Anathema - Satellites Over Europe Tour
06/10/14 - Alcatraz, Milano


Articolo a cura di Stefano Risso

Una ancor tiepida serata autunnale accoglie nuovamente gli Anathema in quel di Milano, ormai quasi di casa vista la cadenza e frequenza dei concerti degli inglesi nel nostro Paese. Infatti tra gli astanti in coda davanti all’ingresso figuravano certamente molti più abituè rispetto a newcomer, entrambi desiderosi di testare dal vivo la tenuta del recente “Distant Satellites”, onnipresente sotto forma di magliette o feticci da far autografare. Un pubblico che, teniamo a sottolinearlo, spaziava dalla ragazzina ancora emozionata arrivata pazientemente in coda ore prima, all’uomo maturo (con signora al seguito), segno della trasversalità e della longevità della musica dei protagonisti della serata.

Come praticamente ogni live che si rispetti, tocca alla band di apertura colmare il gap temporale tra l’inizio della serata e il piatto forte. Compito arduo, perchè tra un salto al bar per una birra, due chiacchiere, una sala in via di riempimento, l’attenzione dei presenti è per forza di cose minore. Fortunatamente il trio austriaco Mother's Cake ha il piglio giusto per farsi notare dai più distratti grazie a un tiro e una vitalità davvero interessanti. Durante il meet & greet con gli Anathema (svolto mentre i tre giovani eseguivano il soundcheck), Vincent Cavanagh ci aveva avvertiti della bravura della band, a suo dire un misto di “Jimi Hendrix, Led Zeppelin, Red Hot Chili Peppers, The Mars Volta. E blues”. Un miscuglio pericoloso che ben figura dal vivo, facendo appunto della notevole mutevolezza dei brani il proprio cavallo di battaglia. Strutture lunghe, articolate, in cui la gioventù degli austriaci si mostra nella stretta vicinanza con le proprie influenze (ad esempio in un ascolto a occhi chiusi avremmo pensato di trovarci di fronte Cedric Bixler Zavala e compagni), presentando un prog rock, robusto e funky davvero convincente. Una bella sorpresa.

 

 

Ore 21.00 precise, è il turno degli Anathema. Una sala che è andata via via rimepiendosi accoglie i nostri con il solito calore (sempre ricambiato durante tutto il concerto), giusto il tempo che i cinque si posizionino sul palco (Alcatraz in versione palco B) e parte l’attacco delle due “The Lost Song”, tracce di apertura dell’ultimo “Distant Satellites”, ovviamente protagonista assoluto della serata, da cui verranno estratte otto canzoni (su un totale di dieci, praticamente tutto l’album). Scenografia minimale, in cui si stagliano i toni rossi della copertina dell’ultimo inciso, che infondono ancor più senso di calore e intimità, se mai ce ne fosse stato bisogno. La musica degli Anathema cammina unicamente su quelle trame sottili del trasporto emotivo, dell’abbandono, di quel distacco che per un’ora e cinquanta di esibizione riesce a far viaggiare la mente e il cuore, un terreno difficile, specie in sede live, che i nostri hanno ormai da anni dismostrato di tenere in pugno come pochi altri. Se dovessi scegliere un aggettivo direi senza subbio: delicati. Seppur non siano mancate sferzate più energiche durante la serata, è il senso di pace e di trasporto quello che affiora maggiormente, rapiti dalla voce soave (e sempre più “co-protagonista”) della brava Lee Douglas, splendida tanto nei contrappunti in coppia con Vincent, quanto da sola, riempiendo con la sua voce una sala finalmente, almeno nella nostra postazione, in rispettoso silenzio.

 

 

Come abbiamo detto, gli Anathema ormai sono un “classico” del panorama concertistico italiano/milanese e sull’esibizione non si può che tessere lodi sulla tenuta ormai collaudata dei fratelli Cavanagh e compagni. Un Vincent “mattatore”, decisamente il più mobile e scenicamente rilevante, fa il paio con un Daniel, vero “deus ex machina” della band, molto più misurato e amichevole nei confronti del pubblico, addirittura presentandosi sul palco in giacca e cravatta. Piccola nota: proprio ieri il nostro ha compiuto quarantadue anni, una ricorrenza non sfuggita ai fan che più volte gli hanno dedicato, sia fuori che durante lo show, i classici “Tanti Auguri” sia in italiano che in inglese. Una band in totale controllo del proprio repertorio, delle proprie capacità e di come rapire i presenti. Forse fin troppo in controllo, dal momento che questo ci offre l’occasione di affrontare le due piccole pecche della serata. Ovvio, una scaletta non potrà mai soddisfare tutti, ma lasciare fuori dalla setlist alcuni brani, ad esemepio, come “Dreaming Light” e “The Storm Before the Calm” a memoria due dei momenti più intensi dell’esibizione di due anni fa, in favore di una così netta preponderanza del nuovo materiale, avrà sicuramente fatto storcere il naso a qualcuno. Secondariamente, per chi ha avuto modo di vedere più volte gli Anathema, si è palesata una certa “staticità” dell’esibizione, come se tutte le battute, gli intermezzi, le trovate sceniche fossero prese pari pari dai concerti svolti nel corso degli anni, andando così a perdere quella sincera spontaneità propria di un live. Un esempio? Ogni volta tocca a un brano diverso, ma prima o poi si sapeva che sarebbe arrivato il momento (cosa ovviamente accaduta) in cui il buon Daniel avrebbe chiesto al pubblico di accendere tutti i telefonini per fare più luce possibile, sottolineando di come gli accendini non siano più di moda. Niente di grave per carità, in particolar modo per chi assisteva a un loro concerto per la prima volta, ma un rinnovamento del repertorio non farebbe male.

Piccolezze comunque, perchè il ricordo del giorno dopo di gemme come “Thin Air”, le due “Untouchable”, “Closer”, “Are You There?” o “A Natural Disaster”, bastano e avanzano per “perdonare” gli Anathema, comunque autori di una prova degna del loro status, supportati per giunta da suoni ottimali sin dalla prima canzone. L’ennesima dimostrazione di una band di grandissimo valore, che, vista la buonissima risposta del pubblico italiano, siamo sicuri ci farà ancora visita molto presto.




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