"Blue" - Come colpire i nervi
Un viaggio nel viaggio, alla scoperta della pietra miliare di Joni Mitchell che compie cinquant'anni


Articolo a cura di Simone Zangarelli - Pubblicata in data: 22/06/21
Nel documentario del 2003 "Joni Mitchell: Woman of Heart and Mind", la cantautrice canadese parla della sua opera seminale "Blue" - diventato oggi uno splendido cinquantenne - come una "ricerca di onestà più profonda e più grande" che in passato, quel tipo di lavoro che fa scattare un interruttore nella testa. Uno sconvolgimento che "colpisce contro i nervi della vita delle persone", racconta, "e per farlo, devi colpire contro i nervi stessi della tua".


Poco prima di intraprendere il fondamentale viaggio intercontinentale che avrebbe ispirato gran parte del suo impareggiabile album, Joni Mitchell parla delle sue nonne. Una "era una poetessa e musicista frustrata, talmente tanto che ha preso a calci la porta della cucina scardinandola", ha ricordato Mitchell in quello stesso documentario del 2003. L'altra "pianse per l'ultima volta nella sua vita a 14 anni dietro un fienile perché voleva un pianoforte e disse: 'Asciugati gli occhi, stupida, non avrai mai un pianoforte.'"


"E ho pensato", prosegue l'artista, "forse sono io colei che ha il gene per farlo accadere per queste due donne". Se fosse rimasta nella sua fattoria di Saskatoon, Saskatchewan in Canada, probabilmente sarebbe finita come le sue nonne, e non poteva permetterselo. Joni, al secolo Roberta Joan Anderson, voleva tutto. E aveva troppa musica dentro per non farla suonare.


E così ha lasciato il conforto amorevole della sua vita domestica con il collega musicista Graham Nash nel quartiere di Laurel Canyon di Los Angeles, ha prenotato un biglietto aereo di sola andata all'estero e si è tuffata nel blu inesplorato - la malinconia cerulea della title track dell'album, il luccichio acquamarina di "Carey", il lapislazzulo ghiacciato di "River" - per tutto il tempo macchiandosi le mani con l'inchiostro indaco dell'osservazione poetica e dell'incessante autoesame, suonando per strada come una gitana, stringendo mani, baciando labbra, guardando il cielo.


"Blue" è la storia di una giovane donna irrequieta che mette in discussione tutto - amore, sesso, felicità, indipendenza, droga, l'America, idealismo, la maternità, il rock 'n' roll - accompagnata dai suoni senza tonica e idiosincratici che lei giustamente chiamava "accordi di inchiesta" (chords of inquiry), talmente assurdi da ispirare i Sonic Youth. Joni Mitchell ci racconta tutto ciò che è necessario sapere di un viaggio in Europa tra i "reietti e i soldati", come lei in cerca di un posto a cui appartenere, e altri espatriati controculturali in Spagna, Francia e Grecia nel tempo post-Woodstock. "Blue" è il diario di un viaggio di formazione, un viaggio fatto apposta per perdersi.


Con lei il fedele dulcimer, che ha imparato a suonare proprio nel ‘71 perché più portatile di una chitarra. È a questo strumento che affida l'apertura dell'album con "All I Want", il manifesto di una gioventù più libera che mai. Quella voglia di succhiare la vita come un frutto proibito, prendere tutto ciò che il mondo ha da offrire e dare in cambio voce e poesia, melodie e versi che rarefanno lo spazio tra i modelli tradizionali e l'avanguardia con una semplicità disarmante. Pochi strumenti, suonati quasi tutti da sola, a volte accompagnata da amici con cui condivideva il letto e il pianoforte, compagni nella vita e nella musica come se tra i due mondi non ci fossero confini. Joni Mitchell, il leggendario James Taylor e Stephen Stills hanno contribuito a costruire, insieme, il sound inarrivabile del disco caratterizzato da una coesione musicale senza paragoni.


Tutti i testi sono frutto del periodo europeo, tranne uno, "Little Green" scritto nel 1966 poco dopo aver firmato le carte per dare la figlia in adozione, quando la cantautrice aveva appena 22 anni. "Ero poverissima" racconta nel 1991 dopo che un ex compagno di stanza vendette la storia ai tabloid, "Una madre infelice non alleva un bambino felice. È stato difficile separarsi dalla bambina, ma ho dovuto lasciarla andare". Sapeva anche che la maternità sarebbe stata troppo difficile da bilanciare con la sua vita d'artista, raccontando nudamente la sua decisione nella straziante ballata priva di ogni retorica, criptica fino a quando non furono rivelati i retroscena. Ma il rovescio della medaglia di tale sofferenza è stato aver avuto modo di sperimentare ciò che risiede soltanto nei sogni di molte persone. Ha imparato cosa si prova a volare.


