CLICCA QUI PER LA FOTOGALLERY COMPLETA DELL’EVENTO

In un (troppo) caldo sabato di maggio, alle primissime ore del pomeriggio, da Milano parte un’insolita carovana di veicoli. Direzione: Carroponte, Sesto San Giovanni. La carcassa industriale e il parco sottostante ospitano uno dei palchi più belli di tutto il milanese; per l’occasione si ritrova anche occupato da una serie di food truck e un punto merch notevolmente sviluppato in lunghezza.

È già ora di festival? No, è semplicemente l’ultima occasione – sarà vero? – per vedere i NOFX, che occupano il weekend e la location con una bella doppietta.

L’idea di farsi un sabato o una domenica all’insegna del punk attira talmente tanto che non sono pochi i presenti provenienti dall’estero, oltre che da tutti i lati d’Italia. Descrivere la folla è davvero difficile questa volta: da bambini sotto il metro di altezza fino ai punk più stagionati; pantaloni tartan e creste coloratissime, ma anche gilet di jeans ricchi di toppe; magliette di qualunque – davvero, qualunque – gruppo punk e altre ancora più identificative, come una fierissima “CAGLIARI SUPPORTING HARDCORE”. Del resto, la band headliner è in giro da ormai 40 anni; per di più, prima di loro si esibiranno 5 artisti – domenica ben 6 –, quindi attirare un pubblico così eterogeneo era abbastanza prevedibile.

Ad accendere gli amplificatori e a dover scaldare – per così dire, dato il clima – i primi arrivati, che sono già nell’ordine delle migliaia, tocca ai Versus the World, compagine proveniente da Santa Barbara, California. Per quanto effettivamente non sia un nome molto noto, occorre dire che il quintetto può vantare Chirs Flippin dei Lagwagon come chitarrista, assente però sul palco da circa un anno per problemi di salute. I 5 suonano un post-hardcore molto accessibile, che oscilla un po’ tra il pop punk e il melodic hardcore, con canzoni quali “Frank Sinatra” e “Forgive Me”.

Forse la proposta è fin troppo raffinata, o forse è ancora troppo presto e fa troppo caldo, coloro che rimangono attenti sottopalco non sono moltissimi rispetto alla totalità dei presenti nel parco. Molti preferiscono risparmiare le energie, magari stando all’ombra, seduti sulle sdraio o direttamente sdraiati sul prato. Il quintetto, nonostante l’accoglienza sotto la media, si fa decisamente sentire durante la sua mezz’ora e lascia la curiosità di rivederli in circostanze che lascino loro più spazio.

Scordatevi ritornelloni e melodie: i californiani The Last Gang, secondo act della giornata, non offrono nulla di tutto ciò. Iniziano talmente energicamente che nessuno si rende conto che si tratta del linecheck. Potremmo considerare il quartetto come il risultato di un’orgia tra i NOFX e The Distillers: la frontwoman Brenna Red potrebbe essere una Brody Dalle un po’ più aggraziata, chitarra alla mano e voce grave, aiutata nelle linee vocali dai più delicati Sean Viele (basso) e Ken Aquino (chitarra).

L’attitudine garage si mischia perfettamente al loro punk molto crudo, che però si rivela anche ballabile nelle parti più ska. Fondamentalmente, non fanno nulla di più di suonare: niente basi, niente click, anche a costo di fare qualche scivolone, ma questo è ciò che il pubblico si aspetta oggi. Infatti, ecco che si crea il pogo e gli applausi crescono decisamente. The Last Gang, che si trovano sotto contratto per la Fat Wreck Chords e accompagnano i proprietari per parecchie date di questo tour, ci danno anche qualche assaggio del loro prossimo disco, prima di chiudere il loro set con un “Dave Grohl!” (ovvero l’intro di “Smells Like Teen Spirit”). La nota di merito però è aver fatto venir fuori il vero eroe della giornata: Dante Giampaoli, batterista dei Trauma Cranico (di cui sfoggia fieramente la maglietta), che si aggiudicherà indubbiamente il record di crowdsurfing della giornata, e forse anche di sorrisi e risate strappate tra il pubblico.

