In occasione dell’uscita del loro album d’esordio, “What You’ve Got To Lose To Win It All”, lo scorso 17 maggio, abbiamo avuto modo di scambiare quattro chiacchiere con il frontman Adam Young. Il cantante ci ha raccontato qualcosa in più sull’album e su cosa l’ha ispirato, abbandonandosi anche a qualche aneddoto e confessione più personale.

Ciao Adam, benvenuto su SpazioRock! Come stai?

Ciao, sto bene. Questa mattina ho avuto un po’ di cose da fare nel mio appartamento, ma ho parzialmente risolto quindi va bene, poi continuerò a risolvere il resto. Grazie di parlare con me questa mattina, direi che possiamo iniziare la nostra chiacchierata. Com’è che si pronuncia SpazioRock? [prova a pronunciare il nome in italiano, ndr]

Ma grazie a te! È un nome italiano, lo hai pronunciato bene!

In verità non parlo molto bene l’italiano… Ci ho provato!

Non preoccuparti, l’hai pronunciato bene! Allora direi di partire dall’inizio. Come avete iniziato a fare musica insieme?

Andavamo all’università insieme e frequentavamo le stesse classi. Abbiamo passato un po’ tutto il tempo a fingere di essere davvero una band. Tipo ci chiedevano “Quand’è il prossimo concerto?” e noi “Presto!”, ma non avevano canzoni. Quando abbiamo finito l’università abbiamo iniziato con la band più seriamente e abbiamo avuto due diversi batteristi. Il nostro attuale batterista Tom era una persona meravigliosa ed era la nostra prima scelta come batterista. Gli chiedemmo “Vuoi entrare nel gruppo?” e lui “Assolutamente no!” perché non avevamo canzoni e poi dopo due anni, con l’inizio della pandemia, avevamo bisogno di un nuovo batterista e Tom stava cercando una nuova band, quindi ci siamo ritrovati ed è stata la cosa migliore che ci sia capitata come band. È un po’ così che la cosa è iniziata. È stato bello e c’è una parte della storia veramente strana. Quando Tom è entrato nel gruppo ha avuto tipo quattro settimane per imparare quattordici canzoni perché dovevamo suonare ad un festival e l’ha fatto e ha decisamente spaccato! Un paio di settimane dopo eravamo in un hotel dopo uno spettacolo e abbiamo trovato una foto di due o tre anni prima, in cui siamo tutti nello stesso pub alla festa di compleanno di qualcuno. È stato strano perché eravamo in quello stesso pub dove si è unito alla band. La foto è stata scattata a meno di un metro e mezzo dal punto in cui ci siamo detti: “Bene, ok, figo, facciamolo”. Quindi sì, è stato un momento piuttosto strano. Ci siamo detti: “Wow, l’universo, amico, che sta succedendo? La cosa sta diventando un po’ inquietante.” Ma sì, è una bella storia.

La scorsa settimana è uscito il vostro album d’esordio, come ti senti a riguardo?

Quando realizzi un album e lo fai in maniera indipendente c’è sempre molta pressione e dal punto di vista finanziario è anche parecchio costoso quando pubblichi un album in maniera indipendente. Quindi l’eccitazione c’è. Inoltre, ci teniamo a rispettare standard molto elevati. Quindi pensiamo sempre: “Cosa c’è dopo? In che modo possiamo migliorare questa cosa?”. Volevamo che quest’album suonasse come altre cosa. Ho letto la tua recensione, ho dovuto tradurla e ho visto che hai scritto che avevamo diverse influenze. Ho pensato: “È bello vedere come la gente lo interpreta”. Volevamo che il disco suonasse come nessun altro ma dall’altra parte siamo una band inglese e quindi abbiamo quelle sonorità tipiche inglesi che sono molto distintive. È un suono molto particolare, ma abbiamo sempre suonato così. Non cerchiamo di suonare come una qualsiasi band britannica, capisci cosa intendo? Non cerchiamo di farlo. Ovviamente ci sono piccole cose che filtrano, ad esempio c’è una canzone nel disco che si intitola “To Make A King” e quando abbiamo provato il riff in studio abbiamo pensato “Oh è come se l’avesse scritto Alex Turner!”.

