Amon Amarth
Surtur Rising

2011, Metal Blade
Viking

Recensione di Davide Panzeri - Pubblicata in data: 25/03/11

“Surtur è il nome di un gigante del fuoco che, impavido, difende con la sua enorme spada l’entrata dell’ardente regno del fuoco denominato Múspellsheimr. Egli, quando il Ragnarök sopraggiungerà, sarà destinato a scontrarsi con Freyr, dio della bellezza e della fecondità, a sconfiggerlo ed a disintegrare l’intero mondo con la sua spada fiammeggiante per permetterne successivamente la rinascita. Alla distruzione scamperanno solo due esili figuri, Líf e Lífþrasir, che col dovuto tempo avranno il compito di ripopolare la terra.”

 

Questo è il concept che ruota attorno a “Surtur Rising”, nono album (considerando l’EP di debutto) degli svedesi Amon Amarth. I vichinghi attualmente più famosi di Scandinavia hanno raggiunto il loro personale Valhalla cinque anni or sono, anno di pubblicazione dell’amato/odiato “With Oden On Our Side”. Ai fan di vecchia data della formazione svecese non è andato troppo giù il fatto che Hegg e soci abbiano cambiato così repentinamente direzione al loro drakkar da guerra, favorendo maggiormente il lato più “melodico” e tralasciando le basi che contribuirono a creare quello che oggi è visto come uno degli album migliori nella cerchia del death metal scandinavo, quel “Once Sent From The Golden Hall” che tanto è stato acclamato e venerato da pubblico e critica, opera seminale del genere e pietra miliare del metal.

Cosa sono diventati oggi gli Amon Amarth? La sterzata è stata evidente e lapalissiana, ha contribuito a far aumentare la popolarità del combo tutto capelli-biondi-birra-mjollnir-asce, diffondendo a macchia d’olio un genere che prima era merce rara per una piccola nicchia di appassionati (quanti degli attuali ascoltatori dei figli di Midgard sanno chi fu Quorthon o chi sono stati i Mithotyn?).

Con questo “Surtur Rising”, il tentativo di tornare a suonare qualcosa di attinente al passato, in qualche modo un ritorno alle origini, è più che mai palese. Le tinte di cui sono dipinti gli scudi e le armature di pelle e cuoio si sono fatte più scure, una sensazione grave permea interamente gran parte del disco e il sempre più gutturale e brutale growl di Johan Hegg non fa altro che confermarci quanto abbiamo messo per iscritto poco fa (non temete, i classici sedicesimi a spron battuto delle chitarre, vero e proprio marchio di fabbrica della band, sono praticamente onnipresenti). Purtroppo mi duole annunciare mestamente che il disco in questione non riesce nell’impresa di ritornare nelle calme e invitanti acque del porto di partenza; Jormungandr, enorme e mostruoso serpente che beffardamente sbeffeggiavano e tiravano per la lingua nel precedente “Twilight Of The Thundergod”, è emerso dagli abissi marini, stritolandoli e facendoli propri.

Ma andiamo ad esaminare il disco più da vicino: l’apertura affidata a “War Of the Gods” è quanto mai scontata ed al tempo stesso efficace; insomma, volevate dirmi che non vi aspettavate una canzone del genere? Il canovaccio seguito dal nuovo platter è il medesimo di “With Oden On Our Side”, alternanza preoccupante di brani veloci e mid-tempo (confrontate i primi tre brani di entrambi i dischi) che cominciano a odorare di già sentito e stantìo. Purtroppo la sensazione verrà praticamente confermata col proseguo dell’ascolto, e successivamente firmata col sangue etereo degli Einherjar da un songwriting non all’altezza delle aspettative. Qualche idea buona la si intravede qua e là (soprattutto nella seconda parte del disco), ma è chiaro che gli Amon Amarth stanno raschiando il fondo del barile. Sia ben chiaro, la potenza e l’aggressività ci sono tutte, non bastano però per vincere la sanguinosa battaglia che Odino li ha chiamati a condurre, non basta il growl piu ossessivo e penetrante di Johan, non bastano i sedicesimi e le orecchiabili melodie di Mikkonene e Soderberg a redimere un intero album perennemente e sapientemente disseminato di troppi bovini copia-incolla.

 

Non vorrei continuare a ripetermi, ma davvero c’è ben poco d’innovativo e stimolante in questo “Surtur Rising” (nella limited edition è inoltre presente la cover di “Aerials” dei System of a Down che eviterò di commentare). Dal vivo saranno sicuramente lo solite macchine da guerra, pieni di energia, grinta e potenza, ma dal lato più puramente musicale ci troviamo davanti in sostanza alla solita minestra riscaldata che non fa gridare al miracolo e che dividerà ancora una volta i sostenitori della formazione. Per quanto mi riguarda, sono rimasto abbastanza deluso, mi aspettavo qualcosa di più da una delle mie band preferite in assoluto, oserei quasi dire che sarebbe d’uopo un reset della band per mano di Surtur in persona.





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