Accept (Wolf Hoffmann)
In previsione dell'uscita di "The Rise Of Chaos" il 4 agosto, nuovo capitolo della collaborazione tra la storica band teutonica, fresca della pubblicazione di "Restless & Live", e la compatriota Nuclear Blast, abbiamo scambiato due chiacchiere con Wolf, chitarrista, membro fondatore degli Accept e grande appassionato di musica classica e... fotografia!
Articolo a cura di Pamela Piccolo - Pubblicata in data: 02/08/17
Si ringraziano Luca Ciuti ed Eleonora Muzzi per la collaborazione
 
 
Ciao Wolf e bentornato su SpazioRock! Come stai?

Ciao SpazioRock! È fantastico essere qui. Fa caldo ed è inevitabile, parliamo di metal!

Partiamo con una breve digressione sul passato. La vostra carriera è stata segnata da una pausa lunga 14 anni dopo la quale siete rinati, letteralmente. Avete mai pensato che questa parentesi potesse avere delle ripercussioni sul vostro approccio alla scrittura del brani o sulla vostra ispirazione? 

Non molto, ho pensato piuttosto che se ce l'abbiamo fatta quando eravamo teenager, o quando comunque eravamo più giovani, sarebbe andata bene anche a seguito di questa pausa. Al tempo stesso non potevamo davvero sapere se ne avremmo risentito o meno. Ci siamo riuniti e abbiamo cercato di capire se fossimo ancora capaci di suonare come un tempo, avendone la stessa energia. È qualcosa che non puoi prevedere, ma ti siedi e dici “proviamo a vedere cosa salta fuori”. In poche settimane abbiamo buttato giù “Blood Of The Nations” e molte, molte altre idee. Perciò direi che non abbiamo accusato in alcun modo la battuta di arresto. Ad essere onesti è difficile a dirsi in anticipo. Poteva anche capitare che ci guardassimo e ci dicessimo “siamo a corto di idee, e ora?”… Grazie a Dio non è stato questo il caso.

I vostri fan sono in fermento per l'uscita di “The Rise Of Chaos”, il vostro quarto album consecutivo con Nuclear Blast. Cosa puoi anticipare loro? Immagino proseguirà la tradizione dei predecessori "Blood Of The Nations" (2010), "Stalingrad" (2012) e "Blind Rage" (2014) o sbaglio?

Si, è il naturale proseguimento del sentiero che abbiamo intrapreso sette, otto anni fa. Un altro passo nella stessa direzione, niente di più, niente di meno. Per quanto ci riguarda, siamo in una fase di grande continuità, qualcosa senza precedenti: non abbiamo mai attraversato un periodo così lungo con lo stesso produttore, la stessa etichetta, lo stesso cantante. Abbiamo cambiato recentemente due membri, ma è il medesimo team a lavorare su questo disco e ad andare in tour.
 
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Il 3 agosto gli Accept si esibiranno a Wacken 2017 per una serata da ricordare. Proporrerete nuove e vecchie canzoni, nonché brani estratti dal tuo album solista “Headbangers Symphony”, pubblicato nel 2016, in collaborazione, per la prima volta, con la Czech National Symphony Orchestra. Come ti senti all'idea di suonare con un’orchestra?Nervoso? 

Sì. Una risposta breve a una domanda lunga: sì. Sono molto nervoso, ma auspicabilmente mi rilasserò una volta salito sul palco. Avremo la possibilità di provare con l’orchestra solo una volta, quindi sono molto teso ma qualche volta il nervosismo è una cosa buona. Ammetto di essere agitato e molto emozionato, perché questo è un sogno che coltivo da diverso tempo. Un sogno che finalmente si avvera. Abbiamo lavorato in studio al riarrangiamento delle canzoni di “Headbangers Symphony” e ho sempre avuto in mente questa immagine di poter un giorno salire sul palco con un’orchestra. Credo che sarà grandioso.   

In “Headbangers Symphony” hai rivisitato famose opere di Beethoven, Vivaldi e Mozart in chiave metal. L’album è stato molto apprezzato dalla nostra redazione, in quanto tu hai creato melodie classiche che suonassero attuali ed efficaci. Quale è stato il segreto dietro alla sua creazione?
 
