Meshuggah
ObZen

2008, Nuclear Blast
Thrash

Recensione di Stefano Risso - Pubblicata in data: 13/04/09

Esce un nuovo disco dei Meshuggah e tutti si fermano a guardare cosa hanno combinato i pazzi di Umeå. Una consuetudine ormai affermata nella scena estrema ormai da quasi quindici anni, una sorta di attesa/rispetto per una delle formazioni che più ha influenzato il metal negli ultimi lustri e che più ha creato ed ispirato discepoli in ogni angolo del globo. Cosa ci si deve attendere da ObZen?

Il primo vero full-length dopo Nothing, dal momento che Catch Thirtythree è da considerarsi una sorta di esperimento che la band aveva in mente dal disco solista di Thordendal, ci restituisce una band che racchiude in un album tutta l'inarrestabile evoluzione musicale compiuta dal debutto ad oggi. La carriera dei Meshuggah è stata sempre scandita da una progressione incredibile, andando a suggellare coi propri album dei periodi ben definibili della crescita artistica della formazione, una sorta di cammino a tappe. Mai stravolgimenti fini a se stessi, ma evoluzioni in grado di donare al classico stile dei nostri delle sfumature uniche, dalla “meccanicità manifesto” di Destroy Erase Improve, alla violenza irrazionale di Chaosphere, arrivando all'ultimo periodo, inaugurato con le contorsioni monolitiche di Nothing. Con ObZen invece i nostri sembrano aver fatto un punto della situazione, forse per la prima volta voltandosi e osservando quanta strada hanno fatto, riprendendo più di un elemento già espresso in passato.

Forse per la prima volta i Meshuggah non stupiscono più a livello concettuale, si limitano però a stupire sul livello prettamente esecutivo, mostrando quanto sia enorme il bagaglio tecnico in seno alla band, coniugando una violenza claustrofobica e opprimente con un'eleganza esecutiva spaventosa. Badate bene, una ripresa di elementi, non una semplice opera di copia/incolla, perché nonostante tutto stiamo parlando dei Meshuggah, musicisti capaci di compiere un piccolo miracolo: donare una nuova luce a tutto quello che hanno fatto, come se cambiando l'ordine degli addendi sia cambiato anche il risultato. In ObZen lo stile dei Meshuggah diventa ancor più annichilente, assume una dimensione ancora diversa, più compatta, forse un po' più semplice (tutto è relativo), ma per questo più impressionante, come se i nostri volessero subito sbatterci in faccia questi cinquanta minuti di musica.

In questo senso va letta l'opener Combustion, un pezzo fin troppo immediato per gli standard della band, a cui fa da contraltare la conclusiva Dancers To A Discordant System, che pare essere tratta dal disco solista di Thordendal (Sol Niger Within), incredibilmente strutturata e “stratificata”. Brano d'apertura a parte, abbiamo in scaletta canzoni senza un punto debole, o minima flessione, familiari ai fan della band, ma allo stesso tempo una scoperta continua, come l'irresistibile Bleed. Una traccia quasi improponibile per qualsiasi altra formazione, con una pioggia di terzine e pattern di doppia cassa ripetute quasi allo sfinimento, fra le cose più claustrofobiche mai composte dai nostri, sino ad arrivare alla rivelazione finale, semplicemente incredibile. Purtroppo con ObZen c'è il rischio di ripetersi, perché volendo ad ogni brano c'è da rimanere a bocca aperta: Lethargica, ObZen, This Spiteful Snake, si snodano su classici riff poliritmici, mai così efficaci, saltando dalla ferocia alla quiete con arpeggi “liquidi” e momenti di calma necessari ad assorbire tutta la violenza profusa. Lo stesso dicasi per Pineal Gland Optics, e Pravus, talmente schizzate e martellanti da non sembrare quasi umane.

Altra prova di superiorità, altra prova inarrivabile della coppia di chitarre Thordendal/Hagström, di Kidman, il cui canto sembra sempre più un latrato animale, e di Thomas Haake, che torna a sedersi alla sua batteria (dopo l'uso della drum machine in Catch Thirtythree), e a dettare legge. Potranno sembrare esagerate le mie parole a chi non conoscesse i Meshuggah... Il consiglio è di ascoltarli, capirete anche voi.



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