Green Day
¡Uno!

2012, Warner Music
Punk Rock

Contiamo fino a 3 prima di giudicare definitivamente: "Uno"...
Recensione di Andrea Mariano - Pubblicata in data: 02/10/12

Li avevamo lasciati un po’ (leggasi “tanto”) pomposi, un po’ (leggasi ancora “tanto”) tronfi di se stessi, li ritroviamo un po’ (leggasi letteralmente “un po’”) più calmi, con l’orecchio teso verso ciò che avevano lasciato prima della svolta pseudo-impegnata di “American Idiot” e di “21st Century Breackdown”.


¡Uno!” è il primo album della trilogia che i Green Day hanno ideato e che si concluderà entro l’inizio del 2013. Di certo la scelta di proporre al pubblico ben tre album veri e propri in circa quattro mesi è quantomeno azzardata, soprattutto in tempi di crisi discografica e non solo. In questa sede è anzitempo ed inutile dilungarsi in inopportune ed improprie riflessioni sul senso effettivo di questa decisione, anche perché il tempo potrebbe smentirci; arriviamo dunque diretti al punto: cosa hanno da offrirci oggi i Green Day? Punk rock semplice, orecchiabile, di facile appiglio, con qualche ritorno alle origini (“Let Yourself Go”) ed una voglia non indifferente di scrollarsi di dosso quella patina pesante e voluminosa che avevano le ultime due produzioni. Il sound è infatti decisamente più diretto, non ci sono eccessivi orpelli o diavolerie di post-produzione, gli arrangiamenti sono perlopiù volti alla semplificazione, segno che l’eccessività di “21st Century Breakdown” ha stancato anche i suoi stessi autori. Non che in passato abbiano tentato chissà quali tecnicismi, ma si è tornati ad una struttura, soprattutto a livello generale di album, decisamente meno cervellotica e più diretta.


Dopo più ascolti è possibile notare che canzoni come “Kill The Dj” e “The Troublemaker” non sorprendono molto, si lasciano ascoltare ma non rimangono in testa, a parte il ritornello di “Kill The Dj”, ma è una questione di martellamento e ripetitività, non di bellezza. È proprio la parte centrale di “Uno!” che mostra maggiormente il fianco, tra idee non particolarmente intriganti e due o tre brani che scorrono via fin troppo facilmente, ma alla fine non vi è nulla di troppo deleterio. È strano inoltre notare come “Oh Love”, primo singolo estratto nonché brano che conclude l’album, sembra quasi un episodio a sé stante: bello, perfetto per lanciare il disco, ma rispetto al resto è un po’ distante sia come stile, sia come “appeal”.


La domanda che consegue direttamente è quindi: vale la pena dare una possibilità alla trilogia di Billie Joe e compagni? Al momento, il sottoscritto è fiducioso. Ovviamente “¡Uno!” non è un capolavoro, ma quantomeno non si rivela fastidioso od eccessivo durante l’ascolto, anzi: come accennato ad inizio recensione, vi è un vago ma onesto ricordo di come i Green Day erano prima di “American Idiot”, quando l’importante era attaccare il jack e basta. Se i successivi “¡Dos!” e “¡Tré!” si riveleranno un poco superiori rispetto al capostipite, l’operazione trilogia potrebbe risultare interessante ed azzeccata.


Scordatevi un ritorno alle origini puro (ma, onestamente, chi ci spera più?), ma i Green Day che oggi si guardano indietro e riprendono spunto, seppur vagamente, da ciò che erano, di questi tempi è grasso che cola.





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