Meshuggah, Decapitated, C.B Murdoc
05/12/12 - Alcatraz, Milano


Articolo a cura di Stefano Risso
La serata di ieri sera sembra proprio venire incontro all’adagio che recita: “Le apparenze ingannano”. Ci apprestiamo difatti qualche minuto prima dell’inizio delle ostilità all’Alcatraz di Milano e notiamo immediatamente che in coda davanti al locale sono più venditori di materiale contraffatto, addetti alla sicurezza e bagarini che spettatori. Tra un “vendo/gombro biglietto” entriamo con un certo scetticismo sul prosieguo della serata... Perchè va bene, i Meshuggah non saranno i beniamini che passano in radio, ma pur sempre la loro storia, grandissima storia ce l’hanno e ci sembrava impossibile che non ci fosse nessuno fuori ad aspettare... Ma come già detto, le apparenze ingannano...

Una volta guadanato l’accesso ci troviamo subito davanti a un nutrito gruppetto che saluta i primi ad esibirsi, gli svedesi C.B Murdoc. In tutta sincerità, una mezz’ora stiracchiata che non lascia granchè. La proposta del sestetto, praticamente immobile sul palco B, essendo relegati in una sottile striscia di palco, è uno zibaldone di death/thrash moderno e imbastardito con svariate influenze, che probabilmente avrebbe più fortuna con un ascolto comodo in pantofole sulla poltrona di casa. In un contesto live, con dei suoni non felicissimi, la proposta dei nostri tende infatti a stufare abbastanza presto. Tempo pochi minuti e i Decapitated prendono posto sul palco. Per ogni amante del metallo pesante, già rivedere i Decapitated dal vivo è una lieta notizia. Ricordiamo per i pochi che ancora non lo sapessero, che la vita (purtroppo non solo artistica) di questi “bimbi prodigio” ha subito un tragico arresto il 29 ottobre 2007, quando sul confine tra Russia e Bielorussia, il tourbus della band venne coinvolto in un incidente stradale che costò la vita al fenomenale batterista Witold "Vitek" Kiełtyka (di appena 23 anni) e ferì seriamente il cantante Adrian Kowanek, tutt’oggi gravemente invalido. Una carriera in costante ascesa che solo con la forza di volontà di Vogg (fratello maggiore di Vitek) ha ripreso a carburare nel 2011 con un nuovo disco, “Carnival is Forever” e una rinnovata line-up.

Come abbiamo scritto nella recensione del nuovo album, anche dopo il concerto di ieri ci sentiamo di ripetere che “probabilmente il treno buono è passato”. Esibizione solida ma senza grossi sussulti, col solo Vogg a primeggiare in una band composta sì da volenterosi e preparati musicisti, senza però la personalità che il chitarrista, unico rimasto dei Decapitated che furono, dimostra di possedere. Un peccato infatti registrare la prova altalenante del batterista Paul, con evidenti problemi di suoni del proprio drumkit, praticamente nascosto dal resto dei componenti, con l’eccezione dei colpi di cassa che dire iper triggerati è dire poco. Impalpabili inoltre i blast beat, che per una band di estrazione brutal è un notevole difetto... Problemi tecnici o mancanza di potenza nell’assestare i colpi in velocità? Non sappiamo, il risultato è stato certo inferiore alle attese. Per fortuna il frontman Rafal non manca di aizzare i presenti, che regalano ai polacchi un supporto calorosissimo. La scaletta verte principalmente sulle ultime canzoni dei nostri, non proprio irresistibili a lungo andare e solo quando si fa un tuffo nel passato le cose cambiano sensibilmente. Basti ripensare al finale annichilente affidato a “Day 69”, estratto da “Organic Hallucinosis”, tutta un’altra storia. Nel complesso uno show da promuovere, anche perchè ammirare le dita vorticose di Vogg sulla tastiera, davvero chitarrista fantastico, non è proprio una cosa di tutti i giorni.

