Julie
NUOVE USCITERECENSIONI

julie – my anti-aircraft friend

Un po’ contro il mio istinto, solitamente molto minuzioso nel tenermi ben distante dai prodotti “impacchettati” ad hoc dall’industria musicale, il debut dei julie mi ha attrato sin da subito: trio di Orange County, già col buon EP “pushing daisies” si era accaparrato un’abbondante fetta di pubblico, per di più giovani alternativi, ma anche qualche shoegazer di vecchia data, arrivando, quindi, al loro primissimo full-length con un esercito ben formato al seguito – in simil maniera è andata con la californiana Wisp, addirittura con un solo EP (“Pandora”) nella saccoccia discografica.

my anti-aircraft friend” esce per Atlantic Records, mica per la label indipendente con sede sotto casa, e questo si sente: si sente per la sua estrema levigatura, per una produzione a tratti sorprendente, tenendo conto dei dati anagrafici della band e dei pochi anni nel music business. Il che potrebbe far scattare il fatidico allarme rosso citato a inizio recensione, spento prontamente da un lavoro, alla fine dei conti, più che buono.

Alex Brady, Keyan Pourzand e Dillon Lee hanno studiato il nu gaze, ma anche (ovviamente) ciò che l’ha generato: hanno riletto le ingombranti pagine dei My Bloody Valentine e i distorti capitoli sui Sonic Youth, riadattandoli al 2024 sulla scia cronologica di Hum prima, Nothing, Whirr e Ovlov dopo, facendo stridere le sei corde, maltrattando gli amplificatori, ipnotizzando con quelle vocals a tratti carezzevoli, a tratti disorientanti, figlie di un dualismo che asseconda il contrasto di consistenze sonore.

Un contrasto che torna a galla costantemente, che sia tra le ponderate sfuriate che si ergono dalle irascibili “very little effort” e “clairbourne practice”, o che si manifesti dalle orme del pachidermico incedere di “thread, stitch”. Sapori ossimorici progettati proprio per sottolineare l’amore per il noise, per i suoni storti che si avvinghiano su di una base, a momenti, deliziosamente pop (“feminine adornments”, la rampante “catalogue”) e quasi a voler sfidare l’indie, lo slacker, quell’inclinazione per il ronzio lo-fi e per le atmosfere sgangherate che si trascina appresso.

Pourzand accende micce alt-rock dirette, cementandole in diversi momenti con bastioni di distorsione (“tenebrist”), e sfociando anche tra strutture che inneggiano al post-grunge e a quel riffing pulito, ma corposo, rapido ad esplodere (“ill cook my own meals”), mentre Alex Brady, anima tentatrice, sbuca da questo mosaico di ferro stridente con quella vocalità sensuale nella sua essenzialità, di quelle che marchiano non tanto per capacità tecnica, bensì per funzionalità alla resa del sound.

“my anti-aircraft friend” è piacevolissimo, pur non sconvolgendo una proposta musicale riconoscibile e ampiamente masticata negli anni: ma questo ce lo aspettavamo già e, considerando la bontà degli estratti, l’album riesce a reggere ottimamente le alte aspettative d’origine. Destinati o meno al mainstream, non possiamo rimanere impassibili dinanzi al talento dei julie e ad un album che, probabilmente, pescherà numerosi giovani discepoli da convertire al lato più contorto del rock.

Anche oggi lo shoegaze è salvo, e noi ne siamo realmente felici.

Tracklist

01. catalogue
02. tenebrist
03. very little effort
04. clairbourne practice
05. knob
06. thread, stitch
07. feminine adornments
08. ill cook my own meals
09. piano instrumental
10. stuck in a car with angels

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