Alice In Chains
Rainier Fog

2018, BMG
Alternative Rock

Dopo cinque anni di attesa, gli Alice In Chains tornano in campo con "Rainier Fog", un omaggio a Seattle e alla sua scena musicale.
Recensione di Sophia Melfi - Pubblicata in data: 24/08/18

Dopo cinque anni di apparente silenzio artistico, gli Alice In Chains hanno finalmente tirato fuori il coniglio, o meglio il tanto agognato nuovo album, dal cilindro. A distanza di vent'anni, la band ha deciso di registrare il nuovo lavoro nella città che ha forgiato il loro sound titanico e inossidabile, naturalmente Seattle. Già dal titolo, "Rainier Fog", esso non rappresenta che un'ode al centro nevralgico del rock alternativo anni '90, affondandovi visceralmente le sue radici. Ed è proprio lì, nel rinomato studio X di Seattle, che le nuove e vincenti idee degli Alice In Chains si sono materializzate in una sorta di eterno ritorno. Il nuovo album evoca infatti un'atmosfera cupa, piovosa e fredda tipica del clima del nord degli States che si porta dietro un passato di camicie a scacchi, graffianti schitarrate elettriche, droga, alcool e ribellione. E' Duvall stesso ad aver definito "Rainier Fog" come lo specchio di una società sempre più contraddittoria in cui tangibile è ormai il sentimento di disagio e protesta che si riflette inevitabilmente nell'arte, nella musica e nelle più sensibili esternazioni dell'uomo all'altro.

 

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"Siamo davvero fortunati, perché tutte le sere in cui ci esibiamo dal vivo abbiamo la possibilità di vedere come sia diverso per ognuno e come tra ogni singola persona vi siano diverse mentalità, ideologie, barriere linguistiche... Abbiamo l'occasione di vedere come siamo tutti connessi ed è la musica a farlo. La musica unisce le persone e crea momenti e quei momenti ci uniscono. Credo che sia la cosa che amo di più della musica." La musica per gli Alice In Chains ha da sempre rappresentato un collante, un messaggio e un valido motivo per andare avanti forti di innovativi progetti sempre in linea con il proprio stile. A cambiare è l'energia e senz'altro l'approccio al songwriting e alla composizione, meno impulsivo e se vogliamo maldestro dei primi lavori in studio. Basti pensare alle sperimentazioni di "Jar Of Flies" o alle sottili imprecisioni di natura tecnica dell'"Unplugged" del 1996. Questa volta, è come se le canzoni fossero state scritte a tavolino, con un messaggio ben preciso di fondo. Come nel caso di "So Far Under", in cui le parole appaiono fredde e taglienti come lame, "so far under, too much pain to tell". "E' come sentirsi in inferiorità, quasi sconfitti e circondati da certe situazioni difficili da superare". Non a caso, l'uscita dell'album è prevista per il 24 agosto, due giorni dopo il cinquantunesimo compleanno dell'ex frontman Layne Staley. Con "Black Gives Way To Blue" e "The Devil Put Dinosaurs Here", la band ha infatti cercato di riemergere da un passato di sconfitte e frustrazione che è tutt'ora riscontrabile in alcune sfumature del loro sound, sempre tormentato e bisognoso di comunicare. "Rainier Fog" non è altro che la faticosa rivalsa degli Alice In Chains. E' quindi la stessa copertina, in omaggio alla Rainier Seattle, a suggerirci gli intenti dell'album: una tortuosa scalata verso la vetta del monte con un occhio solo, rivolto al futuro e con un'indefinita figura umana al suo interno, un probabile riferimento a "the one you may know".

 

L'idea di "Rainier Fog" è nata al vecchio studio "Bad Animals" di Seattle per poi essere concretizzata a Los Angeles e ultimata a Nashville, in Tennesee. Un lungo lavoro di cui la band si dice estremamente fiera, sia per il risultato d'insieme, che per le singole tracce composte nei minimi dettagli. L'album si apre con il biglietto da visita "The One You Know" che ne presenta le sonorità dai toni aggressivi riscontrabili nei riff di Cantrell, la cui durezza verrà poi stemperata nelle sezioni più melodiche che caratterizzano la maggior parte dei brani. Sulla stessa scia, "Rainier Fog" e "Red Giant" a cui segue"Fly", una nostalgica reminescenza di "Jar Of Flies" con qualche sfumatura alla Blind Melon e Screeming Trees. Un album che guarda al passato e al presente, appunto. A farla da padrona, come sempre, è il magico solo di Cantrell capace di far immergere totalmente l'ascoltatore nell'onirica atmosfera dell'album. Fa seguito "Drone", dalla ritmica coinvolgente piacevolmente accompagnata dalla fusione armonizzata delle voci di Duvall e Cantrell. Stessa impostazione per la malinconica "Deaf Ears Blind Eyes". "Maybe" è invece una ballad in cui la band si discosta leggermente dal sound heavy abbracciato per le altre composizioni, spingendosi verso una sonorità acustica innovativa che ammorbidisce, con le sue melodie, l'intero ensemble. Si procede con l'incalzante "So Far Under" e "Never Fade", traccia in cui ogni componente del gruppo ha modo di dare il meglio di sé. Dai bassi di Inez, alla batteria di Kinney, il brano rispecchia a pieno le nuove potenzialità degli Alice In Chains. L'album si chiude con "All I Am" dai suoni e testi tormentati che ricordano palesemente il primo EP di debutto, Sap, e in particolare la traccia "Am I Inside". Quello che viene esternato è un profondo senso di disagio e solitudine, perché citando Staley "è facile scrivere canzoni che parlino di quanto sia bello e felice il mondo nascondendosi dietro un dito. Le nostre canzoni parlano di una realtà fatta di dolore e sofferenza." Un tratto distintivo che la band non ha quindi perso per strada e che collega come un fil rouge l'intero album. "Potrebbe sembrare una disfatta, ma c'è ancora un copione da rovesciare." Gli Alice In Chains hanno ancora qualcosa da dire e "Rainier Fog" è l'incarnazione dello spirito resiliente che da sedici anni li anima e contraddistingue.  





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