Italians Do It Better
Uno speciale alla riscoperta di tre ottime band italiane poco note, dimenticate o compiante: per raccontare di quando gli italiani ci sanno davvero fare.


Articolo a cura di Federico Mainardi - Pubblicata in data: 28/12/14

Gli italiani lo fanno meglio... almeno, finché dura: alla regola cui purtroppo soggiace buona parte del made in Italy - perché di questo parliamo, naturalmente... - non si sottrae il metal nostrano. Sempre discussa e mai davvero decollata, la scena italiana conserva la memoria di band eccellenti che, prima di sparire, hanno suonato musica di notevole qualità. Eccone tre scelte, tra le moltissime degne di nota, in base al criterio della prossimità geografica e temporale. Per raccontare di quando gli italiani ci sanno davvero fare.

 

fiurachcover

FIURACH

"Chaospawner"
(1999,Scarlet, Thrash/Black Metal)


È esistito, nel varesotto, un negozio di dischi specializzato in metal (metal squisitamente anni ‘80, per la precisione), con uno studio di registrazione sotterraneo. Quando i suoi proprietari ventenni decisero di riformare la propria band, nel loro songwriting si condensarono le innumerevoli tipologie di metal (heavy, thrash, death, doom e seminale black) che ogni giorno inondavano gli ambienti da casse e amplificatori. Così, dalle ceneri degli Agarthi, nacquero i Fiurach, che debuttarono nel 1999 con il sofisticato concept "Chaospawner". Nel booklet si legge: "Infernal alliance with Kreator, Helstar, Nocturnus, Bathory, Candlemass, Forbidden, Tyrant, Celtic Frost, Coroner, Iced Earth, Dark Angel, Angel Witch, Manilla Road, Exumer, Death, Grotesque, Sacrifice, Sodom, Metal Church, Mercyful Fare, Black Sabbath". Ebbene, pensare di creare una sintesi decente di tante fonti eterogenee sembra ancora oggi follia, ma ai Fiurach l'impresa è riuscita. Pazienza se alcune pecche di registrazione penalizzano il risultato finale: "Chaospawner" riesce nella non comune impresa di rimescolare i disparati sottogeneri del metal ottantiano in modo originale, ottenendo dall'inedito mix un'epicità ed una maestosità che altri gruppi, semplicemente, si sognano. Voce alla Kreator, ritmiche attinte dal thrash, come pure i cori, ma anche cavalcate alla N.W.O.B.H.M., elementi desunti dalla scena estrema e tastiere a là Nocturnus. Tutto ciò tenuto insieme da una rara perizia in composizione e arrangiamento (soprattutto considerando che i "vecchi" Agarthi avevano realizzato un solo ep): la chiave di volta di "Chaospawner", infatti, sono le strutture articolate dei brani, che ben si prestano alle alchimie inter-genere (oggi i Fiurach rientrerebbero appieno nella categoria "prog"). Anche il concept, una storia cosmica di antagonismi finalizzati all'equilibrio degli opposti, non è privo di intelligenza. Purtroppo il punto di forza dei Fiurach, ovvero la massima varietà delle fonti, si rivelò anche la loro debolezza: dopo il debutto la band si sciolse per dissidi interni in merito alla direzione da seguire. Oggi due dei suoi membri sono, rispettivamente, leader dei DoomSword e dei Midryasi. "Chaospawner" resta un unicum, ingiustamente sconosciuto ai più.

 

winespiritcoverWINE SPIRIT
"Three Of A Kind"

(2008, CamaRecords, Hard Rock/Heavy Metal)

 