C’è un segreto? Non credo. Penso al modo in cui mi sono approcciato a quelle canzoni. Guardo a loro come a pezzi strumentali rock o metal, come farei normalmente, e a come ho composto canzoni nel passato, avendone la melodia in testa e scrivendone i giri strumentali. In questo caso ho rubato le composizioni classiche di Beethoven e Mozart e le ho fatte mie. Ho trovato riff che funzionavano. È abbastanza semplice in realtà. La cosa difficile è stata adattare le parti scritte per l'orchestra, che non necessariamente si conciliano con la batteria e la strumentazione moderna. Capire quale melodia funziona, quale groove, i tempi che possono essere suonati… quella è la parte complicata. La musica classica è piena di momenti bellissimi, ma purtroppo non tutti possono essere tradotti.  
 
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Dagli inizi della vostra carriera è cambiato il vostro processo di scrittura? In caso affermativo, come?

Nemmeno di una virgola. È ancora incentrato sull’avere idee, condividerle con un compagno o due. Nel mio caso il partner è sempre stato Peter Baltes. Abbiamo sempre avuto una connessione sin da quando ci siamo incontrati da ragazzini ed è facile e divertente scrivere canzoni, anche quando lì per lì non escono subito buone. Ci è sempre piaciuto lavorare insieme.

Solitamente non parlate dei vostri testi, ma volevo chiederti se gli Accept sono interessati alle tematiche politiche e sociali, poiché canzoni come “Teutonic Terror” e “Stalingrad” sembrano essere connesse alla Seconda Guerra Mondiale. È vero?

È corretto. Certamente vogliamo che a un certo punto si ascoltino anche le parole, ma prima viene la musica. Quello che voglio dire è che non abbiamo un grande messaggio nel nuovo album. È una collezione di 10 canzoni e ognuna ha per noi il suo significato. Quando abbiamo scritto “The Rise Of Chaos” abbiamo sentito che era un buon titolo, che qualcosa era nell’aria. C’è troppo caos e va peggiorando. “The Rise Of Chaos” sembrava calzare i tempi che viviamo oggigiorno e ovviamente può essere interpretato a livello politico. Specialmente con tutte le cose che stanno accadendo negli Stati Uniti o in Inghilterra, in Francia, in Turchia, dovunque ti giri il caos cresce. È un titolo decisamente attuale. A parte ciò, il modo in cui scriviamo le canzoni è sempre lo stesso. Come ho detto, Peter e io arriviamo solitamente con i concept musicali e con frasi come “Non portare sulle spalle il peso del mondo”, qualcosa su cui possiamo intavolare una conversazione. Quando perveniamo a frasi di questo tipo o focalizziamo il tema delle canzoni, le passiamo a Mark. “Ehi, abbiamo il tema per la canzone Rise Of Chaos. Cosa ne pensi?”. Mark scrive tutti i testi, e noi non questioniamo mai, il nostro apporto sono le idee, o  l'input della canzone, se preferisci.  

Cosa pensi della scena metal odierna? Avete sempre suonato heavy metal senza sperimentare molto, mentre il mondo sembra aver virato verso la contaminazione musicale.

Contaminazione musicale. Mi piace questa espressione. Sì, noi non vogliamo essere contaminati. Abbiamo il nostro stile, lo abbiamo trovato, non mi preoccupo di quello che fanno gli altri e non ascolto molta altra musica. Suona strano, ma è vero. Non presto molta attenzione a quel che accade nella scena metal. A parte l’incontrare qualche altra band ai festival e uscire a vederli suonare qualche minuto... non faccio altro. Non voglio e non ne ho bisogno. Sono talmente felice e soddisfatto della nostra musica da non essere curioso di quel che accade d'altro. Se voglio ascoltare musica metto su musica classica.

Ad esempio?

Čajkovskij è stato il primo compositore ad avermi introdotto al mondo della classica, Georges Bizet, Dvořák, Mozart, Beethoven sempre, Vivaldi in minor misura, di Bach non mi piace tutto, tranne alcune melodie. Ci sono così tanti e diversi volti nella musica classica... è un campo stupefacente e anche se passi tutta la vita a scoprirli non finisci mai. C’è una ampia varietà. Lo stesso è nella pop music o nel metal: non puoi ascoltare tutto, ci sono milioni di band, nessuno può verosimilmente sapere tutto di tutti. 

Quale canzone preferisci suonare dal vivo?

