Vent'anni di successi, vent'anni di coesione praticamente assoluta, vent'anni durante i quali l'unica stella cercata e seguita è stata quella dell'ispirazione e del rimanere fedeli a se stessi, anche quando magari i risultati ottenuti potevano potenzialmente scontentare più d'una persona, più d'un fan. Se dovessimo cercare il pregio più rilevante che contraddistingue i Pearl Jam, lo troveremmo senza ombra di dubbio nella coerenza: hanno sempre composto e suonato ciò che più aggrada loro, evitando di seguire questa o quella moda del momento. L'importante per i cinque ex ragazzi di Seattle è sempre stato suonare ciò che piace loro realmente, a prescindere dal brano energico o dalla ballata più struggente. Così facendo, sono riusciti a conservare una libertà artistica invidiabile ed hanno potuto creare e mantenere una base di fan incredibilmente compatta e fedele.
Dall'irruenza giovanile di quella pietra miliare che prende il nome di “Ten” alla maturità artistica del più recente “Backspacer”, Eddie Vedder e soci hanno lavorato con il regista Cameron Crowe per realizzare “Pearl Jam Twenty”, un documentario celebrativo sulla loro ventennale carriera. Al film è stato accostato l'album della relativa colonna sonora, e proprio quest'ultima è oggetto della recensione. “PJ 20” è costituito da due CD: il primo, in linea teorica maggiormente alla portata di un pubblico più vasto, contiene brani dal vivo che spaziano da una “Alive” del 1990 alla più recente ballad “Just Breathe” suonata a New York nel 2010, mentre il secondo, oltre ad altri estratti live che probabilmente non potevano esser contenute nel primo disco per motivi di spazio, farà sicuramente la felicità dei fan più appassionati, poiché sono presenti demo di canzoni storiche come “Say Hello 2 Heaven” dei Temple Of The Dog e “It Ain't Like That” degli Alice In Chains, una “Nothing As It Seems” cantata da Jeff Ament Montana, alcuni momenti strumentali di Mike McCready e vere e proprie chicche come un brano voce e chitarra chiamato semplicemente “Acoustic #1” (probabilmente un provino per "Ten" poi accantonato).
Chiariamo subito: "PJ 20" nella sua incarnazione esclusivamente sonora è un prodotto rivolto soprattutto, se non unicamente, a quella schiera di fan accaniti e collezionisti che si esalterà dinanzi all'essenzialità di “Let Me Sleep” suonata in un momento di pausa durante il soundcheck nell'Arena di Verona, all'emozionante duetto con Neil Young in “Walk With Me” e alla rara esibizione di “Crown Of Thorns” (canzone simbolo dei Mother Love Bones, storico e fugace gruppo grunge dove militarono il bassista Jeff Ament ed il chitarrista Stone Gossard), così come verranno da loro apprezzate in qualche modo la non perfetta performance di “Alive” e le registrazioni amatoriali di “Garden” e “Why Go”. Il secondo CD renderà quindi pazzi di gioia chi è alla continua ricerca di rarità, mentre risulerà alquanto ostico per l'ascoltatore occasionale per via dei suddetti contenuti (non a caso è stato intitolato “Rarities And Inspiration”).
La volontà di puntare sulle rarità e sulla storicità più che sulla qualità di registrazione (le chitarre scordate di “Alive” risuonano ancora nelle orecchie del sottoscritto) chiariscono una volta per tutte l'obiettivo primario di “PJ 20”: celebrare la band mostrando il suo background nella maniera più cruda e viscerale possibile, evitando in ogni modo l'incensamento patinato ed autocelebrativo che spesso inficia progetti di questo tipo. I Pearl Jam non omaggiano tanto loro stessi, quanto piuttosto la musica che sono riusciti a creare in questi vent'anni. Se vogliamo, è una celebrazione dei Pearl Jam intesi come entità musicale, non come band di successo, il che è sottilmente e profondamente diverso.
Proprio per questo motivo, “PJ 20” è un album che non tutti possono apprezzare e godersi appieno (per questo c'è l'ottimo “Live On Ten Legs”). I fan della band saranno sicuramente felici per quanto offerto. Tutti gli altri faranno meglio a scegliere qualche altro lavoro di Vedder e soci.