Il Fieno (Alessandro, Edoardo, Gabriele)
"Siamo cresciuti anche noi, come i bambini del titolo; l’ideale costante rimane suonare quello che più ci piace, qualunque forma e direzione possa prendere". I sogni e le piccole conquiste di una giovane realtà da poco affacciatasi sul panorama musicale italiano grazie all'EP "I Bambini Crescono", ben accolto anche sulle pagine di SpazioRock. Sicuri di avere individuato una band dal grande potenziale, abbiamo incontrato Alessandro, Edoardo e Gabriele per conoscere meglio Il Fieno e la loro musica.
Articolo a cura di Francesco De Sandre - Pubblicata in data: 23/02/13
"I Bambini Crescono" è il vostro secondo EP dopo le registrazione d'esordio dell'anno scorso. Cosa è cambiato dal punto di vista stilistico? E cosa invece rimane costante tra i vostri ideali artistici?

Alessandro: Siamo cresciuti anche noi, come i bambini del titolo; l’ideale costante rimane comunque suonare quello che più ci piace, qualunque forma e direzione possa prendere.

Edoardo: Ci siamo sicuramente lasciati andare di più. È un EP più libero e vario dell’altro, più citazionista e meno “ingessato”. Non ne abbiamo davvero parlato. Abbiamo solo registrato le canzoni, senza confrontarci su quello che volevamo uscisse. E verso la fine della lavorazione ci siamo resi conto che stavamo giocando con l’electro pop.

Gabriele: Momo oltre ad essere il nostro batterista ha prodotto l’intero EP, quindi questa volta abbiamo potuto curare direttamente il lavoro in tutti i suoi aspetti: pur mantenendo le stesse coordinate del precedente disco “I Bambini Crescono EP” è sicuramente più personale, più sincero, più coerente. E più maturo, sicuramente.

La vostra musica è semplice ma molto precisa. A che età e in che modo vi siete rispettivamente avvicinati a batteria, basso, chitarra e microfono?

Alessandro: Circa a 16-17 anni, credo che la spinta fondamentale sia stato l’ascolto di “Rocket To Russia” dei Ramones e il fatto che ci fossero troppi chitarristi in zona.

Gabriele: Quando avevo più o meno 7 anni ho scoperto tra i vinili dei miei genitori “Let It Be”, e da lì ho più o meno deciso che nella vita volevo essere uno dei Beatles. O almeno fare il cantante.

Edoardo: Mi sono avvicinato alla chitarra attorno ai 10 anni, per noia più che per curiosità. Ci ha messo un po’ per diventare parte di me, ma quando poi è successo mi ha sempre accompagnato, da allora.

Dalle vostre canzoni si apprezza una distorta unione tra New Wave, Indie e gli aspetti più pacati dell'Alternative Rock: in che contesto o genere musicale mirate ad affermarvi?

Alessandro: Non saprei, ormai i confini fra generi musicali sono così labili che è difficile riuscire a collocarsi in una sola corrente musicale. I tre generi musicali che hai appena citato molto spesso vanno a braccetto.

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Gabriele: Sono stato adolescente ascoltando l’alternative rock degli anni ’90, e gruppi come Pixies e Nirvana insegnano come sia possibile mischiare melodie pop e formule musicalmente meno dirette. A me non importa essere etichettato o affermarmi in una qualche nicchia elitaria: quello a cui aspiro è arrivare a più persone possibili, facendo la musica che mi piace.

La copertina de "I Bambini Crescono" presenta una bellissima bambina dal volto ingenuo, curioso e furbetto intenta ad accendersi una sigaretta. Cosa volete comunicare con questa fotografia così dolce e provocatoria?

Gabriele: La foto di copertina è un evidente omaggio a quella di “Green Mind” dei Dinosaur Jr; l’abbiamo scelta perché ci pareva rispecchiare appieno i temi trattati nell’EP, soprattutto il contrasto cinismo/innocenza che è un po’ la dicotomia alla base dei nostri testi.

Tra le ultime canzoni spicca una pregevole cover di "Vincenzina E La Fabbrica". Avete già in mente quale potrebbe essere la vostra prossima reinterpretazione di un brano del passato della musica italiana?

Edoardo: “Vincenzina” è stata una scelta dettata non tanto dalla canzone in sé (che è comunque meravigliosa) ma dai tempi che stiamo vivendo. Era perfetta, diceva già tutto quello che c’è da dire sul lavoro. Suppongo che la scelta di una reinterpretazione debba essere dettata dal significato che la stessa può avere in un certo momento. Quindi le canzoni che recupereremo da un passato lontano dipenderanno da cosa ci accadrà in futuro, e non possiamo dire quali saranno.

Gabriele: Una ragazza che si chiama BiRò ha scritto la mia canzone italiana preferita di sempre, pochi anni fa. Si intitola “Percloruro”, e un giorno mi piacerebbe coverizzarla.

