Primi d’autunno ricchi di sfumature per gli affezionati delle sonorità più estreme.

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1349 – The Wolf & The King (Season Of Mist)

Analizzando anche soltanto superficialmente molti album di questo 2024, già pubblicati o prossimi al rilascio, viene spontaneo chiedersi in quale epoca ci troviamo, visto che tra i lavori di Angantyr, Arkona, Himinbjorg, Horna, Limbonic Art, Mütiilation, Nachtmystium, Seth e via discorrendo, sembra di rivivere la golden age del black metal, quantomeno per l’approccio al genere. Ora tocca ai norvegesi 1349 tornare sulle scene con un nuovo disco, e l’aspetto più sorprendente della vicenda risiede nel fatto che la line-up resta la medesima, eccetto l’assenza della seconda ascia Tjalve, del debutto “Liberation” (2003), ovvero Ravn alla voce, Archaeon alle chitarre, Seidemann al basso e il leggendario Frost dietro le pelli. Conservare, senza grossi scossoni, la medesima formazione per un ventennio regala indubbi vantaggi in merito a stabilità stilistica e sonora, un’unità d’intenti che si riflette in un “The Wolf & The King” da cui sgorga un metallo nero essenziale e tirannico, arricchito da sfumature heavy/thrash e privo di qualsiasi tipo di concessioni al mercato. Trentanove minuti di odio purissimo, magari prevedibile e spesso anacronistico nelle soluzioni, ma che randella diabolico come se non esistesse un domani, il che attizza sempre i discepoli musicali di Satana e compagnia. Non sono i giorni di “Hellfire (2005), eppure le fiamme continuano ad ardere lo stesso.

Tracce consigliate: “The God Devourer”, “Ash Of Ages”, “The Vessel And The Storm”

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Death Like Mass – The Lord Of Flies (Terratur Possessions)

Palesatisi ai defender del metallo nero con il rilascio dell’EP “Kręte Drogi” nel 2015, i Death Like Mass hanno aspettato quasi dieci anni e altri due mini, “Jak Zabija Diabeł” (2017) e “Matka Na Sabacie” (2019), prima di pubblicare il loro primo full-length. Un’attesa incredibilmente lunga, che dobbiamo, almeno in parte, al fatto che dietro questa entità un tempo misteriosa si muovano tre musicisti attivi in entità del calibro di Bestia Arcana, Cultes Des Ghoules, Enthroned, Lvcifyre, Nightbringer e Sodality, ovvero la crema europea dell’estremo. “The Lord Of Flies”, inciso a Londra sotto la guida del chitarrista Tomasz Dziubich e con un artwork forte delle rifiniture sataniche di Daniele Valeriani, è un debutto che ama proporre un black metal abrasivo e incline alla totale fatiscenza, contrassegnato da riff scarni e spesso sbilenchi, percorsi da una subdola vena melodica in grado di conferire all’insieme un’aura tanto ipnotica quanto sinistra. E benché non rappresenti l’unico fattore per la qualità complessiva della tracklist, la presenza di Marek Górecki al microfono si rivela, comunque, un aspetto decisivo, grazie a una voce spaventosamente allucinata che corona un lavoro contorto, ma a suo modo “orecchiabile” e adescatore, persino quando si smarrisce in sequenze sconnesse e incongrue. Polonia e Portogallo non cessano di stupire.

Tracce consigliate: “Wygnaniec”, “Sorcery Unbridled”, “The Killing Of Abel”

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Hell Is Other People – Moires (Transcending Obscurity Records)

