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L’abbiamo attesa fino all’ultimo e alla fine anche questa data si è fatta. Rimasto in bilico in seguito alla cancellazione dell’AMA Music Festival per problemi di salute di Josh Homme, il settimo appuntamento degli I-Days 2024 si è svolto all’insegna del rock puro, declinato da una parte in sonorità più morbide e danzerecce, dall’altra in riff granitici e poghi incendiari.

La giornata inizia nel tardo pomeriggio con i Kemama, band italiana capitanata da Ketty Passa, che intrattiene il pubblico finora accorso alle transenne per una buona mezz’ora di set. Fa una comparsata a sorpresa anche Andy dei Bluvertigo, armato di sax, per un brano sulla violenza di genere, “Codice Rosso”, scritta nel 2020 in collaborazione con la band per il 25 novembre. 

The Vaccines

Alle diciassette e trenta è la volta dei The Vaccines, band indie rock londinese già piuttosto conosciuta da un certo numero di fan, in particolar modo nel pit: “We’ve been playing here for thirteen years” dice a tal proposito il frontman Justin Young, seguito da uno scroscio di applausi. Con dei garofani rosa a decorare la strumentazione, richiamando l’ultimo album “Pick-up Full of Pink Carnations”, i cinque fanno ballare i presenti, già più numerosi, con un repertorio preso in gran parte dal disco più recente e da quello d’esordio, “What Did You Expect From The Vaccines?” (2011). Al di sopra dell’Ippodromo vi è una coperta grigia e afosa, ma la musica riesce a far respirare a tutti un’aria di spensieratezza e leggiadria vacanziera: per chi fra il pubblico non li conosceva, è stata un’ottima introduzione alla loro discografia.

Ma è verso le diciannove, nell’ultima mezz’ora di cambio palco, che l’attesa inizia a farsi davvero palpabile. Lo si vede nell’aumento massiccio di merchandise – magliette, cappellini, persino borse di tela – del prossimo gruppo, nonché dall’afflusso di persone nel pit, il quale si riempie quasi del tutto. Erano stati in diversi a commentare online, nelle ore di dubbi sul concerto, che nella peggiore delle ipotesi i Royal Blood avrebbero potuto pur sempre prendere il posto di headliner, che loro sarebbero stati contenti lo stesso. E a giudicare dal boato che accoglie l’arrivo dei due sul palco, pare che sia proprio così. 

Royal Blood

Neanche il tempo di chiederci se siamo pronti per il rock (“motherfuckers”, urla Mike Kerr con savoir-faire) che già si parte in quinta con “Out of the Black”, una delle canzoni più amate del repertorio. La scaletta è una buona selezione dei cavalli di battaglia della band – dal disco d’esordio all’ultimo “Back To The Water Below” – che il duo, assieme al tastierista Darren James, esegue con l’estrema disinvoltura di chi suona d’abitudine in venues mastodontiche e il carisma di indiscussi animali da palcoscenico. Particolarmente acclamato, fra i brani più recenti, “Boilermaker”, che peraltro è stato prodotto dallo stesso Josh Homme (con la cui band i Royal Blood condividono molte affinità: li si potrebbe considerare i legittimi eredi). Con buona pace di Mike Kerr, la star dello show è senza dubbio il batterista Ben Thatcher, il quale è posizionato su una grande pedana a fianco al bassista, ma non ha granché voglia di restarci seduto: si alza, corre, scende dal palco, si butta nella mischia e divide le masse come un Mosè del rock’n’roll. Inutile dire che, quando Kerr alza il basso in aria alla fine della conclusiva “Figure It Out”, i presenti hanno già raggiunto il Nirvana.

Si fanno le venti e trenta; nell’ultima ora di cambio palco, fra il pubblico s’inizia a stare parecchio stretti, nonché impegnati a difendersi da un esercito di zanzare. Ciononostante la felicità collettiva è inattaccabile: si è aspettato così tanto e con tanta ansia questo momento che non sarà certo il fastidio delle punture a guastare la serata. 

Definire “calorosa” l’accoglienza ai Queens of the Stone Age, infatti, sarebbe l’eufemismo del secolo. Certamente lo stato di salute di Josh Homme ha destato in tutti delle forti preoccupazioni; ma vi è anche l’immensa gioia di rivedere finalmente una band che non tornava in Italia dal 2018. “Buonanotte” esordisce Homme in modo piuttosto ilare, ed è una delle poche parole che dice. Complice anche l’infortunio, il live è infatti piuttosto statico, con il frontman che rimane perlopiù fermo e senza interagire più di tanto con la folla, mentre le movenze di Troy Van Leeuwen – il cui look in completo nero e stivali bianchi, nel pit, pare apprezzato almeno quanto le doti chitarristiche – contribuiscono in buona parte al fattore “dinamicità” sul palco. Vi è però un certo stile, una certa classe, nel modo di fare composto del quintetto, mentre esegue in maniera impeccabile riff e ritmi da far girare la testa a furia di headbanging. Il prato è ormai una massa indistinta di braccia in aria e teste che si muovono su e giù, il pogo nel centro del pit è instancabile; qualcuno riesce persino a beffare la sicurezza e gettarsi a corpo morto fra un settore e l’altro. Diversi, poi, i momenti di canto a cappella, come in “Make It Wit Chu”: si direbbe quindi che al pubblico non servano parole.

Queens Of The Stone Age

La scaletta è focalizzata principalmente sui pezzi del nuovo “In Times New Roman…” – di cui “Emotion Sickness” è il momento più coinvolgente –, ma anche di “…Like Clockwork” (2013), di cui spicca un’incredibile “My God Is The Sun”. Il disco su cui si concentrano i boati più forti, tuttavia, rimane l’indimenticabile “Songs for the Deaf”, nel quale ancora oggi in tanti identificano il fulcro della musica dei Queens of the Stone Age. Ed è proprio sul finale di “A Song for the Dead” – dopo una “No One Knows” in cui il pubblico canta persino il riff, con una potenza da fare invidia ai White Stripes – che Homme, decisamente più provato di prima, appende la chitarra al microfono, salutando e allontanandosi assieme al resto della band con una camminata che fa intuire che non stia poi tanto meglio della sera prima. Il set è durato un’ora e un quarto. Intanto tra i presenti girano pareri contrastanti: è per via della stanchezza di Josh Homme, oppure il concerto sarebbe durato così poco anche senza questo problema? C’è chi dice di sì, c’è chi dice di no. Chi scrive vorrebbe soltanto lodare gli sforzi e la performance di una band micidiale, al netto degli imprevisti che hanno accompagnato il suo ritorno in Italia: quello di stasera è stato un concerto breve, ma senz’altro intenso.

Setlist:

Little Sister
Smooth Sailing
My God is the Sun
Evil Has Landed
Paper Machete
Emotion Sickness
I Sat By The Ocean
Time and Place
Go With The Flow
The Lost Art of Keeping a Secret
Carnavoyer
Make It Wit Chu
You Think I Ain’t Worth a Dollar, But I Feel Like A Millionaire
No One Knows
A Song for the Dead

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