Gli Obituary sono tornati in studio per una nuova release, "Ten Thousand Ways To Die", contenente 2 tracce inedite e 11 registrazioni live tratte dal tour di supporto a Inked in Blood del 2015.
Nati con il moniker Executioners nel 1984, gli Obituary sono uno dei gruppi cardine del death metal, insieme ai Death, ai Cannibal Corpse e ai Deicide.
Caratterizzati da una musicalità più lenta rispetto a quella adottata da altre band del panorama death metal, gli Obituary richiamano all’attenzione il thrash metal, punto di riferimento essenziale in quanto ha caratterizzato la scena estrema americana che vide nascere, tra gli altri generi e sottogeneri, il death metal. Il primo demo degli Obituary, "Metal up your Ass", era fortemente influenzato dal thrash metal, così come lo era la voce di John Tardy, lontana dal manifesto del death che oggi conosciamo.
La release fa molto affidamento a canzoni appartenenti al primo album degli Obituary, "Slowly we Rot". 35 minuti di potenza per un disco che ha saputo mischiare melodie gotiche e lente ad altrettante maggiormente ritmiche. È un disco carico di momenti sinistri e decisi, dove non vi è growl che non contorca. Sono ad esempio calci allo stomaco le note chitarristiche di Trevor Peres in “Intoxicated”, mentre la batteria è spinta, veloce e altamente godibile in “Bloodsoaked”.
Sembra stia rigettando l’anima John Tardi in “’til Death”. In realtà il suo è un growl liberatorio su una base avantgarde metal, dove i circa 3 minuti di “’til Death” sembrano consumarsi ancor prima.
“Dying” è una mitraglia dritta a cuore e polmoni. È proseguita dunque l’ascesa degli Obituary con il secondo disco, "Cause of Death", uno dei masterpiece della band di Tampa, Florida. 2:52 minuti strumentali, cui seguono i sospiri e la brutalità di Tardy su una base leggermente doom. Rade e feroci sono le parole pronunciate da John Tardy nel complesso di “Dying”:
“We’re dying for our souls to learn / to burn / to learn.”
All’impazzata le velocità di “Find the Arise” non sono eccessive, il muro ritmico costruito dalle due chitarre, dal basso e dalla batteria sembra composto da cemento armato. L’abilità di Peres alla chitarra morbidamente si intreccia a quella di Murphy e ai piatti schiaffeggiati da Donald Tardy.
Sempre più solidi si presentano gli Obituary in “Don’t care”. Ecco a voi il brutal e i classici assoli stile anni ’80 che spettinerebbero qualsivoglia spettatore.
Ingredienti essenziali nel ricettario degli Obituary sono dunque velocità, tempi ritmici calzanti e mai banali. La band è diretta e assai grezza nel messaggio al pubblico. E’ primitiva, come rammenta la track “Back to the Primitive” dei Soulfly, cui alla scuola death devono molto.
“Centuries of Lies” è un groviglio di furia senza fronzoli. Sembrano essere qui venuti meno i tecnicismi cui Peres & Co. ci avevano abituato nella prima metà degli anni ’90. Il pezzo è più scarno e potente. Non sembra però carente di quella passione che ci trasportava con "Slowly we Rot" e "Cause of Death". Lo stesso discorso vale per “Visions in my head”, un carro armato di voracità grazie alla doppia cassa che è sinonimo di amore per l’headbanging.
Accattivante e graffiante è il growl di Tardy in “Loathe”, un brano dotato di un pizzico di groove e di chitarre lontanamente distorte. “Loathe” è cadenzato nella lentezza dei suoi movimenti alternati a una ritmica soft, dunque non sprezzante. Chiude il cerchio il secondo singolo “10.000 Ways To Die” dove, sebbene l’intro ci riconduca troppo verso gli anni 2000, i ragazzi si riprendono e con la prima chitarra ci regalano un assolo lineare dove risiede la Bellezza del componimento.
Un sunto disordinato che con pochi elementi ripercorre il filo rosso degli Obituary. Da vedere rigorosamente dal vivo.