The Adicts (Monkey)
In occasione dell'uscita del nuovo disco "And It Was So!" dei The Adicts, storica punk band inglese, in circolazione fin dai primi anni del movimento promosso da The Clash e Sex Pistols, abbiamo colto l'occasione per approfondire il rapporto tra passato e presente con il loro iconico frontman Monkey.
Articolo a cura di Costanza Colombo - Pubblicata in data: 26/11/17
Si ringrazia Yamilé Barcelò per la collaborazione
 
 
Il titolo del vostro nuovo album "And It Was So!" in un certo senso rende bene l'idea  del vostro processo di composizione, molto spontaneo. Questo metodo vi ha mai tradito?
 

No, direi che fino ad oggi ce la siamo sempre cavata! Confermo che il nostro processo creativo funziona decisamente di getto: a volte buttiamo giù dei pezzi molto rapidamente ma poi dal vivo hanno sempre e comunque un buon riscontro. Credo sia il nostro trucco per continuare ad avere un sound "fresco".

 

Nel video del vostro primo singolo "Picture The Scene" troviamo tutte queste cornici fluttuanti... quale è lo scatto che preferisci di tutta la tua carriera, quello che hai già o vorresti incorniciare?

 

Bella domanda... non ne ho idea... Anzi si, ora che ci penso, la mia foto preferita di sempre è uno scatto un po' folle a dirla tutta. Ritrae soltanto un me sorridente con in mano uno specchio. E' un ricordo romantico per certi versi, un'istantanea dei tempi che furono. All'epoca i miei capelli erano decisamente più lunghi. In realtà non mi piace avere foto di me stesso, credo di averne un po' nascoste sul fondo dell'armadio...

 

Posso chiederti quali foto preferireste non aver scattato?

 

Certo, quelle degli anni '80 in cui avevamo quei sorrisetti fasulli. Ma all'epoca non c'era molta scelta...

 

Ascoltare brani come "Talking Shit" è davvero rigenerante, soprattutto al giorno d'oggi quando molti artisti si prendono forse troppo sul serio, soprattutto sul palco. C'è però qualcosa successo on stage che preferireste non aver fatto?

 

In realtà non ho alcun rimpianto riguardo le nostre esibizioni. Quando siamo sul palco ci godiamo ogni singolo istante. Ogni giorno, ogni show è diverso, non sappiamo mai come sarà il prossimo. Sebbene si arrivi alla serata con una determinata scaletta e struttura, poi l'interazione col pubblico ci regala sempre delle sorprese, qualcosa di nuovo: non puoi certo predire il comportamento delle persone.

 

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Un'altra differenza, rispetto ad altre band, è che i vostri testi sono più incentrati sul divertimento e i sentimenti mentre, tradizionalmente, il punk è sempre stato qualcosa di più politicizzato, una reazione all'establishment...

 

E' verissimo. La gente ha bisogno di essere rappresentata anche da quel tipo di "voce", di avere uno "spazio" a cui tutti possano riuscire di appartenere... ma non è il nostro caso. Come dicevi, le nostre liriche non hanno mai trattato simili tematiche, noi preferiamo scrivere della vita cercando di focalizzarci sugli aspetti più positivi di essa. Quello che vogliamo fare è immortalare la gioia e i bei momenti piuttosto che crogiolarsi nei pensieri negativi.

 

Lo scorso febbraio, c'è chi ha festeggiato i 40 anni del punk, in occasione dell'anniversario dell'uscita di quello che è consierato il primo disco di questo genere, mi riferisco a "Damned Damned Damned" uscito nel 1977. Quali ricordi hai di quel periodo e della nascita del movimento?

 

Devo dire che il nostro coinvolgimento nella nascita del movimento, in quel periodo, è stato abbastanza marginale. E' vero che avevamo già registrato delle tracce, se non sbaglio nel '76, ma in generale direi che siamo arrivati un po' in ritardo rispetto alle band che possono essere davvero considerate pioniere del genere. Siamo stati ispirati da esse ma il nostro ruolo era più "locale", ovvero fummo la prima punk band di Ipswich (Suffolk, UK, ndr.) e quindi di sicuro esercitammo una certa influenza e un certo impatto là anche se il movimento era già stato avviato al di fuori dei nostri confini della nostra città da due, tre anni.


Fin dal vostro primo album, "Songs Of Praise" avete scelto di andare in scena con questo travestimento ispirato ai drughi del film "Arancia Meccanica". Come ti senti a travestirti ancora dopo tutti questi anni? Qualcuno ti ha mai detto che sei troppo cresciutello per farlo?


Non si tratta di essere troppo cresciuti ma troppo vecchi (ride, ndr.)! Magari adesso il trucco rende meno di quanto non facesse in passato ma è qualcosa che abbiamo creato personalmente e non vogliamo comunque cambiare, è parte del nostro modo di essere e di quello che differenzia i The Adicts da tante altre band in circolazione. Ritengo ancora che contribuisca a rafforzare la nostra immagine e a trasmettere il nostro messaggio.

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Ho visto alcuni video delle vostre recenti performance in Grecia e Francia: sembra davvero che vi divertiate un sacco sul palco. Avete mai fatto finta di divertirvi soltanto per il beneficio del vostro pubblico?

 

No, non abbiamo mai finto niente del genere. Ritengo che tu debba mettere tutto te stesso nell'esibizione live, a prescindere da come ti senti prima di salire sul palco. E' vero, a volte può capitare di essere assediato da vari stati d'animo ma è un impegno preso col tuo pubblico, qualcosa che devi fare. A volte è successo che la serata non abbia preso la piega sperata ma comunque hai da dare il meglio che puoi offrire e portare a casa lo show.

 

E vi riesce bene...

 

E' un vero privilegio, a mio modo di vedere, quello di poter ancora farlo.

 

Trovi che ci sia qualche differenza ad esibirti oggigiorno? Senti di ricevere un feedback simile a quello del passato?

 

La reazione del pubblico è sempre positiva, a volte impegnativo, nel senso che è come se si trattasse di una sfida ma non mi dispiace, lo reputo qualcosa di stimolante. Intendo che non c'è niente che si possa prendere per scontato, è un processo che coinvolge le emozioni nostre e di chi abbiamo davanti, ovvero delle persone che meritano uno show coi fiocchi, è una sorta di mutuo accordo tra loro e noi. E' il ridere, il divertirsi insieme, il condividere qualcosa di speciale.

 

E i vostri fan italiani quando possono aspettarsi di condividere questo qualcosa con voi?

 

Spero molto presto. Devo ammettere che non abbiamo mai suonato molto in Italia ma ci piacerebbe tornare nel vostro paese alla prima occasione, spero già il prossimo nuovo. Ciao, grazie! (detto in italiano, ndr.)




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