Non si faceva sentire da giorni, qualcuno preoccupato chiama la polizia: “Non risponde al telefono, non sappiamo dove sia”.
Poi, un calcio alla porta.
Tele dipinte con vernice spray sul pavimento. Luce soffusa in cucina. Il televisore acceso che non trasmette nulla, se non interferenze ed un ronzio di fondo simile ad uno sciame di mosche. Un tavolino su cui non ci sono tazze di caffè, né posacenere, nonostante la presenza di accendini, polvere bianca e cucchiaini. Lo spettatore che guarda il volteggiare di righe nere, bianche e grigie che si rincorrono sullo schermo è seduto sul divano di pelle rosso scuro.
Da due settimane.
Layne Staley, anima schiva del grunge, sapeva benissimo di trovarsi in difficoltà nella gestione del dolore e della dipendenza, ma crollò sotto il lacerante peso della disperazione dopo che si vide strappar via dalle sue braccia a causa di un’endocardite batterica Demri Lara Parrott, sua storica fidanzata, l’ultimo suo appiglio a questo mondo, l’ultima ragione di portare avanti il tentativo di avere a che fare con questa esistenza. Il 29 ottobre 1996 Layne inizia ufficialmente a prendere a schiaffi il mondo, lasciandosi andare sempre più, senza possibilità di tornare indietro.
She was gone and so he wept
Then a demon came to him
'You must know that I'm gonna win'”
Poi, il tuffo definitivo nel baratro. Ogni tanto, raramente, potevi entrare al Rainbow bar, chiedere una birra, voltarti e vedere un fantasma che se ne stava lì, seduto all’ultimo tavolino, in fondo al locale, in disparte. Lontano dagli avvicendamenti del presente, chiuso in sé con i suoi demoni.
L’unica fiamma, quella di un accendino. L’unico rumore, quello di qualche videogame.
Squilla il telefono. Rimbomba nella stanza il suono.
Bussano alla porta. Nessuna risposta.
Non c’è nessuno. Almeno, nessuno che voglia aprire.
39 chilogrammi. Questo il peso di un’anima disperata. Questo il peso della disperazione.
'You must know that I'm gonna win'”