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Touché Amoré – Spiral In A Straight Line

Jeremy Bolm è martire del suo e, al contempo, del nostro dolore. Un mediatore volontario, spintosi audacemente a tastarci le viscere ingrossate per poi ficcarsele dentro al fine di sgonfiarle, esorcizzando l’angoscia in pubblica piazza. Un anello di congiunzione verso una felicità miraggio, che pare correre via non appena le ci sediamo vicino.

I Touché Amoré sono tutto questo, per molti di noi: che siano quelli della pioggia nera di “…To the Beat of a Dead Horse” o dell’infiorata di lacrime di un amaro capolavoro come “Stage Four”, la band di LA continua a rovistarci nel cervello, aiutandoci a boccheggiare per riacciuffare un respiro strozzato dal peso di una vita che sa essere lancinante.

Un itinerario lineare che, però, rigira su sé stesso, volteggia vigorosamente ad ogni scossone e ci scaglia indietro: “Spiral In A Straight Line” si riaggancia all’eterna lotta con i propri demoni, alla paura della mancanza e al debilitante processo di elaborazione di ciò che si è perso per strada, riportandoci i losangelini a quattro anni di distanza dal potente “Lament”, già veicolo di un ampliamento (e miglioramento) melodico, intrapreso convintamente con “Stage Four”.

Il sesto full-length non va troppo lontano dal suo predecessore, riprendendone le sfuriate e quell’armonia carezzevole che irrompe a sedare il bollore delle corde vocali: lo screamo di casa che si impossessa delle cavalcate di “Disasters” e “Mezzanine”, così come il versante più melodico del post-hardcore, che patina di una finta scorza pop-punk le aperture più luminose di “Hal Ashby” e che anima gli afflati più riflessivi (e gli appetitosi stacchi strofa-refrain) di “Nobody’s”, pezzo che è un po’ il simbolo degli ultimi anni dei Touché Amoré e di quell’oculata evoluzione nel guitar work dell’affiatata coppia Stevens/Steinhardt.

Ma non è solo negli affondi ferrosi che si muovono le sei corde: “Force Of Habit” segue gli stilemi dei lenti di casa (“A Broadcast”), “Altitude” gioca coi riverberi come “Skyscraper”, celando sotto di essi, però, una matrice meno toccante, ma più rabbiosa, lasciata deflagrare in uscita. “This Routine” brilla nelle armonie per poi far risuonare la sua vena anthemica nella seconda parte, mentre “Finalist” ci teletrasporta agli esordi più grezzi.

Decisamente validi sono i featuring: il primo, con Lou Barlow dei Dinosaur Jr., pizzicato placidamente dal riffing arpeggiato e massaggiato da un JB più cauto, che tiene in tasca gli scream (pur tirandoli fuori nel finale) e si perde nel flusso, agganciandosi alle lyrics di “Brand New Love”, cantate proprio dal frontman dei Sebadoh e incorporate in “Subversion”, uno degli highlight del disco.

Il secondo (“Goodbye For Now”), anch’esso notevole, ci riporta la fedelissima Julien Baker delle boygenius, già presente in “Skyscraper” e in “Reminders”, e spegne i fervori, come di consueto, in una coda malinconica, con la progressiva stratificazione di voci e di emozioni sul piatto.

Insomma, “Spiral In A Straight Line” ci strappa nuovamente un sorriso (e più di qualche lacrima): tutto normale coi Touché Amoré, in grande spolvero anche dopo quattro anni lunghi e complessi. Un album corposo, imbottito di confessioni di un’urgenza disarmante e placcato con un sound sempre più identitario: una band che prosegue imperterrita a scrollarci di dosso i fardelli più scomodi dell’esistenza, ancora una volta senza sbagliare.

Tracklist

01. Nobody’s
02. Disasters
03. Hal Ashby
04. Force Of Habit
05. Mezzanine
06. Altitude
07. This Routine
08. Finalist
09. Subversion (Brand New Love) (feat. Lou Barlow)
10. The Glue
11. Goodbye For Now (feat. Julien Baker)

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