“Guarda, io sono più rock di te! Ma che vuoi, vedi?” disse con veemenza la ragazza, sulla trentina abbondante, agitando e stringendo con forza ed orgoglio, ops, scusate, con forza e sfrontatezza il collarino di ecopelle con borchie che le cingeva il collo.
È una scena realmente accaduta, che vede protagonisti la suddetta ragazza ed il sottoscritto alcuni anni fa. Rimasi interdetto, con un’espressione incredula e divertita. Siamo veramente più rock degli altri perché possediamo una borchia in più? Siamo veramente più rock degli altri perché ci piazziamo in transenna prima? No, non credo. Almeno, non è l’abito che fa il… rockettaro. Si, vestirsi in una certa maniera è un segno d’appartenenza ad un determinato gruppo sociale e musicale; si, piazzarsi prima di tutti gli altri in prima fila è segno di devozione verso un certo gruppo, se non addirittura verso un certo evento che celebra il proprio genere preferito, ma spesso, troppo spesso, ci si imbatte in veri e propri emblemi di mera apparenza. Sono coloro che un tempo venivano definiti poser, termine di cui negli anni si è abusato fin troppo.
Davvero possedere un giubbotto di pelle, ops, pardon, di ecopelle, con qualche borchia qua e là, ha il potere di definire il proprietario rock? No, decisamente no. Soprattutto se poi è lo stesso che, una volta sopportate ore ed ore di fila ai cancelli e dopo un’improbabile corsa verso le transenne, alla prima spintarella (non pogo, ma proprio fortuito incontro di spalle) si lamenta “perché voglio stare tranquillo”. Il borchiato e gli anfibi indossati non donano quell’aura di “santità rock” per cui ciò che fai tu è importante ed intoccabile, ed il resto no.
Essere rock non è solo avere anfibi con punta rinforzata, pantaloni di pelle e chiodo di pelle – ops, ecopelle –, ma è anche spirito di convivenza, di volersi divertire. Nei festival, nei concerti, essere rock è fare amicizia con perfetti estranei che per quelle poche ore saranno invece i tuoi commilitoni ed i tuoi amici più fedeli, sconosciuti ma uniti dalla stessa passione, che tu indossi una camicia a righe bianche e blu stile impiegato della banca od una t-shirt del tour del 1985 dei Motley Crue. Essere rock è essere contenti, fieri di ascoltare la propria musica preferita, accrescere il proprio sapere musicale ma non per forza ostentarlo. Troppe volte si assiste a “fan” di un determinato gruppo o di un determinato genere che ostentano chissà quali conoscenze, quando poi al minimo tentativo di approfondimento il loro sguardo si perde nel vuoto, alla ricerca di qualche appiglio. Oppure, presi dal panico interno e personale, iniziano ad inveire contro tutto e tutti, un po’ alla Totò, della serie “lei non sa chi sono io”.
Essere rock è anche essere aperti ad altre esperienze sonore, utile per la strategia “conosci il tuo nemico”, se non altro per ampliare la propria cultura musicale e poter avere davvero le basi per poi scindere cosa ci piace e cosa no, altrimenti è facile scadere nel “a me fa schifo Tizio e Tal Genere” solo per partito preso, solo per sentito dire, solo basandosi su stereotipi o frasi fatte.
Essere rock è anche conoscere i propri limiti: conoscere i singoli più famosi e cantarli a squarciagola è bello, bellissimo, scoprire i brani meno celebri è un’avventura che reca sempre tantissime sorprese affascinanti, permette di osservare altre angolazioni, altre sfumature che non si credevano possibili. Ostentare una infondata sicurezza, inveire contro colui a cui non piace l’attuale numero uno delle chart inglesi, e poi avere l’espressione da punto interrogativo vivente quando si ode per la prima volta il titolo di un b-side di cui tutti conoscono ogni parola, tranne te, non è rock. È essere spocchiosi, ed anche un po’ ridicoli.
Rock non è un giubbotto di pelle, non è il maggior numero di borchie possibili, non é un paio di anfibi, né un bicchiere di birra.
Rock è indossare un giubbotto dalla pelle graffiata e lacerata a furia di spintoni, abbracci e braccia tese in aria insieme ad altri giubbotti, camicie o t-shirt con una storia simile. Rock non è la borchia tirata a lucido, ma è quella graffiata, opaca, oppure semplicemente assente. Rock è l’anfibio ormai consumato dal tempo, che ha bevuto ettolitri di fango e birra, e che è ancora li, fedele, e chi se ne frega se non è tirato a lucido per il concerto dell’anno, anzi meglio così. Rock è il bicchiere di birra che incontra il vetro di un altro boccale ed improvvisamente ne diventa un altro, e poi un altro ancora, ma con l’implicito patto di esser un bicchiere di festa che offri e che ti viene offerto.
Rock è essere, sentirsi, viversi rock. Non basta un cinturino borchiato, né un chiodo di pelle, ops, ecopelle. Si può essere Rock anche indossando una camicia ed un normalissimo paio di Nike Air Jordan nere con dettagli rosso bordeaux mutuate dal proprio fratello maggiore. Delle volte è davvero sorprendente come sotto i vestiti che s’indossano si celino persone e personalità completamente diverse, nel bene e nel male.
Siate Rock. Non sembratelo soltanto.