Delain
We Are The Others

2012, Roadrunner Records
Symphonic Metal

Recensione di Fabio Rigamonti - Pubblicata in data: 04/06/12

E’ interessante, prima di procedere all’analisi del nuovo disco a firma Delain, fare una piccola retrospettiva sui trascorsi della band olandese. Partiti come una costola apocrifa dei Within Temptation, i Delain hanno esordito con un debutto in cui si aveva la netta sensazione che il bello ed il cattivo tempo la facessero gli ospiti, più che le velleità compositive propriamente dette del mastermind Martijn Westerholt, impressione ulteriormente consolidata dalla precarietà dello scorso “April Rain”, in cui la prima prova come unità Delain maggiormente “band-oriented” si rivelava estremamente esile, discontinua, priva di mordente e raffazzonata in un indigesto gorgo pop. In un quadro non propriamente esaltante, ecco che questo “We Are The Others” assume un’importanza a dir poco capitale.

A sorpresa, c’è da dire che se questo è un disco che deve dimostrare che i Delain sono una band che sa reggersi sulle proprie gambe, allora la prova è passata con ampio successo, visto che qui i Nostri non paiono fare una tranquilla passeggiata, ma una corsa spedita verso un groovy gothic rock estremamente modernista, che pur tuttavia non disdegna le lezioni del passato, senza che esse prendano il sopravvento sulla cristallinità dell’ispirazione. Un concetto meravigliosamente espresso dalla cover - in cui l’influenza di Muscha è evidente, con quel robottino e quegli auricolari assolutamente anacronistici - e che si esprime ancora meglio in una mistura sonora in cui chitarre e synth, più che tastiere sinfoniche, proseguono di pari mano, senza che le une prendano il sopravvento sugli altri, in un concentrato energico, serrato, melodioso ed affatto scontato. Merito di ritornelli sempre efficaci (addirittura magistrale la “tripla fase” di “Are You Done With Me?”) condotti da una Charlotte Wessels mai così espressiva come sinora, e basta sentirla in duetto su una incalzante “Where Is The Blood” (con Burton C. Bell dei Fear Factory come guest) o sulla sensuale “Hit Me With Your Best Shot” per rendersene conto.

Certo, le canzoni, a volte, si compiacciono in una sorta di diabolica ripetitività; certo, qui non c’è nulla di nuovo o particolarmente geniale, ma, onestamente, visti i trascorsi sorprende autenticamente vedere i Delain così maturi e capaci, tanto da scrivere una “Get The Devil Out of Me” o, meglio ancora, una finta-ballad come “I Want You” (che vi sorprenderà, a dispetto delle scontate liriche di fondo). “We Are The Others”, dunque, è un album gradevole, fresco, che sa intrattenere con estrema efficacia e che, cosa assai più importante, non porta ad immediata assuefazione, né tantomeno ad eccessi insulinici di quelli da coma irreversibile. E la cosa più divertente del tutto è che i Delain, in questa svolta modernista, più che far venire in mente – che so – gli Evanescence, richiamano le inquietudini sintetiche dei Muse.

Se l’alba di questo nuovo mattino è così brillante, allora per il futuro è il caso di cominciare ad aspettarsi grandi cose dai Delain. Chi l’avrebbe mai detto…




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