In occasione dell’uscita del loro nuovo album “Afraid Of Tomorrows”, che vedrà luce venerdì 21 giugno, abbiamo avuto modo di scambiare quattro chiacchiere con George Favager e Paul Crilly, rispettivamente bassista e batterista dei The Mysterines. Durante la nostra intervista i ragazzi ci hanno raccontato qualcosa in più sul disco, soffermandosi sul processo di scrittura delle nuove canzoni e spiegando come si è evoluto il sound del gruppo nel corso degli anni. La band sarà anche in Italia il prossimo inverno per presentare l’album e gli abbiamo posto qualche domanda in merito all’imminente tour.

Ciao ragazzi, che piacere rivedervi! Sono passati quasi due anni dall’ultima volta che siete stati sulla nostre pagine. Come state e che cosa è cambiato da allora nella vostra carriera?

Paul: È un piacere anche per noi! Beh… Da allora siamo andati in tour con gli Arctic Monkeys…

George: Sì! Siamo loro fan!

Paul: E abbiamo solo scritto e registrato.

A breve uscirà il vostro prossimo album “Afraid Of Tomorrows”, come vi sentite a riguardo?

Paul: È bello, credo che sia sempre emozionante pubblicare nuova musica e ogni volta che lo facciamo siamo sempre entusiasti. Penso che siamo tutti entusiasti anche ora, giusto?

George: Sì, decisamente!

Ci raccontate qualcosa in più sull’album? Cosa devono aspettarsi gli ascoltatori?

Paul: Penso che dal punto di vista sonoro si discosti un po’ dal vecchio sound dei Mysterines. Non è così rock. Credo sia più un album coeso ed un po’ più in sintonia con i nostri gusti. Tu che ne pensi George?

George: Beh, come hai detto tu, abbiamo sicuramente cercato di fare qualcosa di diverso, anche se ogni volta che abbiamo fatto un’intervista, tutti continuano a dire quanto sia pesante e grintoso l’album. Quindi forse non abbiamo fatto bene come pensavamo all’inizio, ma sì, credo che sia sicuramente qualcosa di più, perché non è solo un album rock con i power chord.

Quindi come lo definireste?

George: Penso che sia più maturo. Credo che il nostro sound sia cresciuto con noi, in un certo senso. E sì, credo che ci siano più stratificazioni. Penso che sia stato molto più… non direi proprio pensato, perché ovviamente abbiamo cercato di fare tutto quello che potevamo con il primo disco, ma sento che questo è molto più nostro, soprattutto dei noi di ora, rispetto al primo disco.

I primi singoli estratti dall’album suonano effettivamente diversi rispetto ai precedenti. Posso domandarvi come li avete scelti?

George: C’erano tre singoli evidenti, quindi si trattava solo di decidere l’ordine in cui pubblicarli. “The Last Dance”, è stato il primo vero e proprio singolo scritto per l’album e per anni è stato destinato ad essere il primo singolo, ma poi, una volta tornati dall’America dopo le registrazioni, “Stray” si era evoluta così tanto rispetto alla demo che la gente ne era davvero entusiasta. Penso che sia stato meglio iniziare l’intera campagna promozionale con qualcosa che suonava un po’ diverso. Non era così rock, aveva un’atmosfera più ballabile. I singoli parlano sempre da soli e si tratta solo di decidere cosa fare, sai, se pubblicarli o meno. Non c’è stata una particolare discussione, vero?

Paul: Sì. Era solo una specie di “Sì, è A, deve essere B”.

Cosa vi ha ispirato mentre scrivevate l’album?

Paul: Credo che stessimo ascoltando un sacco di nuova musica. Dato che eravamo così intenzionati a cambiare il nostro sound, cercavamo cose nuove per trarre ispirazione, che si trattasse di apparecchiature, film, libri o altro. Per me si trattava più che altro di strumenti e drum machine. Abbiamo solo ascoltato musica che ci piaceva, recuperato artisti che non ascoltavamo da tantissimo tempo, ascoltato la scena musicale di New York… Se ascolti un paio di canzoni dell’album potrai notare un po’ d’influenze.

Un artista in particolare che vi ha influenzato?

Paul: Credo che se Lia [Metcalfe, cantante della band, ndr] fosse qui direbbe Sparklehorse.

George: Ottima osservazione, direi proprio di sì.

Parlando delle canzoni, come sono nate? Qual è il vostro processo di scrittura?

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Paul: Molte di esse sono state, in un certo senso, frutto di me e Lia, che abbiamo iniziato con delle idee e le abbiamo portate a un punto in cui erano diventate canzoni, abbiamo registrato delle demo e poi le abbiamo portate al resto della band e loro le hanno migliorate. Era un processo piuttosto semplice. Non è stato così con il primo disco che probabilmente è stato un po’ più “entriamo nella sala e buttiamo fuori”. Questa volta non l’abbiamo fatto finché non abbiamo sentito che la canzone era pronta. Capisci cosa intendo? Ma sì, è stato un processo abbastanza semplice. Ci è voluto un po’ di tempo per mettere insieme tutto, ma è stato un processo interessante. È stato diverso dall’ultima volta, vero, George?

