Sarà stata probabilmente l'esperienza con Black Trip e Vojd delle due asce di ritorno Johann Bergebäck e Sebastian Ramstedt a indirizzare il sound del nuovo album dei Necrophobic, veterani della scena estrema svedese che mai avevano flirtato tanto a fondo con la melodia e l'heavy classico. Rispetto a un precedente "Mark Of The Necrogram" (2018) che, pur nell'invariabilità sulfurea della formula, diede sfoggio di un blackened death dal taglio decisamente "commerciale", "Dawn Of The Damned" risulta all'ascolto ancora più orecchiabile e accattivante. Il gruppo guidato dal batterista Joakim Sterner e dalla voce al vetriolo di Anders Strokirk, gli unici due membri rimasti della line-up originaria, anche per variare lo spartito, imbocca, dunque, una strada non dissimile da quella intrapresa ormai da anni dai Behemoth. E bisogna ammettere che gli scandinavi, al pari dei dirimpettai polacchi, lo fanno in maniera convincente, sfornando un disco equilibrato e giudizioso.
Una traccia dal minutaggio consistente come "The Infernal Depths Of Depravity" offre alla band ampio spazio per ostentare i molti punti di forza affinati nel corso di tre decenni di una carriera invero dal percorso spesso tribolato; ma a colpire, al di là della perfetta fluidità del brano e del certosino lavoro della sei corde solista, è una sezione centrale colorata di raggiante ed espansiva malinconia. L'altrettanto lunga "The Return Of The Long Lost Soul", forse il pezzo migliore del disco considerata l'aura sinistra e lunatica che lo pervade, si dipana con la medesima efficacia, altresì grazie a degli evocativi accenni mediorientali - già comunque impiegati in passato dal combo - capaci di speziarne il songwriting.
Le ritmiche forsennate di "Darkness My Guide" e "Tartarian Winds", quest'ultima non priva di un certo gusto epic folk e caratterizzata da cadenzati intervalli in mid-tempo, ricordano, a tratti, gli Immortal meno vetusti, mentre le atmosfere goticheggianti di "Mirror Black", edita qualche mese fa all'interno dello scorso EP omonimo, e la torrida "As The Fire Burns" si agghindano di fraseggi classic metal davvero di buona fattura. E se il sustain di chitarra all'inizio di una canonica "The Shadows" nasconde, per un attimo, l'ombra madre dei Dissection che serpeggia nell'intero lotto, "Devil's Spawn Attack", con Marcel Schmier dei Destruction ospite dietro il microfono, si rivela la granata thrash idonea a concludere degnamente il platter.
L'uscita di "Dawn Of The Damned" proietta i Necrophobic definitivamente fuori dalla comfort zone degli appassionati di settore; malgrado resti difficile il raggiungimento di un clamoroso hype mondiale, l'esperto act di Stoccolma si situa appena a ridosso di formazioni appartenenti alla grande nobiltà di sangue e di mercato. Bella legnata rovente, senza dubbio.