Diiv Frog in Boiling Water
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DIIV – Frog In Boiling Water

A loro modo, “Is the Is Are” e “Deceiver” parlavano già dagli artwork. Placide e accese colorazioni prima, oscure tinte (e angoscianti volti abbozzati) dopo, due interpretazioni totalmente opposte del baratro della dipendenza e del circolo vizioso di rehab e ricaduta. È un po’ la resa visiva di quella mutazione che maneggiava i rimasugli zampillanti di jangle pop – quelli che hanno fatto la fortuna di “Oshin” – e li annodava in uno shoegaze inquieto e dai contorni amorfi. Tutto questo è il resoconto del complesso percorso di Zachary Cole Smith e dei suoi DIIV, croce e delizia di un’anima tanto talentuosa, quanto tormentata.

Ne abbiamo sentite troppe di queste storie, di amori tossici, di musicisti disintegrati dalla droga e di band che acciuffano lo status di icone più per il vociare che si trascinano dietro che per il loro effettivo valore. Pertanto quello dei DIIV è, a tutti gli effetti (e nonostante tutto), un racconto dal lieto fine, cronistoria emozionale di un gruppo cardine del nu gaze e, soprattutto, di un artista che ha saputo ritrovarsi.

Capitolo quattro, quindi, tirato su in altrettanti anni di lavoro tutt’altro che semplici – potrà mai esserci un momento di quiete per la band di Brooklyn? – tra tensioni interne e ambizioni in scontro. “Frog In Boiling Water”, difatti, è il primo disco corale degli statunitensi, dall’inizio alla fine, con Zachary Cole Smith si toglie la pettorina del mastermind e si appaia agli altri: il prodotto finito ne esce notevolmente variato e, in certi versi, rinnovato rispetto ai predecessori in discografia.

Riallacciatisi all’aura più shoegazy di “Deceiver”, ma senza fare incetta di chitarroni aggressivi e atmosfere claustrofobiche, i DIIV ristudiano le loro coordinate in un punto a mezz’altezza tra l’abisso e il paradiso, posizionandole in una realtà che ha perso totalmente le sue fattezze, tremanti, come bollite dal sole, di un’eterea confusione.

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Photo Credits: Shervin Lainez

Una società che muore gradualmente, come asfissiata da un lentissimo rilascio di gas nervino. Una società che, nonostante ciò, continua a ridere, comunicare, comprare e distruggere, senza far conto al pianeta che si disgrega, ai muri che si sgretolano, al baratro che si estende pian piano sotto il suo formicaio di anime.

Questa sorta di rassegnazione – o presa di coscienza, a seconda dell’interpretazione – fa da leitmotiv per tutto “Frog In Boiling Water”, insinuandosi in strumentali agli antipodi, tra il carezzevole e l’inquietante, tra il placido e l’acuminato.

Confini, per l’appunto, che si sfaldano, incarnando a pieno quel nu gaze (Whirr, Nothing e, più in qua coi tempi, Wisp) dal corpulento onirismo, con le sei corde che si smazzano a ridipingere melodie e a sollevare bastioni di distorsione (“In Amber”, “Brown Paper Bag”) e che, in generale, ammansiscono le loro pretese di irruenza e velocità, assaporando le schematiche dello slowcore (“Fender On The Freeway”) e di un dream pop che conserva gelosamente la malleabilità delle sue melodie – “Everyone Out” stuzzica gli Slowdive – pur sporcandole con quel ronzio lo-fi che scortica l’evanescenza tanto ricercata.

Vedi, infatti, le pulsazioni cullanti di “Little Birds”, i riverberi graffiati e gli sprazzi armonici di “Somber The Drums”, la stridente e sottile inquietudine che filtra dalla strascinata “Soul-net”, tasselli che inglobano lo smarrimento di una generazione, ma che non smorzano del tutto il fioco bagliore della speranza.

Lo sanno i DIIV, che all’arrendersi davanti alle peripezie della vita hanno anteposto il voler raccontarsi, denudandosi orgogliosamente dei sentimenti più spinosi. Oggi ancor di più, per provare a staccarci dagli occhi quel velo di menefreghismo e a rianimarci da un torpore che pare irrimediabile.

Tracklist

01. In Amber
02. Brown Paper Bag
03. Raining On Your Pillow
04. Frog In Boiling Water
05. Everyone Out
06. Reflected
07. Somber The Drums
08. Little Birds
09. Soul-net
10. Fender On The Freeway

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