In un torrido primo pomeriggio di luglio, abbiamo fatto due chiacchiere con Luca Rustici, produttore, chitarrista e autore napoletano, noto per le sue collaborazioni (Mina, Adriano Celentano, Negramaro, Piero Pelù…). L’artista si è aperto con noi riguardo alla sua visione del mondo della musica, della cultura e non solo.

Ciao Luca, benvenuto su Spaziorock! Come stai?

Ciao, molto bene, grazie.

Hai pubblicato recentemente un nuovo singolo, “’Na casa mmiez’ ‘o mare”. Cosa mi sai dire di questo brano? Anche perché io, a parte il titolo, non ci ho capito nulla siccome non conosco il tuo dialetto…

[ridiamo, ndr] La genesi di questa canzone è molto particolare. Innanzitutto, fa parte di un progetto in cui cerco di portare alla luce problemi sociali che molto spesso vengono dimenticati, oppure utilizzati a scopo mediatico per fare notizia al telegiornale. Voglio far capire che ci sono tante persone che hanno bisogno di aiuto. Già a partire da “’A zingara”, scritto dagli Osanna nel 1978. Da lì ho intrapreso questa scia di parole per gli altri. Anche il pezzo con i 99 Posse, “Vieneme a truvà”, riguardava i barconi. Subito dopo, con Andrea Sannino, “Change the world” parla di un padre che incoraggia il figlio gay a vivere serenamente. In “Mane ‘e rose”, con i Foja, un uomo si innamora di una prostituta. Adesso, “’Na casa mmiez’ ‘o mare” è la metafora della mia vita, vissuta in una Napoli molto bella, che poi ha subito la metamorfosi in quella che conosciamo ora. Io sono andato ad abitare a Secondigliano nel 68, dove c’erano solo grano e arance. Era un posto molto tranquillo, però si vedevano già le conseguenze del terremoto, la metamorfosi era già in atto. A Napoli, quando ci si sente un po’ oppressi dal posto in cui si vive, si dice “Voglio costruirmi una casa in mezzo al mare”. Andarsene, ma insieme a ciò che si è guadagnato. La canzone parte da qui. A un certo punto dico: “Con tre cancelli d’oro e una regina che mi aspetta”. “Tutto quello che senti sono il canto degli uccelli/Che sono meglio di 100 radio e strilli”, che è ciò che senti in un quartiere popolare, la radio a tutto volume, i bambini che piangono…

Ho notato che canti sempre in dialetto oppure in inglese. Come mai non in italiano?

Perché mi devo identificare in quella che è la mia cultura. Ho scritto per tantissimi in italiano, Mina, Celentano, quindi non mi risulta difficile. Ma io sono cresciuto con la Neapolitan Power, la storica schiera di musicisti napoletani formata da Pino Daniele, Tullio De Piscopo, Enzo Avitabile…. La mia generazione era fatta ancora di condivisione, di dischi realizzati in studio, tutti insieme. Certo, l’elettronica l’abbiamo sempre usata: la prima batteria elettronica trasmetteva libidine. Ma c’era comunque la condivisione della parte musicale, lo scambio di energie in studio. Io sono cresciuto a Napoli e le cose che ho dentro, le ho in napoletano. Mi permette di esprimermi più facilmente, senza blocchi. Diciamoci la verità, il napoletano è molto più musicale dell’italiano: è come l’inglese, puoi tagliare un sacco di finali… Hai più scelte a disposizione.

Nella tua musica sento tanto degli anni 80 e ho visto che hai realizzato anche una cover di “Red rain” di Peter Gabriel. È un decennio importante per te, immagino.

È stato il mio periodo di sviluppo. Gli anni in cui ho riempito il mio bagaglio di emozioni, di cultura, di scambi… In quel periodo il fermento musicale a Napoli era altissimo. Si suonava tantissimo, io in media facevo 5 concerti a settimana. Si lavorava tantissimo, i club lavoravano perché la gente voleva la musica dal vivo. Adesso c’è solo casino, intrattenimento, poca cultura. Il problema sai qual è? Che oggi basta un computer e una scheda audio per dire “Ho uno studio di registrazione”. Allora io che ci ho speso una fortuna a costruirlo sono un imbecille? Mi sono capitati tanti ragazzi in Conservatorio, al test d’ammissione, che si professavano producers e invece non erano preparati.

