Obituary
Obituary

2017, Relapse Records
Death Metal

Non possiamo che lodare la scelta degli Obituary di imprimere il loro nome su un'opera che, pur non facendo gridare al miracolo, ci dimostra che questa storica band, nonostante l'età, ha ancora molto da dire

Recensione di Icilio Bellanima - Pubblicata in data: 09/04/17

Gli Obituary, pionieri del death metal floridiano, non hanno bisogno di alcuna presentazione: hanno scritto pagine indelebili del genere, plasmando una visione dello stesso tutta loro, macabra e morbosa, poi assimilata e ripresa da decine di emuli. Mentre tanti loro colleghi gareggiavano in velocità e sfoggi di tecnica via via più inumani, loro preferivano rallentare, come a voler gettare l'ascoltatore in delle sabbie mobili fangose, o in qualche palude della loro Florida. Sono attivi da quasi trent'anni ormai, eppure, nonostante gli stop e le tempistiche dilatate tra un'uscita e l'altra nella seconda metà della loro carriera, non sembrano voler concludere il loro percorso spaccaossa, che col passare del tempo si è lasciato contaminare da più generi, snaturando in parte la loro proposta.
 

Anche questo decimo, omonimo album, non è esente da qualche passo falso e divagazioni a volte aliene dai loro tratti distintivi, ma per quanto lontano, dal punto di vista qualitativo, dai fasti di un tempo, è senza ombra di dubbio il loro miglior lavoro dell'era 2000. Il merito è di brani dal tiro assassino, trattati di brutale maleducazione sonora da insegnare nelle scuole, come l'opener "Brave", scandita dal tupa-tupa continuo dell'incommensurabile Donald Tardy, o la feroce quanto marcia "End It Now", sicuramente tra le highlights del disco. "Kneel Before Me" straborda di riffing puramente death metal, meno contaminato da influenze hardcore (per nulla nascoste nelle loro ultime uscite), mentre in "It Lives" gli Obituary rallentano e tornano indietro nel tempo, con l'iconica ed inconfondibile voce di John Tardy che diventa cavernosa e accompagna l'ascoltatore dritto in qualche cunicolo sotterraneo sepolto da melma e carcasse di insetti.

 

Una sequela di ottimi brani (segnaliamo anche la groovy "A Lesson in Vengeance"), inframezzata però da pezzi da dimenticare, come la seconda traccia, "Sentence Day", che parte alla grande ma si perde in un brodo di assoli superflui che dipingono atmosfere lontani anni luce dal death metal dei nostri, creando una dissonanza davvero sgradevole. Una rievocazione del fantasma di Ralph Santolla e delle sue esagerate e masturbatorie parti solistiche che lasciano il tempo che trovano e di cui avremmo fatto volentieri a meno. Per non parlare di "Betrayed", altro abisso qualitativo, il cui riff introduttivo è entrato di diritto nella classifica dei più brutti, noiosi e scontati dell'anno.

 

Fortunatamente esiste il tasto "skip", e ci pensano la già edita "Ten Thousand Ways to Die" e la bonus track "No Hope", poste in chiusura, a riempire quel vuoto sul vostro stereo/lettore MP3/Spotify.

 

Gli album omonimi sono sempre carichi di significato, e non possiamo che lodare la scelta degli Obituary di imprimere il loro nome su un'opera che pur non facendo gridare al miracolo, ci dimostra che questa storica band, nonostante l'età, ha ancora molto da dire.





01. Centuries of Lies
02. Violent by Nature
03. Pain Inside
04. Visions in My Head
05. Back on Top
06. Violence
07. Inked in Blood
08. Deny You
09. Within a Dying Breed
10. Minds of the World
11. Out of Blood
12. Paralyzed with Fear

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