Anche a scartamento ridotto, vista l'assenza non da poco di Mitch Harris, citato solamente nei credits, i Napalm Death riescono ancora una volta a regalarci un album pregevole, pur con qualche arrotondamento in fase di scrittura più marcato del consueto. Certo, chi si fosse fermato all'ascolto di "Scum" (1987) e "From Enslavement To Obliteration" (1988), a stento riconoscerebbe la fisionomia della band attuale; al contrario, gli estimatori di lunga data del gruppo britannico, accoglieranno la loro sedicesima fatica con un sollevamento del sopracciglio appena percepibile, plaudendo invece all'ennesimo inserimento di dettagli "alieni". "Throes Of Joy In The Jaws Of Defeatism" nasce, del resto, sulla scia degli ultimi due dischi in studio, "Utilitarian" (2012) e "Apex Predator - Easy Meat" (2015), lavori piacevoli, chiaroscurali, dalla solida base death/grind, ma arricchiti qua e là da elementi provenienti da diverse aree musicali. Ora, questi aspetti anomali, arrangiati a dovere, divengono legione, entrando in profondità nel nuovo lavoro.
Gli inglesi, dunque, canalizzano influenze industriali, post punk e noise in brani coesi, graffianti, e che mordono il freno senza perdere la direzione voluta. La maggioranza dei pezzi, comunque, mantiene visibile il legame con le vecchie radici, titillando sagacemente il palato dei puristi: l'opener "Fuck The Factoid" e "Backlash Just Because" masticano grindcore dell'era "Enemy Of The Music Business" (2000), rovente e barricadero, "That Curse Of Being In Thrall" tracima vertigini e velocità, "Fluxing The Muscle" mescola furente D-beat ad acide invettive in stile Crass, "Zero Gravitas Chamber", la title track e "Acting In Gouged Faith" rappresentano l'anima violentemente hardcore e protestataria del trio di Birmingham. La performance al microfono dell'istrionico Barney Greenaway, poi, al solito viscerale, collerica e animalesca, infonde, a delle canzoni che non rinunciano, sottotraccia, ad oculati abboccamenti melodici, un surplus di brutalità sempre gradita.
Altrove, però, troviamo materiali che esemplificano al meglio il sound "integrale" dell'act albionico, a partire da "Contagion", che, dopo un riff di apertura di sapore classic metal, si butta a capofitto nel thrash anni '80. Il mid-tempo privo di chitarre di "Joie De Ne Pas Vivre", cantato in francese e dalla spina dorsale prettamente industrial, poggia sulle percussioni marziali di Danny Herrera e sul basso pulsante di Shane Embury, mentre "Invigorating Clutch" esordisce con atmosfere di vago sapore gothic prima di stabilirsi in una zona di confine, tra il crust ruspante degli Amebix e la crudezza uterina dei Big Black. E se il singolo "Amoral", una delle piste maggiormente orecchiabili realizzate dal combo, non avrebbe sfigurato in un LP dei Killing Joke, la cacofonia cupa e organizzata di "A Bellyful Of Salt And Spleen" richiama alla memoria gli Swans del periodo primevo, quelli, per intenderci, di "Filth" (1983) e "Cop" (1984).
Fedeli a un'etica anarco-punk mai abbandonata, i Napalm Death di oggi sono, musicalmente, una bestia mutevole, sfumata, e capace, con "Throes Of Joy In The Jaws Of Defeatism", di fotografare una società fatiscente e fuori di testa. Quando veterani non significa obsoleti.