Era il 2008 quando usciva la terza fatica dei Wine Spirit, e sette anni erano passati dal roccioso esordio "Bombs Away": nel mezzo un altro disco, frutto di una scrittura fattasi più personale, innumerevoli show ed una partecipazione al Gods Of Metal 2002 in cui, ad un'ora antimeridiana, dei Wine Spirit evidentemente entusiasti del traguardo raggiunto avevano saputo mandare in visibilio le centinaia di persone assiepate sotto al palco. "L'anno prossimo, Wine Spirit headliner!", chiosava poi qualche fan durante un'intervista radiofonica della band. Una carriera promettente, insomma, per tre musicisti non giovanissimi, ben noti negli ambienti dei turnisti e sinceramente devoti al verbo dell'hard ‘n heavy: quello diretto, travolgente e senza fronzoli solo in apparenza, perché dietro ad ogni brano e specialmente nelle fenomenali improvvisazioni live stava, tangibile, una preparazione tecnica da far invidia. Eppure qualcosa, nel mezzo, andò storto: il gruppo dichiarò di non aver raggiunto gli obiettivi che si era prefissato e "Three Of A Kind" rimase la loro release finale. "Un bell'album che io avrei comprato", lo definì il batterista Nail in una delle ultime interviste... indizio, forse, che tra gli obiettivi suddetti c'erano anche ritorni economici più cospicui. Il testo di "Ink A Deal (Nothing Is Real)" d'altronde la dice lunga sul mondo del music-business nostrano, fatto di promesse non mantenute e operazioni al limite del raggiro. Stilisticamente è il lavoro meno immediato ma senz'altro più maturo del gruppo, basato su ritmiche toste, esuberanti e non convenzionali (qualità già emerse nel precedente "Fire In The Hole"), voci graffianti e assoli che immancabilmente strizzano l'occhio a Van Halen. Ciascun pezzo è un piccolo saggio di cosa sia il rock duro di qualità, in cui palpabili sono la passione, la precisione tecnica ed un equilibrio raro tra grinta e scrittura ben meditata. Quando i Wine Spirit arrestarono la loro attività, i fan si sentirono defraudati anzitutto della loro prestanza live; la loro eredità consta comunque di tre ottimi dischi di maturità crescente, e non è poco davvero. Nail si è anche distinto per il progetto Thunder Rising, con un certo Mark Boals (ex singer di Malmsteen) alla voce.

 

darkurecoverDARKFIRE
"DarkFire"

(2003, Sacred Metal, Power Metal)

 

Questa fu l'unica release per una giovane e talentuosa band che si ispirava in toto a Malmsteen. Le prime note dell'opener omonimo non lasciano adito a dubbi: "DarkFire" (registrato nel succitato studio di registrazione sotterraneo, il Conquest Studio, come pure il secondo Wine Spirit), è un lavoro di power metal marcatamente anni 90. Non mancano all'appello tutti i crismi del genere, vale a dire lunghi virtuosismi chitarristici di impronta neoclassica, tastiere in primo piano, bei cori ed una voce pulitissima e altissima (l'ottimo singer, già membro dei Time Machine, prima dei concerti si scaldava intonando "The Spirit Carries On" dei Dream Theater: non esattamente alla portata di tutti...). Soprattutto tanta melodia, frutto di un gusto compositivo magari convenzionale, ma certo già maturo e di ottima resa: tra accelerazioni, tirate e intermezzi lenti e sentimentali, impreziositi da struggenti performance vocali, l'album scivola via con un senso di perfetta scorrevolezza. Attraverso le nove tracce si dipana un concept ambientato dopo un'apocalisse dai toni fantasy, in cui i singoli musicisti, celati dietro pseudonimi della mitologia nordica, sono i protagonisti delle storie dei vari brani. I testi, talvolta ingenui e bizzarri ("Master Of Bulls" su tutti), costituiscono forse l'unico neo del disco, ma vale la pena ricordare che neanche il guru Malmsteen si è mai distinto per complessità lirica, privilegiando decisamente la perizia strumentale. Da questo punto di vista, "DarkFire" non sfigura: è un'esposizione di classe, mostrata ma non ostentata, di disinvoltura e di caparbietà. L'elaborata piacevolezza è il vero punto di forza di quest'album, e non importa se a suo tempo non si distinse come il più innovativo dell'anno. Ignoro quale sorte sia toccata ai musicisti, ma non mi stupirebbe ritrovarli impegnati in progetti di pregio. Quando c'è il talento, non è detto che non giunga un seguito...




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