Alessandro: A me invece piacerebbe molto cimentarmi con qualcosa dei Decibel.

Oltre a Jannacci, quali sono gli artisti e i gruppi che più vi influenzano?

Gabriele: Adoro Tom Waits, Mark Lanegan, Elliot Smith, Nico, Beatles e molti altri; ma forse Cure e Joy Division sono gli unici gruppi che ascolto a cui potremmo essere accostati a livello stilistico. Facendo le debite proporzioni, ovviamente.

Edoardo: Per quel che mi riguarda direi gli U2, senz’altro.

Alessandro: Personalmente direi i Cure, molto rock anni ’90 e i Duran Duran.

I testi delle vostre canzoni trattano di fatti realmente a voi accaduti? Cosa ispira generalmente le vostre creazioni?

ilfieno_intervista_2013_03Gabriele: I miei testi in genere sono autobiografici, anche se in questo EP non sono quasi mai il protagonista di quello che scrivo, quanto più un semplice osservatore. Prendi “La Quiete” per esempio: non ne sono il protagonista eppure parlo in prima persona, come se lo fossi; è un ragazzo molto giovane, spaesato, che in un attimo di pace si guarda intorno a metà tra la disillusione e la tenerezza. È il testo più naif che io abbia mai scritto, eppure mi piaceva contrapporre frasi che testimoniassero uno sguardo pulito e infantile che osserva il mondo e non se lo spiega (“Bisogna ammetterlo l’azzurro si intona proprio bene con il sole / anche quando la gente muore”), con altre più crudeli e apparentemente ciniche, come “E se amare per me non è più divertente / è che lo faccio per te / e non mi pagano neppure”. In fondo non c’è nulla di più crudele di un bambino, quando si stufa di qualcosa e la getta via: è una cattiveria pure e senza filtri; non avere cognizione di fare il male è una cosa grande. Comunque, scrivo di quello che mi passa per la testa: può colpirmi allo stesso modo un amico che sta male, il mio cane che mi fa le feste o una persona qualsiasi che incrocio per strada. Se entro in empatia con un pensiero, un’idea, il testo è già fatto per metà.

Un brano che mi ha colpito per bellezza e profondità è "L'Adolescente", che è proprio il "bambino che cresce e diventa uomo": come nasce questa canzone? La sua ideazione e stesura hanno una storia particolare?

Alessandro: Siamo molto legati a questo pezzo, è davvero frutto di un grosso lavoro corale.
In particolare sono affezionato al riff iniziale e a come è nato, sul divano di casa mia una sera d’estate. Molto poetico.

Edoardo: In realtà la canzone nasce dalla fusione di due diverse idee: una acustica di chitarra e basso, e una canzone che Gabri stava sviluppando. Diciamo che ciascuna si è adattata all’altra, trasformandosi in qualcosa di nuovo.

Gabriele: Musicalmente è un piccolo miracolo, visto che come ha detto Eddy è la fusione di due demo: una mia, al pianoforte, e una scritta da lui e Ale. La cosa incredibile è che alla fine siamo riusciti ad incastrarle, come se fossero nate per fondersi, senza nemmeno troppi sforzi.
Il testo si può tranquillamente dividere in due parti: la prima, in cui parlo di un’adolescente che vede cambiare il proprio corpo e le proprie convinzioni, fino ad arrivare all’età adulta; guardarsi allo specchio e trovarsi cambiati, non credere più in quello che fino al giorno prima consideravamo un dogma. È uno sguardo pieno di dolcezza verso una bambina che diventa donna, bellissima, come “la Rivoluzione” in cui ormai “non crede più”. La seconda parte invece è la cosa più autobiografica che io abbia mai scritto, e parla del rapporto con una persona a cui tenevo molto, finito più per colpa mia che per colpa sua, ma soprattutto perché certe cose non sopravvivono all’adolescenza. È naturale credo. Questa canzone parla di bellezza, amore e amicizia, e senza retorica credo di poter dire che è di questo che parla il nostro EP. Crescere è anche questo, dopotutto.

In un contesto musicale sempre più internazionalizzato, cosa vi spinge a cantare in italiano? Quali aspetti tecnici e stilistici della nostra lingua si sposano meglio con le vostre sonorità?

Gabriele: Nessuno. La verità è che non parlo inglese, quindi ho sempre scritto in italiano nonostante sia cresciuto con musica fondamentalmente straniera. Quello che posso dire è che l’italiano è una lingua complicata a livello metrico/musicale, quindi spesso incastrare musica e versi risulta estremamente complesso; è al contempo una lingua ricchissima, quindi si può dire che il suo più grande pregio è anche lo scoglio più grande da superare. Doppia soddisfazione o doppi cazzi, a seconda del punto di vista.


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