Quando il caldo asfissia, cosa c’è di meglio dell’ombra lugubre dell’estremo?

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Cryptic Hatred – Internal Torment (Time To Kill Records)

“Internal Torment”, secondo album dei Cryptic Hatred, è un lavoro che mette in risalto l’approccio istintivo e la precisione quasi chirurgica dei giovani finlandesi al death metal, caratteristiche già percepibili tra i solchi del debutto “Nocturnal Sickness (2022). Se l’aspetto più interessante di questo nuovo platter risiede nella patina atmosferica di profonda inquietudine che avvolge le canzoni, il songwriting generale ricorda i pilastri del metallo della morte a stelle e strisce, con Cannibal Corpse, Death e Suffocation a guidare la compagnia dell’anello delle ispirazioni, rinvigorendone lo spirito al fine di condurle appieno nella contemporaneità. A livello lirico, i pezzi parlano all’anima stessa dell’umanità, invitandoci a esplorare le ombre oscure e torbide che dimorano all’interno di ognuno di noi e ad affrontare di petto quei demoni che si nascondono nei recessi più oscuri della mente. Un cupo viaggio di self discovery nel quale un’ossessiva rabbia primordiale si abbina a subdole influenze doom e a melodie spesso in stile Killswitch Engage, per un meta conclusiva a cui si arriva ammaccati e malconci, ma paghi di tanta qualitativa afflizione. Schiacciante ed etereo, difficile trovare di meglio oggigiorno in contesti estremi.

Tracce consigliate: “Death Is Upon You”, “Mesmerized By Malignant Gaze”, “Beyond Hatred”

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Obscene – Agony & Wounds (Nameless Grave Records)

Formatisi nel 2016 come Blood Chasm, con il monicker mutato soltanto dodici mesi dopo, gli Obscene debuttarono lo stesso anno con l’EP “Sermon To The Snake” (2017), prima di chiudersi in un silenzio triennale sospeso dal rilascio del buon full-length “The Inhabitable Dark”. Il secondo lavoro, “…From Dead Horizon To Dead Horizon” (2022), confermava, senza alzare troppo l’asticella, le sensazioni positive dell’esordio, ma ora, grazie al nuovo “Agony & Wounds, il combo di Indianapolis sembra pronto a spiccare il volo, forte, inoltre, del supporto della label underground Nameless Grave Records, di cui rappresenta, probabilmente il nome di punta. Impreziosito da un artwork visionario, opera del grande Brad Moore, il platter si muove sempre sulle coordinate di un death-thrash di vecchia scuola Pestilence, tuttavia il paesaggio musicale dipinto dal quartetto, questa volta, presenta colori più raffinati di matrice svedese, anche in virtù di una produzione molto limpida, che consente di avere una consegna sonora precisa e “accessibile”. La frenesia ordinata che traspare dai pezzi dà l’idea di un gruppo che, una volta giunto ai confini della sanità mentale, pensa a riprendere il filo del discorso, tornando poi a mazzolare sin quasi alla pazzia. Ardenti.

Tracce consigliate: “The Cloverland Panopticon”, “Death’s Denials”, “Rotting Behind The Madness”

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Seth – La France Des Maudits (Season Of Mist)

Dopo lo splendido “Morsure Du Christ” (2021), con “La France Des Maudits” i Seth si buttano anima e corpo nello spirito della Rivoluzione del 1789, che, ancora oggi, sembra imperversare tra i boulevard e i vicoli di Parigi. Come novelli Jean-Paul Marat e Maximilien De Robespierre, i transalpini fotografano lo stato di una nazione allora sconvolta dai cambiamenti sociali, quando il suono della ghigliottina era all’ordine del giorno e il sangue di nobili e popolani scorreva a litri a ogni angolo di strada. Dal punto di vista musicale, i bordolesi, pur lontani dal ruolo di facinorosi avanguardisti, riescono a sciorinare, oltre alla grande esperienza, buon gusto ed eleganza, aspetti che cingono un symphonic black metal dalle suggestive tinte melodico/atmosferiche, sottilmente barocco, ma tutt’altro che enfatico, nel quale anche l’evocazione della fatiscenza ha un posto d’onore non secondario. A parte le puntuali esplosioni di pura violenza, il sestetto predilige costruire mid-tempo maestosi e tragici, il cui pathos epico viene potenziato dall’intensa prestazione del frontman Saint Vincent e da delle liriche, in lingua madre, scritte utilizzando il verso dei grandi drammaturghi francesi del XVI secolo, ovvero l’alessandrino. Classe immensa.

Tracce consigliate: “Et Que Vive Le Diable!”, “Ivre Du Sang Des Saints”, “Le Vin Du Condamné”

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Vanhelgd – Atropos Doctrina (Dark Descent Records)

Dal 2008, gli svedesi Vanhelgd hanno pubblicato un totale di cinque album in studio, trasformandosi in una delle band più regolari della scena estrema locale. Dal loro ultimo lavoro in studio “Deimos Sanktuarium” (2018), il mondo, tra guerre, sconvolgimenti politici, questioni ecologiche e una dolorosa pandemia, è diventato ancora più intriso di riverberi oscuri, dei quali il nuovo “Atropos Doctrina” ne sbandiera l’iniquo vessillo. Nella mitologia greca, Atropo decideva come e quando ogni persona sarebbe trascorsa a miglior vita e gli scandinavi seguono il suo mortale esempio, sia con lugubri testi scritti completamente in lingua madre sia attraverso un death metal dai mid-tempo tetri e perversi, immersi all’interno di una sepolcrale atmosfera dal taglio black/doom. Il rantolo secco di Matthias Frisk drena le già rade briciole di luce da ogni singolo pezzo, mentre alle parti melodiche viene riservato uno spazio strategico dove acquisiscono un’egemonia tutt’altro che misericordiosa, spiccando nella loro caliginosa cupezza. Basta ascoltare “Cult Of Lazarus” (2008) o “Church Of Death” (2011) per comprendere il cammino evolutivo del gruppo scandinavo, oggi, e a pieno titolo, stretto collaboratore delle tre Moire.

Tracce consigliate: “Ofredsår”, “I Ovigd Jord”, “Atropos Hymanrium”

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Vuur & Zijde – Boezem (Prophecy Productions)

Forti di un monicker che in tedesco indica due elementi in apparenza antitetici, ovvero il fuoco e la seta, i Vuur & Zijde, dopo il solo split nel 2020 con i teutonici Impavida, esordiscono sulla lunga distanza dedicando l’album “Boezem” all’amore nelle sue varie sfaccettature, tematica davvero insolita per un contesto estremo, benché sui generis. Dal punto di vista sonoro, il supergruppo dei Paesi Bassi, composto da membri di Gray Aura, Laster, Witte Wieven e compagnia locale, sfoggia una grande libertà creativa, combinando black metal, post punk, gothic e shoegaze in una miscela dai tratti lunatici e finanche “ballabili”, con la meravigliosa voce femminile di Famke così cupa e malinconica da conferire all’insieme quasi una gradevole un’aura à la Dool. Il fatto, poi, che i brani alternino il nederlandese al dialetto frisone contribuisce a plasmare un’atmosfera spesso sospesa  tra il mistico e l’onirico, aspetti sperimentali condivisi da una scena nazionale nella quale il metallo nero sta subendo mutazioni intriganti, come dimostrano le band madri del quintetto in questione e formazioni singolari come Fluisteraars e Solar Temple. Patrocina Prophecy Productions, sinonimo di garanzia quando si cercano lussureggianti novità oltre i confini di genere.

Tracce consigliate: “Onbemind”, “Kuier”, “Nest”

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