Delain
Apocalypse & Chill

2020, Napalm Records/Audioglobe
Symphonic Metal

I Delain tornano proponendo la propria visione del mondo attraverso la musica. Lo fanno con coraggio e voglia di sperimentare, per l'album sicuramente più vario della loro carriera, senza dimenticare la loro essenza.
Recensione di Fabio Polesinanti - Pubblicata in data: 03/03/20

Il primo approccio con il nuovo album dei Delain è quantomeno spiazzante. Una copertina insolita, non certo bellissima, e soprattutto lontana anni luce dai canoni di una band symphonic metal. Analizzando il titolo "Apocalypse & Chill", inizia a venire alla luce il vero significato di questa nuova release, e il concetto che le si cela dietro: un contrasto tra i grandi problemi che affliggono il nostro mondo - dal clima alle disparità sociali - e l'indifferenza dell'essere umano. All'interno di un contesto così significativo e profondo, i Delain, giunti al traguardo del sesto album in studio, decidono di osare e di sperimentare alcune soluzioni stilistiche che possono risultare lontane dal loro tradizionale sound, ma che permettono un deciso salto di qualità nel songwriting e nella varietà dei brani. I Delain abbandonano perciò per alcuni momenti la loro comfort zone, e, senza alcuna paura, decidono di evolversi, dando alla luce sicuramente l'album più vario e coraggioso della propria discografia.

 

Il disco parte con l'energica "One Second", nella quale la componente metal e quella melodica si sposano alla perfezione. Ritroviamo poi i Delain più tradizionali e sinfonici in "Burning Bridges" e "Masters of Destiny", non a caso scelti entrambi come singoli di lancio dell'album; con "Chemical Redention" la band olandese sviluppa una dimensione più intima, in un brano che rimane volutamente sussurrato e dolce. "To Live is to Die" gioca moltissimo con i cambi di tempo, e vede un uso massiccio di tastiere ed elettronica che riescono a creare un pezzo decisamente accattivante. "Vengeance" riporta i Delain su territori decisamente più heavy, e la perfetta prova dietro al microfono di Charlotte Wessels riesce a mitigare o accelerare il pezzo a seconda dei momenti; un po' come avviene in "Creatures", in cui riff di chitarra e cori sinfonici diventano un tutt'uno, lasciando all'ascoltatore un senso di nostalgia che impreziosisce uno dei brani più originali e meglio riusciti di tutto il disco. "Ghost House Heart", l'ultimo singolo di lancio dell'album, è una ballata dolcissima e soave, dove la voce di Charlotte tra piano ed archi regala forti emozioni. L'originalità e la voglia di sperimentare, oltre che nella globalità dell'album, si riscontrano anche tra le note di canzoni come "Legios of the Lost" o nella conclusiva e strumentale "Combustion", mentre il tradizionale marchio di fabbrica si può riconoscere in altri ottimi brani quali la suadente "The Greatest Escape" e in "Let's Dance", dove l'intreccio tra riff e cori enfatizza un ritornello accattivante.

 

Circa 50 minuti di musica che si sviluppano in un disco meno immediato dei suoi predecessori, che ha necessità di un processo di ascolto e di sedimentazione più impegnativi, ma che alla lunga permette di portare alla luce numerosi aspetti positivi che arricchiscono notevolmente l'essenza degli olandesi. La rinnovata maturità, la capacità di muoversi con disinvoltura su svariati territori sonori - anche meno conosciuti - sono alcuni dei fattori che risaltano principalmente.

 

Con questo lavoro, i Delain dimostrano di avere tante idee e di saperle sfruttare a dovere, riuscendo in quel difficile compito di rinnovarsi ogni volta, sempre e comunque legati indissolubilmente alla propria identità musicale. Da ultimo è impossibile non citare e sottolineare la fantastica prova dietro il microfono di Charlotte, che, da timida cantante ai tempi del debutto del 2006, ha vissuto una crescita esponenziale sotto il profilo delle qualità vocali, del carisma, della versatilità e della presenza, diventando il valore aggiunto della band.





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