Dal vivo mi piace molto “Princess Of The Dawn”, perché è super semplice e invoglia la gente a partecipare. In studio o durante le prove è invece super noioso suonarla, perché non accade nulla, è una canzone monotona. Ma quando l’audience è coinvolta diventa una delle mie preferite. Se sono in studio da solo mi piace molto anche “Shadow Soldiers”. È una gran canzone per un chitarrista. Ma tutte sono le mie preferite: tutte figlie mie!

Salire sui palchi di tutto il mondo può essere estenuante, ma tu hai sempre una grande energia! Preferisci suonare in luoghi piccoli o a grandi festival? Inoltre, preferisci i festival o le singole date?

Entrambi! Le grandi dimensioni sono una sfida. Ovviamente un palco più grande è lontano. Suoneremo al Wacken e Wacken ha notoriamente un palco enorme. Ci sono 10 metri prima di arrivare ai primi ragazzi, puoi a malapena vederli da così lontano, ma al tempo stesso vedi 80.000 persone e un sacco di energia che proviene da lì. Mi piace, ma personalmente preferisco la vicinanza, mi piacciono i palchi un po’ più piccoli. Se hai un palco più piccolo hai però meno persone, del resto non puoi avere tutto. Mi piacciono entrambe le soluzioni per varie ragioni. In un lavoro come il nostro devi prendere quello che viene e non puoi aspettarti di essere sempre davanti a una folla immensa. Forse se sei gli U2 o gli AC/DC… Abbiamo suonato un paio di volte con gli AC/DC di fronte a 60-80.000 persone, è normale per loro, io non potrei nemmeno immaginare come sarebbe se ogni show fosse così affollato. Mi chiedo come potrebbero sentirsi queste band se dovessero suonare in un club di 400-500 persone e se ci riuscirebbero. Io so solo che noi suoniamo ovunque e che ci piace tutto.    

UDO sta portando avanti dal 2015 la setlist della sua era negli Accept. Cosa ne pensi?

È una questione di principio. Una volta che un componente ha lasciato la band, e lui ha lasciato il gruppo molti anni fa, preferisco non parlarne. Come per ogni altro ex membro, come David Reece, che suona là fuori canzoni degli Accept, lascio indovinare ai lettori cosa posso pensarne.

Oltra a essere musicista, per un certo periodo sei stato anche un fotografo. Coltivi ancora questa passione? 

Beh, ho iniziato alla fine degli anni Novanta, quando pensavo che con la musica fosse finita. Credevo che l’heavy metal fosse morto, che gli Accept fossero finiti... così ho intrapreso una nuova carriera come fotografo. L’ho fatto per una quindicina d'anni. Nel 2009, quando ho ripreso di nuovo a suonare con gli Accept, ho creato più musica e mi sono dedicato sempre meno alla fotografia. Ora, dallo scorso anno mi occupo soltanto di musica.

Pensi ci sia una correlazione tra musica e fotografia?

Sì, a un certo livello c’è. Sicuramente ci sono molte similarità nel processo di pensiero. Scattare una fotografia non è poi tanto diverso dallo scrivere una canzone. Si tratta di creatività e di fare qualcosa di bello. Ti migliori quando cerchi di scrivere canzoni migliori o di scattare fotografie migliori. Ci sono molti parallelismi, entrambi sono campi artistici e lavori estremamente ardui. Ho scelto due lavori simili e impossibili e ho avuto successo rendendoli una professione. Ho avuto una vita soddisfacente da fotografo negli Stati Uniti, ma ho sempre sentito che la musica fosse la mia vocazione. La fotografia era più semplice, sebbene talvolta stressante, ma alla fine è più semplice guadagnarsi da vivere come fotografo che come musicista. Non è stato tanto gratificante per me essere un fotografo. Non ho mai fatto interviste in qualità di fotografo, ad esempio. Nessuno ha mai chiesto un mio autografo per i miei scatti. 

Grazie per questa intervista Wolf. Vorresti lasciare un messaggio ai lettori di SpazioRock e ai tuoi fan italiani?

È fantastico essere tornati in Italia! Non vedo l’ora di tornare la primavera del 2018 per la promozione del nuovo album “The Rise Of Chaos”. Adoro il pubblico metal e i fan metal, ovunque essi siano. I fan italiani sono magnifici, leali e ne sono davvero orgoglioso. Spero continuerete a seguirci. Ci vediamo presto on the road!



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