the smashing pumpkins Aghori Mhori Mei 2024 recensione ita
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The Smashing Pumpkins – Aghori Mhori Mei

Chissà se “Aghori Mhori Mei”, tredicesimo album targato The Smashing Pumpkins, riuscirà a destare apprezzamenti e suscitare nuovo interesse per la band, visto come sono stati accolti malamente, da critica e dalla maggior parte dei fans, gli ultimi lavori. Un lavoro fruibile, al momento, solo digitalmente, con la sua versione fisica che sarà disponibile per fine novembre. La formazione è composta da Billy Corgan alla voce, basso e tastiere, James Iha alla chitarra e Jimmy Chamberlin alla batteria. Le Zucche dell’Illinois tentano un ritorno al passato tra chitarre distorte, atmosfere a loro familiari e testi criptici tra religione, viaggi e relazioni umane.

Si aprono le danze con “Edin”, un po’ stoner un po’ doom, dai colpi potenti e monolitici con un sound avvolgente, la voce di Corgan, piaccia o non piaccia, ci calza a pennello, conferendo quel carattere distintivo sia alla canzone che a questo nuovo album della sua creatura. Un sospeso intro ci apre le porte di “Pentagrams”, che vive di momenti intermittenti, tra un giro di basso sporco e tenebroso, un riff in palm muting e momenti più corali per poi tornare all’arpeggio iniziale: un pezzo ben costruito, forse il refrain è un po’ prevedibile, ma discreto, anche i soli sono godibili. La successiva e groovosa “Sighommi” è una song retrò in stile “Siamese Dream”, carina ma non decolla. “Pentecost” tra synth e overdrive ha un sapore agrodolce, un brano un po’ sanremese del decennio scorso. “War Dreams of It Self”, introdotta da una batteria dominante, ha un taglio più fresco e convince parecchio.

“Who Goes There” ci regala un’interpretazione magistrale di Billy nel suo consolidato stile vocale, in grado di esaltare tutta la composizione, anche questo pezzo è molto anni ’90. “999” è oscura, malinconica con un finale deciso in crescendo, sulla stessa falsa riga è la seguente più melodica “Goeth The Fall”. “Sicarus”, invece, presenta un riff cattivo e tagliente su cui la voce assume le vesti di un ghigno malato, spesso sfoderato in passato da Corgan e i vari cambi nella struttura rendono il brano ancora più accattivante.“Murnau” chiude i giochi con spunti da rock opera, richiami sempre presenti nei meandri della mente dell’eclettico frontman.

La produzione mette molto in evidenza i bassi e la batteria è stata concepita con grande spazio sonoro, a volte ridondante, per quello che possiamo definire un album un po’ nostalgico, vintage, che richiama molto i primi lavori “Gish” e “Siamese Dream”, pur senza avvicinarsi a quel livello. Questi quarantacinque minuti di alternative rock, con sprazzi di grunge e pop, sono convincenti e faranno tirare un sospiro di sollievo a molti fans sia delle Zucche sia del guru Corgan, che con la sua voce a tratti intima a tratti rabbiosa, ci ricorda che trenta milioni di dischi venduti sono sempre frutto del suo estro. Prendendo spunto dal titolo e dai suoi possibili significati, possiamo ascoltare questo album senza paura nel cuore o quantomeno abbracciarlo come una bella morte.

Tracklist

01. Edin
02. Pentagrams
03. Sighommi
04. Pentecost
05. War Dreams of Itself
06. Who Goes There
07. 999
08. Goeth the Fall
09. Sicarus
10. Murnau

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