Ulver
The Assassination Of Julius Caesar

2017, House Of Mythology
PopRock Avantgarde

I mirabolanti e metamorfici "lupi" norvegesi tornano con un album inaspettatamente "synth-pop" che farà molto discutere, ma attenzione: le cose non stanno come sembrano...
Recensione di Matteo Poli - Pubblicata in data: 09/04/17

13 maggio 1981: attentato a papa Giovanni Paolo II.
 
31 agosto 1997: una delle notti più calde a Parigi; poco dopo mezzanotte, una Mercedes nera sfreccia attraverso le strade buie, inforca il tunnel di Pont de l'Alma e si schianta su un pilastro portante; nell'eco dello schianto, muore Lady Diana, principessa di Wales. La sua morte rieccheggia sinistramente il mito classico: Diana, dea della caccia, viene sorpresa nuda dal giovane Atteone, che viene tramutato in cerbiatto e muore sbranato dai suoi stessi cani.
 
29 ottobre 1997: in una piccola villetta al 6114 di California Street, San Francisco, nel quartier generale della Chiesa di Satana, da lui fondata, muore d'infarto Anton LaVey.
Cosa collega questi fatti apparentemente irrelati l'uno all'altro?


Lo scoprirete solo ascoltando "The Assassination Of Julius Caesar", l'ultima fatica discografica dei mirabolanti e metamorfici Ulver, una delle band più originali e sperimentali degli ultimi quindici anni. Per chi li conoscesse solo ora, è bene ricordare che i "lupi" (questo il significato del loro nome, in norvegese) iniziano la loro avventura musicale dai lidi del Black Metal by Norway di cui, con una manciata di album a metà anni '90, diventano tra i protagonisti indiscussi. In seguito si allontanano prima dal Black, poi dal Metal tout court, con lavori come "Perdition City" (2000, incursione nel Trip Hop), l'EP strumentale "Teaching In Silence" (2004) e gli album "Blood Inside" (2005) e "Shadows Of The Sun" (2007) in cui, pur tra i resti di una classica line up da rockband, la fanno da padrone armonie sinistre e soffuse, brani lunghi e atmosferici, voci sussurrate e sintetizzatori. Così nel successivo "War of The Roses" (2011) che vede un parziale ritorno al rock; negli ultimi quattro anni si sono succeduti - con rapidità stupefacente - l'album di cover psichedeliche "Childhood's End""Terrestrials" in collaborazione con i Sunn O))), "Messe I. X - VI.X" (in collaborazione con la Tromsø Chamber Orchestra di Oslo), la colonna sonora del film "Riverhead" e il penultimo fortunato album "ATGCLVLSSCAP".


Una carriera straordinariamente prolifica e varia, che segna una nuova tappa col presente lavoro, in cui la band ci sorprende ancora una volta: sì, perchè già dal primo brano "Nemoralia", e poi ascoltando altre tracce come "So Falls The World", "Southern Gothic" e "Transverberation", sentiamo di trovarci di fronte al lavoro più "mainstream" della loro carriera, che sembra collocarli in una regione attigua al rock pop elettronico di band quali Depeche Mode e ad artisti come Gary Numan: un ritorno alla tradizionale forma-canzone, ad armonie orecchiabili, ai refrain e al classico tempo di 4/4. La band medesima, sul proprio sito ufficiale, spiega che con questo lavoro ha prodotto il suo primo "pop album" e che si tratta di un progetto che cullava da molto tempo, per il quale può finalmente affermare di avere messo a punto una propria estetica definita: un lavoro, dunque, che farà discutere e che dividerà i fans storici della band. Il refrain di "Southern Gothic" recita: "I want to tell you something / about the grace of faded things".  Ma attenzione: non fidatevi, questo ritorno al passato è più apparente che reale: lo rivela la presenza di brani moto più sperimentali, come "Coming Home" e soprattutto "Rolling Stone", in cui si avverte chiaramente che la scelta di rendersi parzialmente più commerciali (l'appeal del cantato, i cori, le drum machine, i tappeti di sintetizzatori) non tradisce l'esperienza sperimentale dei lavori precedenti ma anzi ne fa tesoro, soprattutto per quel che riguarda l'attenzione ai timbri, ai suoni, ai riverberi: sentire il crescendo parossistico del finale per credere. La produzione è davvero eccellente e se il songwriting appare decisamente tradizionale, il suono avvicina gli Ulver, con buona pace del loro preteso "pop", a realtà musicali di frontiera lontanissime dalla musica commerciale, quali Brian Eno, Robert Fripp, gli Einsturzende Neubauten, Nils Petter Molvaer e Alva Noto: scultori di suoni, più che musicisti in senso tradizionale.

Dunque? Synth-pop o sperimentazione? Ancora una volta gli Ulver sfuggono con classe ad ogni comoda classificazione, dimostrando la loro grande indipendenza artistica e intellettuale. Al solito, la band si è avvalsa di numerose collaborazioni: Kristoffer Rygg, Jørn H. Sværen and Tore Ylwizaker, insieme a Ole Alexander Halstensgård, che fu un importante ispiratore nei primissimi album degli Ulver, hanno chiesto la partecipazione del chitarrista sperimentale Stian Westerhus su diverse tracce. Inoltre il leggendario Nik Turner degli Hawkwind partecipa col suo sassofono al brano "Rolling Stone". L'album è mixato da Martin Glover (Killing Joke, Fireman, Verve) e Michael Rendall. Attendiamo con ansia di assistere dal vivo agli show del nuovo tour, che promette la band, sarà indimenticabile.





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