Green Day
Dookie

1994, Reprise Records
Punk Rock

Recensione di Francesco De Sandre - Pubblicata in data: 31/12/12

Spesso assistendo ad alcuni dei recenti live dei Green Day, si verifica un fatto degno di nota: verso metà scaletta, Mike Dirnt prende posto in mezzo al palco, imbraccia il basso ed inizia a suonare una sequenza di note ben precisa, provocando perplessità e curiosità in molti fans, specialmente tra i più giovani. Come se stesse eseguendo un brano nuovo, sconosciuto. Ma il caratteristico intro di “Longview” è molto più di tutto ciò: riporta alla mente il periodo in cui dal basso di Mike nasceva il ritmo che costituiva l’anima dei brani della band, nostalgiche canzoni dai testi carichi di ironia, insofferenza, paranoie adolescenziali e dalle melodie pop-punk che facevano ballare e divertire: era il 1994 e con il mirabolante album “Dookie” i Green Day raggiunsero la fama mondiale che gli permise di intraprendere un importante tour approdando addirittura a Woodstock nello stesso anno; indimenticabile è a questo proposito l’esibizione proposta nella giornata conclusiva del festival, tra pioggia, fango e allegria.


“Dookie” è il vero primo album della band, che si ispira chiaramente ai due precedenti lavori eseguiti: la storica traccia “Welcome To Paradise” è una riproposizione della versione registrata in “Kerplunk”, mentre il sound, i temi trattati  e alcuni riff riportano chiaramente alla mente “39/Smooth”. L’interesse scaturito da questi due album d’esordio hanno contribuito non poco alla realizzazione di “Dookie” e alla conseguente fama mondiale. L’album si apre con le coinvolgenti e orecchiabili “Burnout” e “Having a Blast”, canzoni ispirate a “Kerplunk”, semplici e radicali, cariche del caratteristico power-pop degli albori. È da questo disco inoltre che iniziamo a notare degli arrangiamenti di qualità e i caratteristici Medley, che in futuro saranno frequentemente utilizzati per amalgamare tra di loro i brani del disco: la stessa “Longview” costituisce il collante tra “Chump” e l’intramontabile  sopracitata “Welcome To Paradise”, che poi lascia spazio a “Pulling Teeth”, il brano che ci prepara alla mitica accoppiata “Basket Case”-“She”. Il primo brano è un singolo senza età, largamente riproposto all’interno delle settimanali rotazioni musicali delle radio, forse il singolo di riferimento della stessa band, mentre il secondo, semplice e delicato, racchiude lo spirito romantico-adolescenziale espresso in tre graffianti accordi. Prima della riflessiva “When I Come Around”, singolo che non manca mai nelle scalette dei concerti della band, “Sassafars Roots” ravviva l’atmosfera accelerando i ritmi, così come la simile “Coming Clean” e la successiva “Emenius Sleepus”, scritta interamente da Mike Dirnt.


Dal punto di vista della strumentazione, la presa di posizione è radicale: basso, batteria e una singola chitarra esprimono con crudezza i temi adolescenziali trattati nel disco. La musica è diretta, semplice e poco elaborata, in pieno stile punk-rock anni ’90: la seconda chitarra nelle registrazioni di studio verrà infatti introdotta solo dal 2004, anno di “American Idiot” e del grande cambiamento artistico.


Tornando alla tracklist, la conclusione dell’album è affidata non a caso a “In The End” e all’esplicita “F.O.D.” (“F**k Off and Die”), che racchiude anche la traccia nascosta “All By Myself” scritta e interpretata con ironia e un pizzico di delirio dal batterista Tré Cool, come a sancire una personalizzazione completa alla registrazione del disco da parte di tutti i membri della band.


A questo punto balza in mente quasi automaticamente il pensiero di premere nuovamente Play e di rituffarsi nel sound caratteristico ed energico del disco, il grande punto di partenza della band, il primo successo indimenticabile nelle memorie di molti. Da quest’album si avvierà un decennio di assoluta sperimentazione, in cui il terzetto californiano sfornerà dischi molto diversi tra loro, ma tra grandi hit e stravaganti b-sides, “Dookie” rimane sicuramente il punto fermo da cui è scaturita la tanto brillante quanto controversa carriera dei Green Day.





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