The Howlers header

In effetti ho sentito un po’ gli Arctic Monkeys nel vostro album.

Si. Non è stato intenzionale. Credo che la faccenda degli Arctic Monkeys sia dovuta al fatto che mentre stavamo registrando l’album loro stavano pubblicando le canzoni dei loro ultimi album. Eravamo in studio e finivamo la giornata dicendo: “Gli Arctic Monkeys hanno pubblicato una canzone oggi, ascoltiamola”. Quindi credo che ci siano delle piccole influenze. Ma soprattutto direi che siamo noi. È un nostro tratto distintivo. Comunque è emozionante ma allo stesso tempo anche un po’ snervante perché hai messo in giro un disco che non sai come la gente prenderà, capisci? Ma per la maggior parte è andata bene. Quindi sono abbastanza contento. Quindi sì, stiamo facendo le nostre cose. È l’unica cosa che conta.

Quindi cosa devono aspettarsi gli ascoltatori dal vostro album?

Spero pensino che sia qualcosa mai sentito prima, che riescano a capire il messaggio e il significato che c’è dietro e che riescano a scavare nel dolore e nell’emozione che abbiamo messo in questo album. Non siamo una band egoista. Tutto ciò che abbiamo sempre voluto è fare una piccola ma significativa differenza per le persone che vogliono ascoltarlo. Tutto qui. Non siamo mai partiti con questa band con l’idea di fare da headliner alla Wembley Arena in cinque anni. Non è per questo che facciamo musica. Per noi la musica non è questo. Si tratta di scrivere canzoni che hanno un significato per noi, ma che possono anche riflettersi nella vita di qualcun altro. E se qualcuno riesce a trovare un’evasione in questo, per noi è sufficiente. Per me, come autore, è sufficiente. Suonare allo stadio di Wembley è fantastico, capisci cosa intendo? Ma sono felice se i fan che vengono a parlarci alla fine di ogni concerto mi dicono che hanno si sono rivisti nell’album. Per me è molto di più. Quindi, se l’ascoltatore ne ricava qualcosa che non ha mai sentito prima, va bene. È una cosa buona per me.

L’album è stato molto influenzato dalla pandemia e parla di perdita, malattia e dolore. Che ripercussioni ha avuto un periodo così buio sulla tua vita e sulla tua musica?

Credo che ci abbia cambiato, in particolare a me e a noi come band, in modo drastico. Non perché siamo stati colpiti dal COVID-19 o cose del genere, ma ho perso diversi membri della mia famiglia a causa della pandemia. E come band, negli ultimi tre o quattro anni, abbiamo perso molti amici e molti parenti.

Mi dispiace molto.

Grazie, è molto carino da parte tua. Personalmente ho rischiato di morire due volte durante la pandemia del 2021. Gus, il nostro bassista, è quasi morto. Quindi queste cose cambiano chi sei e cambiano chi siamo noi come band. Ma siamo ancora qui dopo tutto quel dolore, quel trauma, quelle esperienze negative. È in questi casi che l’amicizia o l’amore incondizionato per l’altro si mettono in gioco. È questo che ha definito l’album ed è questo che ha definito noi come persone. E quindi l’album è un disco positivo, capisci cosa intendo? È la luce alla fine del tunnel. In questo disco c’è un po’ di tutte le persone che non ci sono più. Ed è questo il bello. Volevamo fare un disco di cui fossero orgogliosi. E sai, anche quando suoniamo dal vivo sul retro ho le foto dei miei familiari e amici, così sono lì con me sul palco ogni sera. È una cosa che sappiamo solo noi. Il pubblico non può vederlo. Ho fatto venire mio zio all’altoparlante perché era un po’ un punk, così ho pensato di metterlo nella parte più rumorosa, in modo che potesse essere presente. Ma, sai, questo disco lo rappresenta in parte. E sì, siamo cambiati molto. Ma in meglio, siamo cresciuti. Sai, siamo dovuti crescere. Una volta qualcuno mi ha detto che il dolore che si prova non va mai, mai, mai via. Tutto ciò che fai è crescere intorno ad esso. Rimane lo stesso, ma ci si cresce intorno. Ed è un po’ quello che rappresenta questo album e che dice anche il titolo.