Una volta messi a punto gli strumenti e sistemato il palco, è il turno del piatto forte. Era da tempo che i Meshuggah non si facevano vedere da queste parti in un club e in veste da headliner e l’attesa era alta. L’Alcatraz nel frattempo si riempiva fino a occupare praticamente ogni centimetro di superficie calpestabile, platea, blaconata, scale, zona bar, ovunque ci girassimo trovavamo teste nell’oscuruità. I nostri infatti hanno curato moltissimo l’aspetto visivo del concerto, esigendo un buio quasi assoluto in sala per dare maggior risalto a tutto l’impianto di luci, led e laser montati per l’occasione, decisamente oltre la media. Una cura certosina della scenografia che si riscontra con altrettanto zelo nel comparto audio. Possiamo dire senza alcun dubbio infatti che il concerto di ieri sera verrà ricordato dai presenti come uno degli show più potenti e fedeli a cui abbiano mai assistito. Una volta preso posto sullo stage, è “Demiurge”, dal recente “Koloss”, a far capire il livello della perfomance: una potenza e una pulizia dei suoni incredibili, una resa vicinissima a quella apprezzabile su disco... Con l’unica differenza che le vibrazioni emesse dagli amplificatori arrivavano fino al diaframma. Un brano che risalta immediatamente la componente “percussiva” della musica dei Meshuggah, con le chitarre a otto corde che si fondono con la sessione ritmica, in un vero e proprio muro sonoro cupo e monolitico. E sopra i riffoni sincopati, la voce terrificante di Jens Kidman, con le classiche pose e mimiche facciali, che non perderà mai un colpo, dal primo all’ultimo brano, un’ora e quaranta più tardi.

Segnalare i momenti salienti del concerto significherebbe riportare pari pari la setlist della serata (incentrata principalmente sulle composizioni più recenti), potendo i Meshuggah contare su una discografia che contempla praticamente solo autentiche gemme. Dopo un “lento” come “Demiurge”, la folla si scatena sulle brutali “Pravus” e “Combustion”, da “ObZen”, mostrando anche il lato più diretto della band. Il risultato? Un pogo micidiale i cui influssi si sono percepiti anche a distanza (ritenuta) di sicurezza. Un prova senza alcuna sbavatura, musicisti di un altra categoria, esperti nel saper imporsi sul pubblico solo con lo sguardo e forti per giunta di un physique du rôle innegabile: pochissime infatti le interazioni col pubblico, giusto un paio di “thank you” e un breve ringraziamento sul finale, volti sempre corrucciati, pochi e flemmatici spostamenti sul palco (Thorndendal rimarrà invece sempre piantato nello stesso posto), eppure sfidiamo i presenti a non aver apprezzato anche la prova intepretativa dei Meshuggah, la caratteristica che contraddistingue una grande band, da una formazione che ha fatto (e continua a fare) la storia del metal da oltre vent’anni. A Milano in questi giorni c’è aria di neve, ma l’unica tempesta della serata è formata  dalle terzine che arrivano dalle gambe di Haake in “Bleed”, lasciando semplicemente a bocca aperta per velocità e precisione, andando a caratterizzare uno dei momenti più belli dell’intero concerto. Altrettanto suggistiva la “presentazione” e l’esecuzione di “In Death - Is Life/In Death - Is Death”, da “Catch 33”, con un sapiente uso di laser e led verdi e il terremotante finale costituito dalla canzone manifesto degli svedesi “Future Breed Machine” e “Dancers to a Discordant System”. Una grandissima emozione con la prima, con un Thordendal al solito accovacciato sulla otto corde durante gli assoli, sempre rielaborati rispetto alle versioni su disco, e letteralmente sfibrante la seconda, nove minuti e mezzo di pura classe compositiva.

C’è poco da dire, band del genere probabilmente non le rivedremo più in futuro, i Meshuggah infatti sono tra le ultime formazioni che sono state in grado di stravolgere e inventare un genere, fissare nuove regole, imporre determinati standard di eccellenza, il tutto con una personalità e una presenza scenica da primi della classe. Il nostro consiglio è di non farseli scappare per nessuna ragione al mondo, sperando di non dover attendere ancora molti anni una nuova calata italiana. Serata trionfale... Le apparenze ingannano... 


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