Come hai accennato ora, sei anche insegnante presso il Conservatorio di Reggio Calabria. Cosa insegni di preciso?

Sound engineering. I giovani hanno una fame incredibile di questa roba ed io ho trovato un terreno molto fertile. C’è tanta voglia di condivisione. Banalmente sto facendo un sacco di dischi di musica classica per colleghi. Sai, avendo una label distribuita da Universal… La verità è che c’è tanto da fare, tanto da dire e bisogna fare proselitismo: la gente deve sapere che per fare questo mestiere bisogna studiare a casa e fin da piccoli. Non è che un giorno ti svegli, hai vinto il superenalotto, ti compri pc e scheda audio e poi… Cioè, io ho dormito sui mixer, dormivo 2/3 ore a notte per registrare dischi e chiudere i mix in tempo.

Luca Rustici 2

Immagino lo stress… Tornando alla musica, per l’ultimo singolo hai lavorato con Raiz, un nome molto importante per la musica della tua zona. Come ti sei trovato?

Ti racconto com’è nata la cosa. Una sera ero in un club a Roma, dopo un concerto, e c’era un brano hip hop che andava. Io ho cominciato a canticchiarci sopra e ho pensato: “Cazzo, sta cosa è fighissima”. Allora ho registrato col telefono il pezzo e a casa ho scritto quasi tutto il testo. Poi, il giorno dopo ho iniziato a buttare giù la demo e mi sono detto: “Sto pezzo con Raiz sarebbe perfetto”. Gli ho mandato tutto ed era entusiasta. In un pomeriggio io, lui e Philippe Leon, un mio collaboratore, abbiamo registrato. Ci conosciamo da tempo io e Raiz, non è stata una cosa nuova. C’è stata una sinergia importante. Lui è una persona molto di cuore, mette davanti la cultura. Cosa si può volere di più da una collaborazione?

In generale il tuo curriculum vanta un sacco di collaborazioni. Ti chiederei, se ti va, di raccontarmi quella che ti è piaciuta di più e quella invece che ti è piaciuta meno.

Dovrei dirti una bugia perché non so rispondere. Ogni artista lascia un segno importante che ti porterai per sempre dietro. Per esempio, Loredana Bertè mi disse: “Io la moda non la seguo, la faccio.” Infatti, se ci fai caso, ha sempre fatto cose che non andavano di moda, ma che avevano senso per lei. Io già ero un po’ ribelle, ma da quando lei mi disse quella frase, non ho mai fatto canzoni modaiole. Se qualcuno mi dice “Fammi una canzone à la…”, io non la so fare. Io so fare canzoni à la Luca Rustici. [ridiamo, ndr] Posso prendere spunti da persone più acculturate di me, ma non posso fare canzoni modaiole perché non hanno senso. “’Na casa mmiez’ ‘o mare” non ha un ritornello, ha solo un riff molto neomelodico napoletano ed è quello che poi ti ricordi, come certe canzoni di Pino Daniele. Il trucco è creare una composizione diversa dal solito. Nella mia ultima canzone ho creato uno slogan che può ricordarsi e cantare anche chi non è napoletano, perché è una frase comunque leggibile.

È in arrivo un nuovo disco dopo questo singolo?

Sto preparando un album strumentale e altri singoli. E sto studiando come portare il tutto dal vivo.

Quindi ti esibirai dal vivo a breve?

Guarda, io pubblico musica solo per suonare dal vivo. Anche perché discograficamente è tutto molto fermo, a meno che non compri gli stream… Tutto ciò che vediamo esplodere dal nulla sono fandonie, possono raccontarle a qualcun altro. Comunque, sto preparando questo tour nei club ed è complicato perché c’è molta elettronica, molte parti strumentali…

Luca, ti ringrazio per il tuo tempo. Vorresti dire qualcosa ai tuoi fan che leggono Spaziorock?

Grazie a te. Sì, vorrei dire questo: studiare sempre, perché la cultura è ciò che vince. Dedicatevi tanto allo strumento e poco alle produzioni farlocche. Nessuno può dirti: “Fai questo e farai successo”. L’unica cosa che fa successo è la cultura. E poi, se mi seguite sui social, sono contento [ridiamo, ndr].

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