Alle 18 il sole inizia a scendere e purtroppo il palco si trova nella direzione sbagliata. Ma il telone in fondo ora reca la scritta “Poviglio Hardcore”, non ci sono più scuse. Non c’è da dubitare, qualcuno oggi è venuto qui anche per loro, che sono in giro da ancora prima dei NOFX. Chi vuole guardare si mette gli occhiali da sole, altri stanno già facendo spazio dietro le prime file. Si potrebbe riassumere l’esibizione con le parole del cantante Mauro Codeluppi: “Oggi sono tutte band estere, noi invece siamo italiani, siamo Raw Power e veniamo da Poviglio. E adesso vi spacchiamo le gambe”.

Se ciò non bastasse per dare un’idea di quanto accaduto nel breve ma intensissimo set degli emiliani, l’evocativo urlo di uno dei presenti nel pogo forse è ancora più chiaro: “È una cazzo di guerra!”. Non fraintendiamoci, è tutto fatto con rispetto, nessun karateka improvvisato né amanti di risse da bar, ma la situazione è davvero estrema: del resto, come si può pretendere altro se sul palco ci sono i Raw Power, una delle poche realtà di cui l’Italia può davvero vantarsi quando si parla di musica estrema.

Qualcuno si dirige verso i food truck, altri verso i bagni chimici, altri ancora si bevono una birra e fumano una sigaretta in tranquillità, mentre sul palco gli italiani lasciano il posto ai canadesi Comeback Kid. Il quintetto di Winnipeg è forse il più incazzato di tutta la giornata, con il suo melodic hardcore che dal vivo ha il suo momento melodico solamente nell’ingresso sul palco sulle note di “In the Air Tonight”, che sfuma nella loro “Heavy Steps”. Insomma, di melodico non hanno proprio niente, sono di nuovo lividi per tutti. Andrew Neufeld è un frontman hardcore come si deve, talmente gasato che scende dal palco e si attacca alla transenna per gridare in faccia a tutti.

La sfortuna del gruppo è stata sicuramente l’orario, in cui moltissimi erano a mangiare per non perdersi gli ultimi due gruppi, e gli evidenti problemi di audio, che hanno riguardato soprattutto la batteria. Ciò nonostante, chi ha resistito alla fame ha apprezzato molto la loro mezz’ora.

Sono passate le 20, il sole è sempre più basso e sul palco ora salgono i veterani: se i Raw Power rappresentano una delle migliori band hardcore/crossover del nostro Paese, i Circle Jerks sono tra coloro che l’hardcore l’hanno modellato, nella California degli anni 80. Keith Morris, tra l’altro, può considerarsi una doppia leggenda, essendo precedentemente stato uno dei membri originali dei Black Flag. E possiamo dire che, a differenza di tanti altri nomi storici ancora in attività, di cui rimane appunto solo il nome e 1 o 2 membri – proprio i Raw Power sono un esempio – questa formazione non prende in giro nessuno: Morris alla voce, Greg Hetson alla chitarra (anche lui fondatore), Zander Schloss al basso (presente in maniera quasi ininterrotta dall’84) e l’unica nuova aggiunta, Joey Castillo alla batteria (ex-Queens of the Stone Age). Del resto, ci vuole un po’ di fisico per picchiare su queste canzoni e prendere qualcuno di non troppo anziano si rivela sempre una scelta saggia.

Nonostante questa scelta tattica, si nota la fatica da parte di tutta la band nel riuscire a rendere giustizia a brani quali “Wild in the Streets” e “Live Fast Die Young”, complici forse le loro energie che oggi non possono più essere quelle di un tempo, con Morris che arriva a ricordandoci un po’ Ozzy Osbourne, fermo sul posto e concentratissimo sulla performance. Il set comunque fila liscio, non si può dire che suonino male: del resto, abbiamo davanti delle leggende. Tra il pubblico sembrano comunque tutti contenti, un po’ perché possono dire “Ho visto i Circle Jerks”, un po’ perché siamo giunti all’headliner.

Alle 21 si è fatto ormai buio e la platea di migliaia di fan è illuminata dalla struttura del Carroponte. Anche coloro che hanno passato tutta la giornata rilassati, seduti all’ombra, ora scalpitano per avvicinarsi il più possibile al palco, e così, un’area che dovrebbe accogliere al momento quasi 10000 persone, viene occupata praticamente solo fino a metà. Prima ancora che la musica inizi e la band salga sul palco, si crea una massa così compressa che sarà impossibile pogare, anzi, sarà impossibile fare qualunque cosa in balia di un caos, in alcuni casi anche poco rispettoso.

