Blind Guardian
A Night At The Opera

2002, Virgin Records
Power Metal

"A.N.A.T.O." segnò una svolta stilistica notevole per via dell'aggiunta di sfumature orchestrali e sinfoniche che negli episodi precedenti erano state solo accennate.
Recensione di Federico Falcone - Pubblicata in data: 23/03/18

Per un artista, che lavori singolarmente o in gruppo, sono probabilmente due i momenti più complessi, intriganti e stimolanti della propria carriera. Il primo è, ovviamente, quello che coincide con lo scrivere, registrare e pubblicare l'esordio discografico. Per quanto le sensazioni possano essere positive e l'entusiasmo possa toccare vette inesplorate, la verità è che prevedere come risponderà il pubblico è impossibile. E, a ben pensarci, è esattamente come giocare a "testa o croce": se va bene vinci, se va male perdi. Vie di mezzo non sono contemplate. Il secondo si ha, invece, nel momento in cui si deve dimostrare a sé stessi e ai propri fan di essere in grado di superarsi e di partorire nuova musica migliore della precedente. Di non aver bruciato tutta l'ispirazione, la classe, il talento che risiede nella propria capacità compositiva. Non è sufficiente aver dato il massimo, è vitale dare ancora di più.

E, come è facile intendere, è probabilmente questa la fase in cui si decide la carriera di una band. Per i Blind Guardian è stato lo stesso, nessuna eccezione. Se non aveste letto il titolo di questa recensione, è facile immaginare che abbiate già capito di quale album sto parlando. "A Night At The Opera" uscì nel lontano 2002 per la Virgin Records e per i Bardi di Krefeld fu l'album spartiacque. Le ragioni furono molteplici e tutte collegate tra di loro. La prima di queste fu che Hansi, André, Marcus e Thomen fino a quel momento erano stati un vero e proprio rullo compressore. Sei album di seguito senza sbagliare un colpo, con l'apice raggiunto grazie all'accoppiata "Imaginations From The Other Side" (1995) e "Nightfall In Middle-Earth" (1998) che, di fatto, proiettò la band su un livello che noi umani non potremmo mai immaginare. Avete presente il concetto di perfezione? Bene, quei due dischi lo incarnano appieno. Dare, quindi, alle stampe un nuovo lavoro dopo due masterpiece del genere era compito assai arduo, specialmente per chi, come i B.G., aveva costantemente mirato a evolvere il proprio sound attraverso l'aggiunta di nuovi elementi. Ambizione soddisfatta ancora una volta, quindi, ma, i risultati non furono esattamente quelli. "A.N.A.T.O." segnò una svolta stilistica notevole per via dell'aggiunta di sfumature orchestrali e sinfoniche che negli episodi precedenti erano state solo accennate. Si rivelò essere complesso, più elaborato e lungo delle altre uscite discografiche, meno diretto e d'impatto e più ragionato e sapientemente strutturato. Novità, questa, che non scaldò i cuori dei fan della prima ora e che fece storcere il naso a quelli che vedevano in "Imaginations" la massima espressione della musicalità della band. Venne messo da parte (francamente in maniera incomprensibile) il produttore Flamming Rasmussen a favore di Charlie Baurfiend e lo stesso titolo, chiaro omaggio ai Queen, da molti venne etichettato come lesa maestà nei confronti di Freddie Mercury e soci. Pensate sia finita qui? No, perché per la prima volta in quindici anni di carriera, nessuna delle tracce registrate presentò riferimenti al mondo di JRR Tolkien. Impensabile, fino a quel momento, mettere da parte un vero e proprio trademark. Ma non solo, all'interno della stessa line up crebbero i malumori di Thomen Stauch, da sempre legato a un sound più grezzo, scarno di pomposità orchestrali e più vicino al thrash - heavy metal che non al progressive. Malumori che due anni più tardi sfociarono con l'abbandono del gruppo da parte del drummer. 

La pubblicazione del settimo studio album dei B.G. fu preceduta dall'uscita del singolo "And Then There Was Silence", canzone-opera di ben 14 minuti, la più lunga mai scritta dal gruppo. Appena stampato, raggiunse immediatamente il primo posto nella classifica giapponese e i primi posti in quella spagnola, tedesca e inglese. Il brano è un concept incentrato sugli ultimi giorni della mitologica Guerra di Troia in cui la complessità compositiva, dettata da numerosi cambi di tempo intervallati da maestosi passaggi orchestrali, lascia bene intendere la nuova evoluzione stilistica. Oltre a essa l'EP presentava "Harvest Of Sorrow", ballad in perfetto stile Guardian che, però - a essere sinceri - non regge assolutamente il confronto con hit del passato come "The Bard's Song" o "A Past And A Future Secret". Interessante la scelta di registrarla in cinque lingue differenti: tedesco, inglese, italiano e spagnolo europeo e sudamericano. Il full-length uscì solo pochi mesi dopo ed entrambe le tracce vennero riproposte nella tracklist, assieme ad altre nove per un totale di undici, per circa settanta minuti di musica. "Precious Jerusalem" apre le danze, canzone che strizza l'occhio a "Jesus Christ Superstar", opera di Andrew Lloyd Webber e Tim Rice, da sempre tra le preferite di Hansi Kursch, prosegue con "Battlefield" e "Under The Ice", in cui emerge chiaramente la volontà del gruppo di rinnovare il proprio sound a discapito, però, di quell'aggressività che aveva reso i loro pezzi così amati. Queste tre songs, unite alla mastodontica "And Then.." e "Punishment Divine", ispirata alla pazzia che colse F. Nietzsche durante gli ultimi anni di vita, sono, senza dubbio, gli episodi più riusciti dell'intero disco e quelli che, a distanza di sedici anni, vengono ricordati con più piacere sia dai fan della primissima ora che da quelli acquisiti col passare del tempo. Ognuna delle tracce presenti ha una propria identità e una propria anima e, anche se la formazione smentì l'idea di essere in presenza di un concept album, queste sono tutte unite da un filo conduttore, per lo meno come impronta stilistica.


L'album ha una sua idea e una sua struttura ben precisa, è magnificamente prodotto e non c'è una singola nota fuori posto. E' esattamente ciò che i B.G. volevano fare uscire in quel determinato momento storico, e il fatto che siamo ancora qui a parlarne, dopo averlo visto rivalutare in lungo e in largo, è la palese e inequivocabile dimostrazione di come i quattro tedeschi abbiano centrato il loro obiettivo. "A.N.A.T.O." è uscito nel momento migliore della carriera dei bardi di Krefeld, all'apice del loro successo, comportando così un carico di aspettative notevoli tra chi si aspettava un ulteriore passo avanti e chi, invece, mirava a consolidare la formula espressiva dei due dischi precedenti. Censurarlo, quindi, come minore o poco ispirato è semplicemente folle e azzardato. Affermare, invece, che non regge il confronto con "Imaginations" e "Nightfall" è, forse, più corretto e tendenzialmente veritiero. Ma, siamo sinceri, era davvero plausibile pensare di scrivere qualcosa di ancora più eccelso dei due degli album heavy-power metal più belli di tutti i tempi? Francamente non credo.

 





01. Precious Jerusalem
02. Battlefield
03. Under The Ice
04. Sadly Sings Destiny
05. The Maiden And The Minstrel Knight
06. Wait For An Answer
07. The Soulforged
08. Age Of False Innocence
09. Punishment Divine
10. And Then There Was Silence
11. Frutto Del Buio (Italian Bonus Track)

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