Madness (Mike Barson)
La mente dei Madness, Mike Barson, sulla storia della band che è tornata a calcare le scene internazionali con l'ultimo album "Can't Touch Us Now" e sarà in Italia a ottobre, il 28 a Trezzo sull'Adda e il 29 a Padova. Raggiungiamo Mike nella città che racchiude l'essenza del disco, della band, e di una realtà musicale vivace e caotica, di cui il tastierista e compositore ha ancora qualcosa da raccontarci.
Articolo a cura di Francesco De Sandre - Pubblicata in data: 26/09/17

Si ringrazia Giovanni Ausoni per la collaborazione

 

Ti raggiungiamo a Londra, città chiave non solo per la vita e la storia dei Madness, ma specialmente scenario dell'ultimo album "Can't Touch Us Now".

 

Londra è il background e l'ispirazione, senz'altro uno dei punti chiave dell'intera tracklist. Ascoltare il nostro ultimo lavoro è come incamminarsi lungo le vie della periferia, dopotutto Londra è la nostra storia e il nostro presente. Il suo caos, il melting pot, i colori e i grigiori, sono qualcosa che da sempre fa parte di noi. È una città che ha anche influito sulla scelta del nome della band, per forza. Me lo ricordo ancora quel momento di quarant'anni fa in cui eravamo tutti d'accordo, questa dannata città racchiude l'espressione di ogni singolo membro della band.

 

Sappiamo che nell'album è contenuta una traccia speciale, forse più delle altre.

 

"Herbert". Assolutamente, è stata la svolta. Sai, all'inizio del progetto "Can't Touch Us Now", in una fase del tutto embrionale, ci è stato chiesto di scrivere qualcosa insieme, ma singolarmente. Non so se mi spiego, in pratica di lavorare su un'idea, ma isolati. Quindi ognuno di noi, in autonomia, ha scritto testi e parti. Il punto d'incontro è stato lo studio - uno usato anche dai T-Rex ai tempi d'oro - dove abbiamo avuto un'illuminazione comune e ciò che era nato quasi per gioco, per sfida, ha dato il via alla progettazione di tutto il disco.

 

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Herbert è una fotografia, un momento nella mente, una previsione di qualcosa che sta per accadere. Da ascoltare, non riesco ad aggiungere altro. La felicità, in ogni caso, è il sentimento che più lego a questo brano.

 

Sei tu lo scrittore principale dei testi?

 

Si dice ma non è vero, è una sorta di leggenda. C'è una grande collaborazione e coinvolgimento tra tutti noi, e certe volte non potrebbe essere altrimenti. Spesso infatti siamo geograficamente distanti gli uni dagli altri. I testi sono l'essenza della nostra musica, i concetti di cui parliamo sono spesso molto chiari, non abbiamo mai avuto problemi a dire la verità senza troppi giri di parole. E di parole ne abbiamo scritte davvero tante.

 

A volte credo che potremmo vivere di rendita, per come scriviamo i testi dei pezzi. Pensa che alla fine degli anni '80, quando ci siamo riuniti ufficialmente, una volta abbiamo trovato pacchi di appunti e bozze, di certi onestamente me ne ero anche dimenticato. Ovviamente li abbiamo utilizzati perché abbiamo notato come alcuni temi, alcuni problemi che affliggono la nostra vita, non cambino poi molto nel corso di cinque o dieci anni.

 

Confesso che è sempre difficile contestualizzare nel presente molti sentimenti che, personalmente, abbiamo compreso e metabolizzato nel passato. Anche questa difficoltà ci spinge a rivolgerci a chi ci ascolta in modo sempre diretto, esplicito.

 

Come è cambiato il vostro rapporto dentro e fuori la band, durante i decenni? Come vivete il fatto di essere degli autentici pionieri, per la scena musicale di cui siete riferimento?

 

C'è da dire che quando siamo tornati insieme, non eravamo più così popolari come agli inizi. Dal primo momento abbiamo considerato questo fatto, è stato inevitabile, dopo qualche anno di silenzio. E poi a metà anni '80 la situazione musicale, in generale, era ben più frizzante di adesso. Ma abbiamo fatto un tentativo, anche aiutati da un promoter amico. Un irlandese. La storia delle 72 mila persone nell'agosto del 1992 - Finsbury Park, ancora una volta Londra - la conoscono tutti, e chi non la conosce può andare a leggersela, è stato qualcosa di epocale, per noi, una soddisfazione di cui porterò per sempre il ricordo con me.

 

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Da quel preciso momento abbiamo capito che non eravamo poi così finiti e abbiamo deciso di chiudere la prima fase del nostro percorso con quel concerto-evento, una celebrazione di ciò che abbiamo creato fino a quel momento. Abbiamo iniziato a produrre tour, concerti, nostri festival, con più continuità e frequenza. Abbiamo riscoperto l'amore per il fare musica, qualcosa che continua ancora oggi. Il nostro rapporto si è riassestato proprio dal 1992, oggi posso dire che è basato semplicemente sul rispetto crescente tra noi stessi. E riguardo alla scena di cui parli, sinceramente non so se ci sia ancora. Mi trovi spiazzato, credo che ciò di cui abbiamo fatto parte sia finito con gli anni '80, quelli erano anni in cui forse rispettavamo un po' meno noi stessi, ma di più le altre band: rispetto, curiosità, supporto, questi fattori hanno contribuito alla creazione di quella scena, certe volte anche a prescindere dal singolo talento della varie formazioni. Non so se anche oggi sia lo stesso, è come se adesso ci sia sempre bisogno di un riferimento, qualcuno che indichi la direzione.

 

Che poi ‘scena musicale' è un termine un po' astratto. Cosa potrei dire dello stato della Ska adesso? Perché se è vero che la Ska music è ed è stato il nostro genere predominante, dovrei parlare allo stesso modo del Reggae, del Blues, di David Bowie. Siamo ciò che ci piace fare, e poterlo fare è una sorta di benedizione. E poter essere un riferimento per qualcuno, lo è ancora di più.

 

Tornerete in Italia a ottobre, il 28 a Trezzo sull'Adda e il 29 a Padova. Vi aspettiamo con tanta curiosità!

 

Torneremo tra pochi giorni in tour e, diamine, per certi versi non è più facile come all'inizio. L'età avanza e anche il nostro rapporto con la vita on the road è cambiato. Adesso cerchiamo sempre di legare ogni data a qualche visita: incontrare persone, visitare posti... Vorrei avere due braccia larghe così per poter abbracciare tutti i fan italiani, a Milano e Padova proveremo a farlo per davvero. Ci vediamo sul palco!




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