. In duetto con Ville Valo, leader degli HIM, Filth intesse delle linee vocali il più possibile cantabili. Tenendosi lontano dai soliti registri e mantenendo la dose di growl ai minimi storici, “The Byronic Man” permette una fusione quasi perfetta delle due voci. Di per sé il pezzo non rappresenta nulla di eccezionale e Valo emerge distinguibile con il suo falsetto rinforzato solo sul finale. L’incredibile lavoro di produzione e missaggio dietro a questo duetto è il vero cuore del disco, un sforzo inteso a segnare ognuno degli oltre settanta minuti che lo compongono.

Contro ogni aspettativa “I Am The Thorn” arriva infrangendo quanto di melodico fatto fino a questo momento. Un brano violento da ogni singolo punto di vista. Oltre ad essere (anche se per pochi secondi) il brano più lungo del disco, è anche il più difficile da assimilare e da superare senza danni evidenti. La titletrack merita di fatto una parentesi a parte per almeno due fattori salienti. Primo la capacità resa qui inequivocabile di imparare dalle sperimentazioni passate. L’elettronica apparsa prepotentemente in “Bitter Suites To Succubi” del 2001 e riproposta a singhiozzi e un po’ rozzamente in “Nymphetamine” del 2004, qui viene usata sapientemente per rendere insopportabilmente alieni i cori e gli appunti di chitarra nei pre-chorus. Seconda parentesi d’interesse è la potenza immaginativa che il pezzo sprigiona, a tratti intollerabile, che ha il suo apice nel suono di un colpo caricato in un arma automatica. Siamo lontani mille miglia dalle atmosfere ovattate dei primi Cradle Of filth. “Cemetery And Sundown” lascia il tempo che trova ma, se non altro, ha il pregio di far riprendere un po’ dallo shock subito con il pezzo precedente. “Lovesick For Mina” sembra riportarci per qualche minuto in quei luoghi tanto cari ai Cradle del passato, se non per la musica almeno per i testi. Si tratta tuttavia di un effetto placebo, perché di “Vempire” o “Dusk... And Her Embrace” qui c’è ben poco. La traccia scivola via liscia come l'olio ma più per merito della forma che della sostanza.

Piacevolmente spinta “The Foetus Of A New Day Kicking” dà una bella una virata thrash metal ad un disco nel complesso fin troppo all’acqua di rose. Non si tratta affatto del momento iper-violento, ma le chitarre fanno uno splendido lavoro, tirate dove e quando serve con un vago sentore alla Maiden sugli assoli. Unica pecca, il ritornello: per quanto efficace risulta un po’ troppo insistito. La voce narrante di Doug Bradley, alla terza collaborazione con i Nostri, ma per il sottoscritto immortale cenobita della serie di film “Hellraiser” (quello con i chiodi in faccia per intenderci), introduce un lungo componimento strumentale ad opera di Paul Allender. “Rise Of The Pentagram" è un buon esempio di metal estremo strumentale, tecnico e ricco di contaminazioni, che si inserisce perfettamente nel contesto del disco. Di nuovo nulla di veramente memorabile, ma capace di riassumere benissimo gli stilemi dei Cradle Of filth post-“Midian”. Ritrovando il piacere nel duetto con la grande Sarah Jezebel Deva, “Under Huntress Moon” dà il suo meglio in ritornelli dosati con il contagocce ma cosi ben composti ed eseguiti da lasciare comunque il segno. Su queste ultime note risorgono i Cradle Of Filth, quelli del nuovo millennio, certo, ma pur sempre loro. “Temptation” toglie infatti di nuovo lo scettro dalle mani della band per metterlo in quelle decisamente meno interessanti di una cover degli Heaven17, band pop rock inglese molto in voga negli anni '80. Sorvolando sullo spessore artistico inesistente del pezzo, si può solo apprezzare l’arrangiamento di un certo pregio ma posto al servizio di un brano assolutamente dimenticabile.

Icona dissacrante delle più turpi tentazioni, questo “Thornography”, prima fra tutte della promiscuità! Una libertà di troppo che Filth decide di prendersi, almeno dal punto di vista di chi proprio non ha apprezzato. Il percorso artistico della band non ha mai conosciuto molti compromessi, ben di rado si è fermato a considerare debitamente anche le implicazioni più meramente commerciali. Basti pensare che questo è forse il disco che la major Sony avrebbe voluto a suo tempo, quando i Nostri hanno preferito sfruttare le risorse dell’etichetta per un lavoro, quel “ Damnation And A Day”, monumentale ma tutt’altro che orecchiabile. Questa volta infatti la scelta è quella di dare la caccia alla melodia, di provare collaborazioni “fuori dal giro” (non Cronos dei Venom, ma Ville Valo degli HIM), di lasciare interi pezzi nelle mani del vecchio compagno di viaggio Allender e così via... La coerenza c’è e non solo nella forma o nell’intenzione. Il tema centrale, la bramosia per il peccato in quanto tale, l’inestirpabile tendenza verso l’autodistruzione posta immancabilmente sulla via verso l’illuminazione sono qui rappresentati in ogni forma. Dalle liriche alla runa ripetuta più volte nell’artwork del disco. Dato lo spessore del tema, la produzione risulta però colpevolmente leggera, eccessivamente user-friendly, tranne in “I Am The Thorn”, che da sola non basta però a farci ritrovare la band di spessore ala quale siamo abituati.  In conclusione “Thornography” si apre e si chiude su note che non appartengono ai Cradle of Filth. Lungo il percorso capita di incontrarli, ma c’è il rischio di non riconoscerli.

Nota
: Nel febbraio 2008 vede le stampe “Harder, Darker, Faster: Thornography Deluxe”. Senza dubbio più appetibile della versione “normale”, se non altro per video e bonus track. Queste ultime anticiperanno un po’ le sonorità del disco successivo, che fortunatamente si rivelerà di ben altra caratura.



01. Under Pregnant Skies She Comes Alive Like Miss Leviathan
02. Dirge Inferno
03. Tonight In Flames
04. Libertina Grimm
05. The Byronic Man
06. I Am The Thorn
07. Cemetery And Sundown
08. Lovesick For Mina
09. The Foetus Of A New Day Kicking
10. Rise Of The Pentagram
11. Under Huntress Moon
12. Temptation

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