Lamb Of God
Lamb Of God

2020, Nuclear Blast
Metalcore / Groove Metal

Il self titled dei Lamb of God è un ritratto grintoso e personale, capace di regalare anche ottimi momenti
Recensione di Simone Zangarelli - Pubblicata in data: 18/06/20

Non è facile mantenere una carriera nell'heavy metal per oltre vent'anni. Da un lato sopraggiunge inesorabile la stanchezza a spingere al ritiro dalle scene i mostri sacri che credevamo invincibili, tant'è che questo sarà il primo anno che passeremo senza gli Slayer (come se il 2020 non fosse stato già abbastanza duro). Dall'altro arriva l'accusa di aver perso colpi, proveniente dalla cerchia di fan più fedele e intransigente agitata alla prima avvisaglia di un "rallentamento", critica che ha investito molti grandi nomi del settore: Metallica Slipknot solo per citarne alcuni.


I Lamb Of God sono riusciti ad evitare entrambi i pericoli dimostrando negli anni grinta e carattere, qualità che hanno permesso al quintetto di Richmond di affermarsi come capostipite della cosiddetta New wave of American heavy metal. Risultato confermato dall'ottavo album in studio intitolato proprio "Lamb Of God", oppure il decimo se si considerano le pubblicazioni sotto il nome di Burn The Priest. Curioso come il self titled album arrivi dopo l'unico cambio di formazione che la band abbia mai conosciuto, con l'uscita del batterista e co-fondatore Chris Adler e l'ingresso di Art Cruz in pianta stabile. Nonostante questo, la band è tornata più forte che mai.

 

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L'incipit è affidato a "Memento Mori" e non a caso, dato che sulla copertina del disco capeggia un orologio rotto come promemoria del tempo che scorre. Un'ombra seducente e oscura ci afferra nell'intro per essere poi spezzata da un "WAKE UP" tanto possente quanto improvviso e suona inevitabilmente come un risveglio dall'apatia. A metà tra Marilyn Manson e i Sisters Of Mercy, il goth si fonde con il metalcore e rivela un nuovo lato dei LOG fatto di canzoni dinamiche, divise in più fasi, insieme a testi di natura profondamente politica. Nonostante il nuovo batterista, la chimica all'interno del gruppo è piacevole come sempre. Le chitarre del duo Adler/Morton scorrono con fluidità in "Checkmate" e frantumano in "Gears", sfoderano riff e leak a tutto spiano, la sezione ritmica formata da Cruz e Campbell è impeccabile, sebbene quest'ultimo passi sottotraccia in alcuni brani: tempi assassini in "Bloodshot Eyes", ritmo frantumante in "Resurrection Man" che con le sue sincopi, tonalità oscure e dissonanze inquieta meravigliosamente ed esplode in una seconda parte carica di groove. In "New Colossal Hate" si sente l'eco dei Pantera salire dalle profondità dei riff in un allucinante crescendo di intensità.


Il vero protagonista dell'album è Randy Blythe che passa dalle tonalità baritonali ("Memento Mori", "Reality Bath") allo scream ("On The Hook") al growl più sostenuto, a dimostrazione che il tempo che passa per i LOG non è sinonimo di invecchiamento ma di miglioramento. Rallentare con l'età? Non se ne parla. Se poi aggiungiamo anche la voce di Chuck Billy dei Testament, viene fuori "Routes", una thrash metal song up-tempo dove si trovano insieme cantato e growl, una doppia cassa adrenalinica e parti di chitarra alla Overkill. I Nostri conoscono il fascino del loro sound come dimostra "Poison Dream", introdotta da un riff apparentemente riciclato dal precedente "VII: Sturm Und Drang", e che vede la partecipazione di Jamey Jasta (Hatebreed) in un duetto epico.


"Lamb Of God" è un disco coeso in cui è difficile trovare un difetto nell'esecuzione, un disco che guarda all'indietro nella carriera della band e sembra affermare: "Questa è la versione più autentica di ciò che siamo e di ciò che vogliamo essere". A cinque anni da "VII...", "Lamb Of God" suona come un attestato di grandezza, una dichiarazione di continuità anche se meno audace del predecessore. Certamente la sensazione di innovazione che si aveva ascoltando "New American Gospel" o "Ashes Of The Wake" è difficile da ritrovare, ma sarebbe forse inutile cercarla. Ad oggi, i LOG puntano a consolidare la loro eredità e a creare musica di qualità, e con questa ottava fatica hanno composto un disco di buoni brani, alcuni ottimi, dei quali nessuno è percepito come filler. Operazione di cui molte altre band del panorama heavy metal non possono vantarsi.





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