Judas Priest
Turbo

1986, Columbia Records
Heavy Metal

Recensione di Federico Mainardi - Pubblicata in data: 22/03/13

La maggior parte dei fan dei Judas Priest, interrogato su questo disco, mastica un giudizio sprezzante il cui senso, in sintesi, è: gli altri dischi dei Judas sono tutta un’altra cosa. Vero, verissimo. Ma il fatto è che quest’assunto va ribaltato: è "Turbo" ad essere un’altra cosa, una cosa diversa! Come tale, perciò, merita di essere giudicato: la sua spiazzante particolarità lo fa sfigurare se messo a confronto con il resto della granitica produzione dei suoi creatori, ma, valutata di per sé, reclama un parere più accorto.

Immaginiamo che "Turbo" non sia il decimo disco in studio dei Judas Priest, blasonati difensori della fede metallica, e che perciò non si trovi a dover convivere con due predecessori illustri e appariscenti come i superbi "Screaming For Vengeance" e "Defenders Of The Faith". Immaginiamo che sia l’esordio di un gruppo non ancora affermato: in pochi potrebbero dire che questa band, sconosciuta quanto abile, sia l’infelice artefice di un brutto lavoro. Il nostro gruppo ignoto si distinguerebbe anzitutto per le sue influenze sia heavy che hair metal, due generi popolarissimi negli Eighties. Anzi, due generi tanto in voga che "Turbo", ideale connubio di essi, avrebbe anche potuto lanciare una tendenza, se non fosse stato accolto tanto male dai fan dei titanici Judas Priest – e non di uno dei tanti, talentuosi gruppi del periodo.

Ma proseguiamo la nostra finzione e analizziamo l’album: "Turbo" è fatto di pezzi freschi e incalzanti, leggeri e colorati da sonorità patinate, dove a far da padrone sono le guitar-synth e le neonate tecnologie di registrazione digitale. Quelle stesse che figurano in un disco coevo, "Somewhere In Time" dei grandi Iron Maiden; ma là timidamente, qui con estro e spericolatezza, con un’esuberanza quasi barocca che impreziosisce le tracce: lungi dal perde mordente o energia, ne sono sontuosamente rivestite. Un’invidiabile perizia tecnica, specialmente vocale, ed assoli di primissimo livello completano un disco frizzante e melodioso, che trasmette un’intensa carica positiva. Tra i pezzi meglio riusciti vanno annoverati "Turbo Lover", con le sue chitarre sincopate ed il suo andamento in crescendo, le trascinanti "Locked In" e "Rock You All Around the World", e ancora "Out In The Cold", un mid-tempo estremamente espressivo, e la bella Reckless.

Dunque un disco leggero ma non spompo, orecchiabile ma non sciatto: più che altro un disco inaspettato e insolito. Un ibrido riuscito perché in grado di conciliare le due anime del metal anni ’80: quella più lustra e affilata, e quella più patinata e morbida. A questa seconda vanno ascritti i testi rivolti ad un pubblico adolescente, l’estetica della band e la copertina che indulge ad un facile riferimento sessuale… ma almeno, va detto, su questa componente kitsch del metallo ottantiano non grava la vanità di essere presi sul serio, che si riscontra invece in taluni esiti grotteschi del metal più estremo. "Turbo", però, non è l’esordio di un brillante gruppo ignoto. Sfortunatamente. Al contrario è un capitolo della lunga discografia dei Judas Priest, condannato a sopportare l’ingrato paragone con gli altri album della band che ha forgiato l’heavy metal più puro; quel che è certo, comunque, è che "Turbo" non merita voti bassi, e men che meno rovinosi. Un grande fan di quest’album, citando Frank Zappa, ha scritto: “La musica si può ascoltare a vari livelli e con differente coinvolgimento emotivo; ed ogni punto di vista è ovviamente rispettabile perché la musica (music is the best) presuppone ed autorizza, sempre e necessariamente, libertà” (Roberto Bianco). Ebbene, se "Turbo" non può sottrarsi al disprezzo dei puristi, che almeno abbia la disponibile attenzione di tutti gli altri: se la sperimentalità, anziché l’integrità, fosse il valore cardianale del popolo metallico, "Turbo" troverebbe la sua fortuna. Se, se…



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