Avete trattano numerosi argomenti nell’album, ma c’è un argomento di cui ancora non avete parlato che vi piacerebbe trattare nelle vostre future canzoni?

Uh, bella domanda! Al momento stiamo scrivendo degli album, quindi questa è un’ottima domanda. Non lo so. In realtà non scrivo in questo modo. Come persona, come autore di canzoni, sono autistico e dislessico. Quindi il mio modo di scrivere è attraverso le sensazioni e l’ascolto. Anche quando suono la chitarra spesso non sono il miglior chitarrista. Non so molto, in realtà. Scrivo accordi e li suono, conosco le posizioni ma poi, quando andiamo a trascriverli, mi chiedo: cosa sto suonando? E i ragazzi me lo dicono. Ed è più o meno così che scrivo. Tendo a metterlo su pagina, a finire la canzone. Poi la guardo e mi chiedo: cosa ho scritto inconsciamente? Un membro del nostro team è spagnolo e dice sempre che viene dal corazon. Capisci cosa intendo? Quindi è come se volessi continuare a scrivere da lì. La nostra musica è influenzata dalle nostre vite. Veniamo da ambienti molto poveri dove nessuno ha mai avuto molti soldi. Quindi tutto ciò di cui scriviamo sono solo le nostre esperienze e se posso continuare a scrivere dalla mia esperienza, è fantastico. Come ho detto, non sono un uomo egoista. Non ho intenzione di dire: “Sesso, droga e rock’n’roll”. Non è il mio genere di cosa. Preferisco scrivere di cose della mia vita e che mi riguardano. Quindi si, immagino che continuerò a scrivere in base all’esperienza.

Il potere della musica è proprio quello di farti esprimere e buttare fuori quello che hai dentro in fondo.

Esattamente!

Sono davvero molto curiosa di ascoltare le nuove canzoni comunque. Qualche spoiler?

Sono buone. Sono migliori di quelle di questo album. Quando abbiamo finito di registrare l’album, sono tornato dallo studio, mi sono seduto, ho scritto due o tre canzoni e pensavo: “Oh mio Dio, devono essere sull’album”. Ho pensato: “Oh, dobbiamo andare a registrarle”. Le ho suonate con tutti e tutti mi hanno chiesto: “Oh mio Dio, perché non le abbiamo fatte un mese prima?” Quindi ci sono alcune canzoni davvero buone. Stiamo diventando un po’ più pesanti, un po’ più rock, ma è solo una cosa positiva. Questo disco è cinematografico ed espansivo, mentre il prossimo sarà un po’ più duro. È molto sperimentale, ma non faremo nulla di strano, non proveremo a suonare il flauto o altro. Sarà bello!

Parlando di canzoni… Quale canzone consiglieresti a chi non ha mai ascoltato la tua musica?

Ci sono due canzoni che consiglierei di quest’album. La prima è “Cowboys Don’t Cry”.

È la mia preferita!

Ecco fatto. Lo dicono in molti, a dire il vero. Ieri sera stavo parlando con qualcuno che mi ha detto: “Sì, adoro quella canzone”. Poi consiglierei anche “On The Run Over You” che si trova nella seconda metà del disco, quella è un ottimo esempio di come siamo dal vivo. Quella canzone ottiene un’ottima reazione dal vivo, l’acclamano. Pensiamo che sia una bella canzone. Quindi sì, direi quelle due. Ma “Cowboys Don’t Cry” è quella che abbiamo pubblicato come singolo. Sono contento di averla fatta, è una grande canzone.

Hai menzionato i live. Quanto pensi sia importante per una band suonare dal vivo?

