Il 1979 rappresenta un anno cruciale per il Regno Unito, dal punto di vista politico come da quello discografico. Se nelle elezioni di maggio il partito conservatore, complice la grave crisi economica, ottiene la maggioranza di voti, permettendo a Margaret Thatcher di svolgere le funzioni di primo ministro, nella musica si susseguono lavori dal ragguardevole significato. "Unknown Pleasures", "The Wall", "London Calling" a firma rispettivamente di Joy Division, Pink Floyd e The Clash: tre album che, in modi diversi, testimoniano il difficile clima allora percepibile in terra d'Albione, tra frustrazione, cortine ansiogene e morbida rivolta.
Cinque mesi dopo l'insediamento della Lady di ferro, la pubblicazione di "One Step Beyond" segna l'esordio dello storico ensemble dei Madness: inizialmente aderente a un genere, il 2 tone ska, ballabile, divertente e irrobustito da ironici testi a sfondo sociale, gli inglesi hanno saputo nel corso dei decenni reinventarsi senza perdere il trademark originario di derivazione giamaicana. Ricco percorso, illustrato dalla nuova release, "Full House - The Very Best Of Madness", una compilation di quarantadue brani di grande successo, disposti prevalentemente in ordine cronologico e testimonianza di un collettivo longevo e ancora in auge nonostante le molte primavere sulle spalle. Baciati dalla fama internazionale soprattutto durante il primo lustro di carriera e passati indenni attraverso un periodo di scioglimenti, sbandate e ristrutturazioni, i nostri rappresentano in Gran Bretagna una vera e propria istituzione: la selezione, impreziosita nell'artwork dal collage di Paul Agar, artista già coinvolto in precedenti lavori della band, ne documenta la validità trans-generazionale e la capacità di sfidare preconcetti e infrangere barriere nell'ambito di una scena musicale complessiva spesso incline alla facile catalogazione.
Dal clamoroso debutto sulla lunga distanza sino all'ultima fatica "Can't Touch Us Now" (2016), il greatest hits esibisce le diverse fasi attraversate dagli ex ragazzi di Camden Town: pezzi che si susseguono senza soluzione di continuità alternando nutty sound, chitarre in levare, ronzii rock steady, contaminazioni jazz ed R&B, ritmi mediorientali, spruzzate reggae, pop d'alta scuola. Mai uguali a se stessi, irriverenti e alla perenne ricerca di stimoli, discutibili nelle canzoni ove l'amalgama di stili diversi non raggiunge un perfetto equilibrio sonoro, lodevoli nel rivelarsi in grado di costruire nel corso del tempo un pastiche atipico e riconoscibile.
La raccolta parte con il primo singolo del gruppo, ovvero la cover "The Prince" del musicista di Kingston Prince Buster, continua con l'impareggiabile sax di Kix Thompson in "One Step Beyond", devia verso una malinconia mista a brillantezza con "The Girl"; "Baggy Trusers" si fa portavoce della nostalgia per i tempi della scuola, "Embarassement" invece mostra l'allontanamento dallo ska accogliendo ulteriori sfumature, "It Must Be Love", registrata a Nassau, sfoggia violini e leggerezza caraibica. Le ugole di velluto di Suggs McPherson e Chas Smyth, accompagnate da arrangiamenti di archi e ottoni, caratterizzano "Michael Caine", impreziosita dalla voce dello stesso attore, e "One Better Day", mentre la teatralità di "Cardiac Arrest" e il bozzetto colorato di "Lovestruck" concorrono a completare le varie sfaccettature dei londinesi. Non mancano dei gioielli anche fra i pezzi minori o se non altro meno noti quali l'inquieta "Waiting For The Ghost Train", traccia profetica di una momentanea disgregazione concretatasi di lì a poco, e "Johnny The Horse" dalla melodia accattivante ed easy listening. Chiudono il lotto alcune piste tratte dall'ultimo LP, tra cui una "Another Version Of Me" probabile allegoria di ulteriori mutamenti artistici.
Lambrette, cravatte e occhiali da sole: legati a un immagine che li ha resi immortali, i Madness si sono rivelati in realtà lungimiranti e non etichettabili. Superando in curva l'ombra della faciloneria e del mainstream a buon mercato, avanzando sempre un passo oltre.