Il Teatro Degli Orrori
A Sangue Freddo

2010, La Tempesta
Alternative Rock

In Italia si può ancora suonare un rock d’elevato rango. Basta volerlo.
Recensione di Andrea Mariano - Pubblicata in data: 15/05/10

Inquietudine e rabbia, irruenza ed atmosfere lugubri. Il Teatro Degli Orrori, con il loro secondo album, “A Sangue Freddo”, si dimostrano egregi artefici di un noise rock originale ed interessante in cui tutto, dalle dissonanze all’apparente vortice sonoro, è semplicemente perfetto. Persino ciò che teoricamente risulterebbe sgraziato trova la sua perfetta collocazione, uno scopo preciso all’interno dei dodici brani che compongono l'opera.

A darci il benvenuto in questo mondo particolare eppure inspiegabilmente familiare, è l’inquietante “Io Ti Aspetto”, storia di un’attesa sconsolata ed illusoria, in cui s’insinua il dubbio che la propria consorte abbia incontrato un triste destino (“Confesso di soffrire di paure / forse non giustificate / ma io ti aspetto sai”, “Una notte d'angoscia / non può che diventare una carezza”); non ci sono chitarre, né batteria, solo la voce sconsolata di Pierpaolo Capovilla accompagnata dal violino e da qualche essenziale effetto elettronico in un crescendo d’angoscia che mai esplode in rabbia o disperazione. Le successive “In Due”, “A Sangue Freddo” (brano che denuncia l’uccisione dello scrittore nigeriano Ken Saro Wiwa, uno dei pochi ad aver avuto il coraggio di parlare delle reali condizioni in cui per anni ha versato il proprio paese natio), così come la schizofrenica “Mai Dire Mai”, sono veloci e taglienti. Le liriche si stampano nella memoria come schegge di vetro, soprattutto nel caso della title track, nei cui versi sono stati evitati inutili artifizi retorici a favore di una denuncia diretta e cruda. È soprattutto nella stesura dei testi che Il Teatro Degli Orrori si distingue ferocemente dal resto della scena rock italiana: chiari, carichi di riflessioni (“Mai Dire Mai”) e di denunce sociali (“Il Terzo Mondo”), di storie psicotiche e allucinate (“Direzioni Diverse”). In essi si specchiano personaggi importanti e paradossalmente sconosciuti ai più, come il già citato Ken Saro Wiwa ed il poeta rivoluzionario russo Majakovskij, al quale è dedicata una rilettura carica d’emotività della poesia “All'amato Se Stesso Dedica Queste Righe L'autore”.

 

I Nostri rappresentano, in un certo senso, l’anello di congiunzione tra i Litfiba di fine anni ’80 / inizio ’90 (pungenti, spesso con richiami al sociale) e gli Afterhours (prevalenza di dissonanze, il cantato che sfocia nell’urlo), ma la loro personalità è spiccata. I canoni fondamentali del noise rock rappresentano indubbiamente un punto di riferimento, ma nello stile de Il Teatro Degli Orrori si scovano piccole tracce di progressive e molte sperimentazioni sempre ben studiate ed implementate. Il gruppo di Pierpaolo Capovilla è composto da musicisti rodati con una certa esperienza alle spalle: questo elemento risulta decisivo nella composizione di brani solidi sotto ogni punto di vista e, più in generale, nell’assetto dell’intero album, il quale acquisisce una compattezza globale di alta levatura.

Poiché in entrambi i casi ci troviamo dinanzi a tematiche assai ricercate, che suscitano interesse e la voglia di documentarsi meglio su quella fonte o quest’altro personaggio, potremmo qui azzardare, con le dovute cautele, un paragone tra questo disco e “I Mistici Dell’Occidente” dei Baustelle. La bilancia pende, a mio avviso, dalla parte de Il Teatro Degli Orrori. L’ultima fatica del gruppo di Francesco Bianconi è infatti ardua da ascoltare dall’inizio alla fine, a causa della sovrabbondanza di pezzi lenti, tempi dilatati e cantilene che rendono il tutto poco fluido e a tratti pesante; al contrario Capovilla e soci, con il medesimo numero di brani a disposizione, sono riusciti a trovare un equilibrio tale da realizzare un’opera scorrevolissima, che non lascia intravedere alcun calo d’attenzione e d’atmosfera.


Eccellente prova, a dimostrazione che in Italia si può ancora suonare un rock d’elevato rango, possente e dai contenuti di indubbio valore. Basta volerlo.





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