George: Sì, molto diverso. Credo che, soprattutto il primo album, sia stato un po’ strano perché ci è capitato di farlo a Chunkshore durante il Covid e di dover fare le prove in modi e tempi davvero strani. Credo che questa volta sia stato un processo più lungo, ma allo stesso tempo più semplice. C’è stato molto meno da fare perché non c’era una pandemia massiccia in corso. La pandemia ha cambiato molte cose.

Parlando invece degli argomenti delle vostre canzoni, c’è un argomento che ancora non avete trattato che vi piacerebbe trattare?

Paul: Onestamente è difficile risponderti perché non siamo noi a scrivere i testi nella band, lo fa Lia. Posso dirti che volevamo mostrare alla gente che non eravamo solo un gruppo rock puro e semplice. Credo che la gente ci metta a confronto con band in cui non ci rivediamo necessariamente. Con questo disco, quindi, abbiamo cercato di porre fine a questa situazione e di mostrare che abbiamo diversi lati di noi stessi e cose del genere, che musicalmente possiamo fare diverse cose. Facciamo quello che vogliamo, davvero. Penso che quando hai una voce forte come quella di Lia hai la capacità di fare qualsiasi cosa, il che è eccitante per una band. Ma sì, credo che come gruppo sia quello che volevamo rappresentare con questo disco. Non siamo solo una rock band, capisci cosa intendo? Possiamo fare davvero qualsiasi cosa, anche metal! [ride, ndr]

George: Sì, non so se fosse questo il messaggio che volevamo lanciare con quest’album ma è esattamente quello che sento quando lo ascolto. Ascoltandolo, mi sembra che, con i progressi fatti da tutti noi come musicisti rispetto al primo disco, ognuno faccia la sua parte in ogni aspetto. Penso che si possa vedere quanto mi sono evoluto e quanto i tour ci abbiano fatto crescere come musicisti.

Dopo l’uscita dell’album farete un tour e suonerete ad alcuni festival. Quanto pensate sia importante per un gruppo suonare live?

Paul: Penso che qualcuno faccia un disco così da poter andare in tournée. Ma per noi probabilmente sono importanti e ci piacciano un po’ entrambe le cose. Credo che George sia d’accordo su questo. Mi piacciono entrambe le parti, registrare ed andare in tour. Gli ultimi concerti che abbiamo fatto con l’inserimento delle nuove canzoni nella setlist credo siano stati tra i migliori concerti che abbiamo fatto da molto tempo a questa parte. Quindi credo che tutti noi siamo davvero entusiasti di come siamo messi al momento come band dal vivo. Quindi sì, non vedo l’ora di andare ai festival e in tour entro la fine dell’anno. Tu che dici George?

George: Decisamente. Abbiamo iniziato alcuni festival e stiamo iniziando a tornare a suonare dal vivo. Abbiamo alcune date nel Regno Unito e poi molte altre in programma. Sono davvero eccitato.

Quali sono le differenze secondo voi tra suonare ad un festival e suonare ad un concerto vostro?

Paul: Credo che alle persone piaccia ascoltare determinati pezzi in base alle situazioni, ad esempio se è ad un festival. Quindi cerchiamo di fare in modo che il set sia un po’ più simile a quello di un festival. Credo che in passato abbiamo commesso l’errore di suonare tutte le canzoni più lente o quelle più lunghe e la risposta non era quella che ci aspettavamo. Alla fine abbiamo cambiato e abbiamo fatto il botto! Forse è per questo che mi piace molto suonare in questi festival, solo perché non suoniamo tutte le canzoni tristi.

Il 6 novembre suonerete anche in Italia, al Biko di Milano. Com’è suonare nel nostro paese?

George: Mi è piaciuto molto quando abbiamo suonato in Italia. Penso che il pubblico sia sempre pazzesco. È fantastico, siete tutti molto coinvolti. Credo che abbiamo fatto il nostro più grande concerto di sempre in Italia, tipo 60.000 persone. Una vera e propria follia! Era il Firenze Rocks. È stata una figata. È stato bello. È stato davvero forte, pazzesco! Tutte le persone applaudivano a ritmo di musica e si lasciavano coinvolgere.

Io vi ho visti a Milano insieme ai The Snuts, siete davvero fantastici live.

George: Sì, dovevano essere due concerti separati ma poi hanno cambiato la location. Conosciamo gli Snuts da anni, quindi è stata una giornata divertente. In realtà me ne ero completamente dimenticato.

Un’ultima cosa: lasciate un messaggio di saluto per i nostri lettori che li convinca anche ad ascoltare la vostra musica.

Paul: Penso che dovreste ascoltare l’album solo per le linee di basso di George [ride, ndr]. Seriamente, dovreste ascoltare le linee di basso ed il ritmo… Poi ci sono un sacco di synth e anche un bel po’ di stile.

Vi ringrazio molto per il tempo che ci avete dedicato, spero di rivedervi presto!

Paul e George: Grazie a te, anche noi speriamo di rivederti presto!

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