Ma la musica ha davvero bisogno di battere sul due?
Pensieri sparsi di un amante della musica dinnanzi al fenomeno di "X Factor"


Articolo a cura di Stefano Risso - Pubblicata in data: 24/11/10

“Perché la musica batte solo sul... due.”

Voglio partire da uno dei tormentoni storici coniati da Francesco Facchinetti per questa breve riflessione su una delle trasmissioni più popolari degli ultimi anni, "X Factor". Anzi, più che altro verrebbe da chiedermi se “la musica batte solo sul due?”, o meglio “la musica ha davvero bisogno di battere sul due?”. La risposta a quest'ultima domanda è forse ancor più raccapricciante: evidentemente sì!

Già, ormai le grosse case discografiche hanno perso la vocazione di andare a scoprire talenti, investire denaro su giovani di belle speranze e ovviamente rischiare in un campo tremendamente ostico come la musica, tanto meglio costruirci una bella trasmissione/circo attorno, far scegliere al pubblico e andare sul sicuro. Ne seguirà un disco che farà sicuramente successo, pompato ad arte da tutti media conniventi... insomma massima resa con minimo sforzo, fino a quando non arriverà la nuova stellina da sfruttare. A dire il vero non ci sarebbe nulla di male in questo, puro business, se non fosse per il numerosissimo pubblico che continua a bersi queste cose come se fossero state create per il loro diletto, se non fosse per l'assoluta mancanza di spirito critico che serpeggia nella fascia media dei consumatori di musica da molti anni a questa parte, per l'assoluta mancanza di “cultura” che fa erigere abili mestieranti a vecchi e nuovi eroi musicali/catodici. Un trend che purtroppo si sta diffondendo in tutte le manifestazioni artistiche, vogliamo ricordare ad esempio l'opera pionieristica riconosciuta in tutto il mondo di Dino De Laurentiis e i prodotti odierni del nipote Aurelio? Uno dei tanti esempi di come il genio, la creatività “made in Italy” sta ormai toccando punte miserabili, senza neppure vederne il fondo.

 

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Ma torniamo a "X Factor", di per sé un esperimento lodevole: portare la musica in tv (territorio in cui difficilmente attecchisce), dare la possibilità a giovani talenti di farsi conoscere, di esprimersi, con la possibilità anche di arricchire il pubblico, in un'opera di divulgazione musicale che non potrebbe fare altro che bene. E invece no, le dure leggi dell'Auditel parlano chiaro, bisogna fare uno show che sia il più seguito possibile, altrimenti si chiude baracca e burattini. Da qui, quello che sulla carta poteva essere un bell'esperimento, diventa niente altro che uno show in cui trionfa il gusto tutto italiano nel rendere mediocre e nazionalpopolare la stragrande maggioranza dei programmi televisivi. I cantanti vengono scelti ad hoc, tra casi umani e bizzarie varie gratuite (qualcuno ha detto Nevruz? Uno da secchiate di pomodori e basta), in modo da fidelizzare gli spettatori ciechi (o meglio sordi), selezionando ad arte quello che il pubblico si aspetta di vedere, il focus si concentra sulle dinamiche dei giudici, sui rapporti tra i concorrenti, passando per la tagliola del televoto, un metro di valutazione totalmente assurdo che non premia quasi mai la qualità (i casi degli ex “Amici” trionfatori di San Remo sono esempi recenti e lampanti). Le esibizioni dei cantanti sono solamente il punto finale di tutto un corollario di chiacchiere da bar che si protraggono per giorni interi, in trasmissioni di contorno popolate di veri e propri “morti di fama”. Salvo poi riprendere dopo i pochi minuti di esibizione.

xfactor_speciale_2010_04_01Un vero e proprio circo mediatico in cui si creano nuovi effimeri miti, pronti a cadere nell'oblio una volta che si spengono i riflettori... Qualcuno ha notizie dei primi trionfatori Aram Quartet (per altro già sciolti), di Matteo Becucci (secondo vincitore), delle “nuove icone rock” The Bastard Son Of Dioniso, delle Yavanna o di Giusy Ferreri, al di là di un paio di singoli di successo preconfezionati? L'unica eccezione Marco Mengoni conferma la regola. Sono davvero queste le “nuove stelle della musica italiana”, per riprendere le parole del pur simpatico Facchinetti, che pare abbia finalmente smesso i panni di cantantente/dj? Il grande paradosso, fare uno spettacolo in apparenza fatto e rifinito per il pubblico e per dare la fatidica “chance” a nuovi sconosciuti talenti, che non è altro un espediente inventato dal music business per sopravvivere, per fare profitti andando a botta sicura, sfruttando il popolino che non aspetta altro. Un modo in cui artisti non proprio sulla cresta dell'onda (per usare un eufemismo) o sull'orlo dell'oblio, mendicano una partecipazione a San Remo o qualche sprazzo di notorietà ricoprendo il ruolo di fantomatici giudici. Da uno ieratico Enrico Ruggeri, grande interprete ormai dirottato a conduttore, ad Anna "Lady Tata" Tatangelo, bella voce dallo stile ormai superato, dai giudizi costruiti all'inverosimile come il suo aspetto, passando per “Re Elio”, forte di una preparazione musicale sopra la media, ridotto a macchietta tra travestimenti e spot della Cinar. Infine i due personaggi più forti, la zia Mara Maionchi, ridanciana e lessicalmente disinibita, alla quale siamo debitori della scoperta di Tiziano Ferro (scusate se è poco), che il perfido Aldo Grasso del Corriere accostò a una “casalinga di Voghera, almeno secondo i canoni della telegenia”, e Morgan, al secolo Marco Castoldi. L'emblema di come un buon professionista, nemmeno tanto dotato (pessimo cantante, buon musicista), riesca a far breccia in un pubblico che probabilmente è all'oscuro dei veri grandi geni musicali, di musicisti dalla personalità e sensibilità spiccata e non solo personaggi che giocano a fare i maledetti. Giurati che, al di là di giudizi personali opinabili, si limitano a dire “mi sei piaciuto”, “non mi sei piaciuto”, “sei intonato”, “non sei intonato”, ecc... senza dare veramente dei pareri tecnici sulle esibizioni, svilendo così il proprio ruolo, asservendo alle regole dell'appiattimento generale, spesso facendosi guerra tra loro, diventando, caso strano, le vere attrazioni del talent show.

 

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Niente da salvare in sostanza, tra marionette, bei faccini attira ragazzine, casi umani, polemiche, esibizioni spesso deficitarie, falsi personaggi creati più dalla pochezza del pubblico che per meriti propri. Un'operazione in cui i protagonisti, ovvero i cantanti, entrano a far parte di un meccanismo pronto solo a "sfruttarli". Una formula di successo, che nonostante gli ascolti inferiori di questa quarta edizione, ha tutti i requisiti per continuare ancora a lungo, basta allestire un cast adeguato. Ah è vero ci sarebbe anche la musica, ma quella, si sa, viene sempre dopo.




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