Ferragosto pranzo al mare? Ma che, ferragosto col metallo. E anche con il rock, a dire il vero: è decisamente variegata, infatti, la proposta del Day 1 del Frantic Fest 2024, ormai appuntamento fisso per provare a combattere il torrido clima dell’agosto abruzzese con la distorsione (e con i gonfiabili più trash della costa).

Siamo sempre al Tikitaka Village di Francavilla al Mare, a fare la spola tra i due palchi in una giornata che ammassa, assieme all’intoccabile matrice metal, gocce di post-rock a distendere l’onnipresente aria di divertimento che penetra l’intera rassegna.

Tent stage bello carico dalle ore 15, nonostante la calura si faccia sentire: tre set totalmente differenti uno dietro all’altro, dallo sludge a tinte post metal degli Otus, al post-rock made in Abruzzo dei Death Mantra For Lazarus, fino ai pazzoidi Gotho, duo experimental-rock, solo tastiere e batteria, dall’abbigliamento esotico e dalla proposta tanto stramba, quanto interessante, tra blast beat, divagazioni melodiche e inaspettate sfuriate djent – sì, djent, CON LE TASTIERE.

Ma è ora di pestare un po’ di più e gli Hellripper inaugurano non solo il main stage, ma anche il primo circle pit della serata: e così, mentre qualche nuvola inizia a far capolino, concedendoci attimi di respiro, gli scozzesi infervoriscono il villaggio con qualche mina blackened/speed metal da moshpit come “All Hail The Goat”, “Nunfucking Armageddon 666” e “Nekroslut”.

Subito dopo, dall’altro lato, i finlandesi NYOS provano a trasportare il tendone su una navicella spaziale costruita su loop station, istinti prog e calcolatorio post-metal. Ipnotici e fragorosi, giusta preparazione ai mostruosi Zu che calcano il palco grande e insidiano il parterre: quello eretto da Luca T Mai, Massimo Pupillo e Paolo Mongardi è il solito, enorme, bastione sonoro, una discesa agli inferi e ritorno, brividi ancestrali e sprazzi di lucida follia, alternati tra i singhiozzi metamorfici di “Obsidian”, le contorsioni orrorifiche di “Goodnight, Civilization”, gli spasmi sludge di “Chtonian”, il groove jazz-core della sempreverde – o semprenera – “Carbon”.

Pare un caso, eppure proprio durante il finale di set del trio, la pioggia inizia a ticchettare sulle nostre spalle, assecondando, così, col subentrante grigiore del cielo, la lenta immersione negli abissi intrapresa dalla band romana e perseguita, nel tent stage, dagli incappucciati El Altar Del Holocausto, band spagnola dalla proposta totalmente strumentale: post metal che tanto deve al doom, chitarre possenti, melodie decadenti e silenziosi break come plumbei incudini.

Una scoperta a dir poco suggestiva, considerando, poi, gli scrosci di pioggia che accompagnano l’ingresso in scena della notte. Acqua e buio, quale miglior background per salpare i mari col granitico doom degli Ahab, subentrati nel bill del Day 1 dopo la cancellazione di parte del tour europeo da parte dei Born Of Osiris: la band di Daniel Droste martella con lentezza, avanza con passi funerei che bucano il terreno, col growl che lascia un po’ di spazio a qualche stralcio di clean vocals come fari nella tempesta.

Una nave che barcolla in balia delle onde, naufragata quasi insperatamente sulle lande eteree dei Klimt 1918: uno stacco netto, come in un sogno dove dall’oblio profondo ci ritroviamo catapultati sotto alle luci evanescenti del quartetto capitanato da Marco Soellner, abile a decollare con il nu-gaze e a fluttuare col dream pop, portandoci live non solo le perle di “Sentimentale Jugend” (“Comandante”, “La Notte”, “Belvedere”), ma anche la bellissima “Snow Of ’85” del capolavoro “Dopoguerra” e “Just An Interlude in Your Life” da “Just In Case We’ll Never Meet Again”.

Nemmeno il tempo di riprenderci che arriva l’atteso momento dei God Is An Astronaut, headliner di spicco della serata: la pioggia pare essersi attenuata, il fumo ingloba il palco mentre i tre irlandesi imbracciano gli strumenti e iniziano a ridisegnare da zero l’atmosfera. Un’esperienza fuori dal comune, non un semplice concerto, un volo tra le radici dei suoni, con quel post-rock che riesce ad animare ologrammi di vita vissuta ed immagini tangibili, pulsanti tra i colpi di frusta che irrompono tra le armonie.

Grosso spazio della scaletta donato a “Embers”, in uscita il 6 settembre, da cui trasportano in live non solo le già note “Falling Leaves” e title track, ma anche “Odyssey”, “Apparition” e la groovy “Oscillation”. Ma ci sono anche i brividi sulla pelle dettati da “Echoes”, l’exploit elettrico della crescente “Suicide By Star”, la pulsazione synth(etica) di “From Dust To The Beyond”, che chiude meravigliosamente un set volato via in un attimo.

Ci pensano i Duel, con la loro miscela stoner, a ridestarci dall’ipnosi, riportandoci a terra con un’ora di goloso hard rock che cala il sipario sulla prima, ottima, giornata dell’edizione 2024 di un Frantic Fest che si conferma, ancora una volta, una rassegna d’eccellenza non solo per il centro Italia, bensì per l’intera penisola.

Setlist

GOD IS AN ASTRONAUT
Odyssey
Echoes
Apparition
Falling Leaves
Oscillation
Suicide By Star
Embers
From Dust To The Beyond

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