Venendo ai NOFX, con il senno di poi, la storia degli album potevano evitarsela. Di fatto, hanno suonato un po’ di tutto, senza preferire certi dischi rispetto ad altri, come invece era stato annunciato. Ce l’hanno fatta per l’ennesima volta.

Passando all’esibizione, quale intro migliore di “The Time Warp” potrebbe introdurre una band del genere? Il Rocky Horror Show parla di sregolatezze (sessuali soprattutto) e non c’è band più sregolata e irriverente su questo pianeta. Fat Mike, El Hefe, Eric Melvin e Smelly invadono il palco e improvvisano il famoso ballo di gruppo del musical, prima di prendere i propri strumenti e iniziare a suonare “60%”, la traccia d’apertura di “Wolves in Wolves’ Clothing”.

Lo spettacolo dura in totale 2 ore, ma se ci fossimo messi a cronometrare i minuti di sola musica e quelli di cazzeggio, avremmo riscontrato un buon 50/50 probabilmente, e qui nessuno può lamentarsi. Anche perché, ammettiamolo, la tecnica non è mai stata il loro forte, con Fat Mike che fa errori più volte, e altre volte smette proprio di suonare. Il quartetto (ma soprattutto il frontman) è un’istituzione del punk rock non solo perché loro sono gli unici a non aver mai caduto alle lusinghe del mercato, ma anche per la loro capacità di sorprendere tutti con le loro canzoni e le loro minchiate (non potremmo chiamarle diversamente).

La ragazza qui in prima fila ha promesso un pompino al suo ragazzo per farsi portare a vedere i NOFX” potrebbe benissimo essere l’epitaffio del frontman, che è famigerato per non essere affatto un santo, soprattutto su temi riguardanti il sesso. Ed ecco che vengono tirati in ballo anche il nostro Presidente del Consiglio e la Chiesa Cattolica; non si morde la lingua nemmeno quando si tratta di colleghi (esilarante lo scimmiottamento dei cori dei Bad Religion). Il frontman racconta anche che il suo primo concerto punk è stato proprio in Italia, ricordando gli Indigesti, per poi subito dopo sfanculare – ovviamente con sarcasmo – altre band italiane come i Negazione. Però è bello notare che sotto gli strati alcol, droghe e scorrettezza, alla fine anche personaggi del genere hanno un cuore: sul basso di Fat Mike si può notare un adesivo degli Hi-Standard, gruppo punk giapponese che ha recentemente perso uno dei suoi membri e a cui il cantante aveva appena dato una delle proprie canzoni.

I pezzi suonati sono davvero quasi 40, come annunciato sulla locandina del tour, tra grandi classici (“Leave it Alone”, “Six Years on Dope”), brani un po’ più rari (“The Marxist Brothers”, “13 Stitches”) e veri e propri inni come “Don’t Call Me White” e “Linoleum”: su quest’ultima il pubblico è diventato l’epicentro di un terremoto, che ha scosso il Carroponte a suon di “SO WHAT?”.

Subito dopo, una pausa lunghissima fa pensare che non ci sia alcun bis. Invece i 4 spericolati californiani tornano e sembrano non volersene più andare: terminata “The Brews”, inizia un’interminabile “Theme from a NOFX Album”, che a un certo punto diventa perfino un’esilarante “L’italiano” di Toto Cutugno. Tutto molto divertente, ma è durato veramente un’eternità. Uno ad uno, i NOFX lasciano il palco, invitando tutti all’after party con “Melvinator” e al concerto del giorno dopo. E siccome “loro non sono come i Mötley Crüe o i Black Sabbath“, questo è davvero un addio. Salutiamoli ancora una volta come si deve: “Bye, fuck“.

NOFX Setlist

60%
Seeing Double at the Triple Rock
Leave It Alone
The Cause
Perfect Government
Drugs Are Good
What’s the Matter With Parents Today?
Six Years on Dope
The Man I Killed
Leaving Jesusland
Don’t Call Me White
The Marxist Brothers
Pharmacist’s Daughter
Dinosaurs Will Die
100 Times Fuckeder
Lori Meyers
13 Stitches
Louise
Green Corn
Fuck the Kids (Revisited)
Juice Head
Hobophobic (Scared of Bums)
Monosyllabic Girl
I’m Telling Tim
Instant Crassic
Can’t Get the Stink Out
Linoleum
My Orphan Year
Franco Un-American
Bob
Scavenger Type
Idiots Are Taking Over
Bottles to the Ground
Murder the Government
The Brews
Theme from a NOFX Album

Comments are closed.