È sul palco che si scopre chi sei. Il nostro bassista ha detto una cosa incredibile quando eravamo all’università. Stavamo guardando la band di un amico. Lui è olandese, quindi è molto diretto. Dice quello che pensa. Mi ha detto letteralmente: “Alcune persone ce l’hanno, altre no”. Ha guardato la band e il frontman e ha detto: “Niall, non ce l’hai. Sei noioso sul palco. Sii te stesso”. E io ho pensato: “Oh, sto morendo”. Si tratta di scoprire chi sei e di stare insieme sul palco. È lì che ci sentiamo veramente a casa. E la gente ci sottolinea sempre dopo gli spettacoli quanto ridiamo e sorridiamo l’uno all’altro sul palco e quanto ci divertiamo. Una settimana fa abbiamo suonato al Rough Trade East di Londra ed era praticamente tutto esaurito, il che è incredibile per una band indipendente che si esibisca al Rough Trade per la presentazione di un album. Abbiamo avuto un grosso problema tecnico sul palco dopo la prima canzone. Mi si è praticamente spezzata una corda della chitarra. Così alcuni dei nostri amici sono saliti sul palco e hanno cercato di aggiustarla e c’è stato il caos. Il nostro manager ci ha detto dopo che non aveva mai visto nessuno affrontare quella situazione come l’abbiamo affrontata noi. La maggior parte delle band l’avrebbe presa malissimo. Invece, Gus e Tom si sono messi ad improvvisare ed io mi sono impegnato ad intrattenere la folla scherzando. È questo quello che siamo. È importante per una band capire chi sei sul palco e come sentirsi a proprio agio in quel momento e con migliaia di persone che ti guardano. Questo definisce anche le tue canzoni, perché se provi le cose dal vivo e non vanno bene forse non vanno davvero bene. È un’esperienza di apprendimento. Ci sono così tante band britanniche in questo momento che stanno avendo molto successo molto rapidamente, provengono da un posto di privilegio e non si sono mai veramente fatte le ossa dal vivo nei loro spettacoli. È davvero triste vedere questa cosa. Comunque si, suonare dal vivo è molto importante.

Pensate di suonare anche in Italia in futuro?

Si, lo spero. L’Italia è stato il paese che ci ha sorpreso di più con questo album. Abbiamo ricevuto molto amore dall’Italia. È il mio Paese preferito, è un luogo incredibile, bellissimo, fatto di cultura, architettura, clima, cibo, persone, emozioni e lingua. Sono stato molto tempo in Italia. Sai, quando avevo 17, 18, 19 anni, ero un mod, quindi mi sono preso una Vespa. Adoro la cultura italiana, l’abbigliamento, la moda degli anni ’60 e ’70 e tutto il resto. Mi piace ancora. Ora sono seduto qui con una felpa, ma di solito mi vesto bene. Quando l’album è uscito, in Italia siamo subito entrati in una playlist radiofonica, sono usciti articoli su di noi, abbiamo fatto interviste e abbiamo avuto alcune offerte per festival e cose del genere. Stiamo cercando di organizzare un tour europeo con alcune date italiane tipo Milano, Bologna, Modena e altre. Sono stato un po’ ovunque in Italia: Roma, Firenze, Napoli, Lucca, Bologna, Venezia, Pisa… Ma non mi è piaciuta molto Pisa.

Le persone di Pisa non saranno molto contente di questi cosa!

Vero! [ride, ndr] Nel Regno Unito, da dove vengo io, è molto peggio di Pisa. Almeno voi avete il bel tempo, qui non è molto bello. Comunque amo l’Italia, ecco.

Un’ultima cosa: lascia un messaggio di saluto per i nostri lettori che li convinca anche ad ascoltare la vostra musica.

Uhm, domanda difficile… Cosa direi? Beh, se vuoi una band che sia autentica allora ascoltaci. L’autenticità è ciò che siamo. Siamo una buona band, siamo una buona band dal vivo. Forse non posso dirlo io, ma ne sono sicuro. Se volete evadere ascoltate l’album, è come guardare un film. Racconta una storia e speriamo che la gente si immedesimi in essa. Quindi sì, ascoltate il nostro album perché è bello!

Grazie per il tempo che ci hai dedicato, spero di vederti presto dal vivo!

Ma grazie a te! Anche io spero di vederti presto!

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