Cosa accomuna una band canadese e Jean-Paul Sartre? Il fatto che quest’ultimo, nel dramma teatrale “Huis Clos”, abbia impiegato una frase, “l’enfer, c’est les autres,”, scelta dagli Hell Is Other People per battezzare il proprio monicker. Una formazione, quella dell’Ontario, che, non soltanto per i riferimenti al filosofo francese, appartiene alla frangia più intellettuale del mondo estremo, ovvero il post black metal à la Deafheaven, anche se coniugato in maniera tenebrosa e meditabonda, per certi versi lontano dalle esplosioni catartiche dei californiani. Se il debutto “Embrace” rappresentava un primo buon tentativo, questo nuovo “Moires” ne porta a compimento e maturazione il songwriting, intrecciandolo, liricamente, alla storia delle Parche della mitologia greca, le tre divinità, Cloto, Lachesi e Atropo, connesse al tema del destino e spesso associate alla natura, alla fertilità e ai cicli cosmici. Le azioni delle protagoniste del concept, che nella copertina dalle gradazioni grigio cenere fluttuano sullo scheletro di un alce, vengono diffuse attraverso cinque pezzi dal minutaggio robusto, ma capaci di non scadere mai nella reiterazione noiosa, regalando un ascolto tanto impegnativo quanto piacevole, una combo non così facilmente reperibile in altre latitudini: quando gli artigli smussati sono una qualità e non un difetto.

Tracce consigliate: “Moirae”, “Degrade”, “Atropos”

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Infern – Turn Of The Tide (Dolorem Records)

Da diversi anni, la scena death metal internazionale gioca la carta della nostalgia in maniera massiccia e spesso ottenendo un grande successo, tanto che numerosi gruppi del settore oggi di alto livello emersero dall’underground più profondo grazie agli omaggi tributati ai propri padri ispiratori. Anche la Francia non è stata risparmiata da questo fenomeno e, dopo l’esordio sulla breve distanza, lo scorso anno, dei tolosani Oldskull, capaci di mostrare un ottimo potenziale, ora spetta ai bretoni Infern dare vita a un debutto impeccabile nel suo genere, che profuma del sole marcio della Florida, dell’umidità infingarda dei Paesi Bassi e, soprattutto, delle nebbie bellicose del Regno Unito. Figli di background stilistici molto diversi, i membri del quintetto, rodatisi dal vivo sin dalla fondazione nel 2019, riescono a proporre un primo album, “Turn Of The Tide”, che, in quaranta minuti, convoglia le influenze di Asphyx, Deicide, Gorefest e Obituary all’interno di quell’enorme e mai compianto abbastanza cingolato a nome Bolt Thrower, modernizzandone – con estrema cautela –  le idee. Un platter che, magari, non spicca per originalità e variazioni, ma i pezzi, affinati nella costruzione dall’assidua proposizione on stage, non mancheranno di esagitare i cultori del metallo della morte vecchia maniera: huge mechanical crabs!

Tracce consigliate: “Phineas Case”, “Tormented Paranoid”, “State Puppet Theatre”

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Maul – In The Jaws Of Bereavement (20 Buck Spin)

Il 2022 fu un anno davvero molto positivo per il metallo della morte e l’allora debutto dei Maul, band originaria del North Dakota, si inserì bene nell’allora fausto allineamento dei pianeti. Con gli avanzi degli Autopsy e dei Tomb Mold presi da un tavolo d’obitorio impiastricciato di sangue, feci e frattaglie, il combo costruì un “Seraphic Punishment”  che cercava, anche grazie a sfumature horror metal e slam, di distinguersi nel folto underground a stelle e strisce, riempiendo di pugni disgustosi il ventre dell’ascoltatore. Un sound unico, ma tutto sommato old school che, se nell’EP del 2023 “Desecration And Enchantment” assumeva forme più ambiziose dal vago sapore progressivo, oggi, attraverso la seconda fatica in studio sulla lunga distanza “In The Jaws Of Bereavement”, prova a incanalarsi in quel filone attualmente tanto di moda fiero di combinare death metal e hardcore, un po’ sulla scia dei vari Gatecreeper, Xibalba e via dicendo. Certo, le influenze di Cannibal Corpse, Obituary, Six Feet Under e compagnia continuano infiltrarsi ovunque, creando confusione a un songwriting che, a più riprese, rischia di sfilacciarsi e crollare su sé stesso. L’act di Fargo riesce, però, a tenere botta e, pur con alcuni sbandamenti, si lasciano apprezzare per audacia e convinzione. Serve una messa a punto, ma la stoffa non manca, eccome!

Tracce consigliate: “Blood Quantum”, “Spontaneous Stigmata”, “An Alluring Deceit”

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