I suoi piedi raramente toccavano terra, una leggerezza simboleggiata dalla sua voce celestiale ("Alive, alive, I wanna get up and jive") raccontata con la sincerità di una bambina che in "Carey" si ubriaca insieme al suo compagno e sfascia i bicchieri a terra fantasticando sulla prossima tappa del suo viaggio, forse Amsterdam, forse Roma. Ma il contesto che circonda l'album è solo una preoccupazione superficiale che distrae dal raggiungimento della sua capacità di cantare la forza oceanica delle sue emozioni.


Non si accontentava del suo percorso Joni Mitchell, dalla vita ha sempre chiesto di più. A chi le chiedeva di rimanere rispondeva come in Carey: "So che è difficile lasciare questo posto, ma non è davvero casa mia". E come accade ogni volta che si è in viaggio, un pensiero vola verso casa dove la situazione non è tranquilla. Eppure in "California", l'unico luogo nel disco che ottiene l'appellativo "home", c'è la partenza e il ritorno: l'avventura con un greco, il volo per la Spagna, e il rock n roll. "Loro dicevano ‘Quanto puoi stare in giro con noi?' / Io risposi "una settimana, forse due / il tempo di abbronzarmi". La ruota della vita girava, e Joni Mitchell non aveva intenzione di arrestarla, ma al contrario di farla correre più veloce, sempre di più, fino a perdere il fiato.


Lo stesso è accaduto con Graham Nash, per il quale spende le parole più belle che una donna possa dire a un uomo in "River", ma dal quale sente di doversi separare. "Se stringi la sabbia in mano, ti scorrerà tra le dita." Scrisse Joni al chitarrista in un telegramma con cui segnava la fine della loro relazione. "Ha provato fortemente ad aiutarmi / mi ha messa a mio agio / Dio, mi ha amata così appassionatamente / mi faceva tremare le ginocchia", la verità, afferma in questa ballata, è che "Sono difficile da gestire / sono egoista e triste". D'altro canto come poteva sentirsi una canadese in una California senza neve il giorno di Natale?


Nel 1971 l'irrequietezza di Mitchell si manifestava in qualcosa di più dei suoi testi. Si sentiva confinata dall'acquario della celebrità - "Farò un sacco di soldi, poi lascerò questa scena folle" - ma anche dalle strutture formali della musica folk, una forma d'arte che stava iniziando a considerare anche lei semplicistica per i suoi talenti prismatici. "Blue" e il suo seguito, "For the Roses", segneranno l'ultima tappa di Mitchell prima della sua full immersion nel jazz, un tipo di musica che le ha permesso, più avanti nella sua carriera, la vera libertà che ha sempre desiderato. Parte del potere di "Blue", tuttavia, è che suona a disagio con il genere a cui appartiene, di transizione in ogni senso della parola - "solo un bozzolo oscuro prima che prenda le mie splendide ali e voli via", mentre canta in "The Last Time I Saw Richard".


A proposito di "Blue", David Crosby ha affermato: "Ricordo che la prima volta che l'ho sentito, mi è venuta voglia di lasciare l'attività e diventare un giardiniere. L'aspetto musicale è quello dove lei è di gran lunga superiore a Bob [Dylan]. Penso che Bob sia un poeta bravo quanto lei, forse. Sono entrambi poeti brillanti, ma lei è 10 volte il musicista e il cantante che era lui." (intervista per i 50 anni di "Blue", New York Times). La chiave di tutto risiede nell'incipit della title track: "Blue, songs are like tattoos". La musica usata come ago per toccare quei "nervi" scoperti dai quali parte il bisogno di raccontare, per imprimere indelebilmente il senso del proprio vissuto, cristallizzare una collezione di esperienze dentro e fuori di sé.


Ci sono due modi di ascoltare "Blue". Il primo è come un documento storico. Se si è bianchi, borghesi e liberali e, soprattutto, se lo spirito del movimento femminista ci ha toccati da vicino, allora "Blue" riassume la mentalità degli anni '70. Il perfetto disco hippie per quei giovani adulti con famiglie che volevano qualcosa di confortevole da ascoltare con i figli in auto. Ma a parte la sua rilevanza storica, lo si può vedere come una finestra privilegiata nella vita di una ventisettenne che impara a conoscere sé stessa e il mondo, che impara cosa significa soffrire, amare, e lasciare ma soprattutto che impara a sfiorare le stelle.




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