Musica per Immagini, Immagini per la Musica
Galleria minima di ''rock design''


Articolo a cura di Giovanni Capponcelli - Pubblicata in data: 20/07/09

Introduzione

Esistono rari e fortunati casi in cui alcuni album risultano perfetti: dalla produzione, all’affiatamento tra i musicisti, dall’anno o addirittura dal mese dell’uscita, alla puntualità nell’intersecare i movimenti sociali e culturali di un certo spazio e di un certo tempo. Non ultimo elemento di questa virtuosa sciarada: il design e la copertina del disco. Perché ci fu un tempo in cui, a differenza di oggi, le copertine esistevano in carne ed ossa (o colla e cartone) ed erano anzi il primo elemento che il pubblico coglieva del nuovo lavoro dell’artista preferito. Le foto in chiaroscuro dei Rolling Stones, dei Beatles, sulle buste dei 45 o dei 33 giri, erano testimonianza tangibile della presenza dei musicisti tra i solchi neri del vinile. I glifi astratti sugli album di San Francisco di fine anni ’70, fino alle tavole “fumettistiche” e colorate che illustravano la New Wave of British Heavy Metal: perfette per sintetizzare e veicolare nell’istante di uno sguardo le coordinate di un intero movimento. La copertina, anzi, forse inconsciamente, è sempre stata per l’acquirente, un elemento fortemente distintivo  e discriminante per riconoscere e apprezzare un album. Alcune, dagli anni ’60 ad oggi, hanno attivamente contribuito alla storia e al mito stesso del rock: la banana dei Velvet Underground, la mucca dei Pink Floyd, la chitarra fracassata dei Clash.

Alcuni artisti, designer, illustratori, fotografi, si sono distinti in questo campo per un lavoro personale e fortemente “autoriale”, che pure è stato perfettamente complementare alla musica dei gruppi che si appoggiavano a quel design. Perché anche un logo può fare la differenza: è possibile pensare agli Stones senza “linguaccia” o agli AC-DC senza lampo, o agli Iron Maiden senza “Eddie”?

Del resto il tempo fa il suo corso, e l’arte di illustrare la musica è messa a dura prova sia dall’ormai incontrastato dominio del video rispetto all’immagine, sia, soprattutto, dal fatto che la musica sempre di più si venderà senza un supporto fisico, riducendo magari le vecchie copertine 31 X 31 cm in qualche piccolo avatar sullo schermo di un iPod. Ed è giusto così, perchè la novità tecnologica apre sempre la strada alla novità artistica e culturale. O almeno ce lo auguriamo…

Oltre ai lavori di alcuni geni isolati, metal, progressive e psichedelia sono i generi che più hanno beneficiato di artisti e designer illuminati, che ci hanno lasciato i migliori esempi di un’arte minore ma estremamente affascinante. Ripercorrere queste esperienze, in una “galleria minima” e inevitabilmente incompleta, potrà stuzzicare la fantasia o rinverdire la memoria dei tanti per cui la musica non sono solo 7 note, ma interi panorami iridescenti e orizzonti colorati del pensiero.

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Piccole Note Metodologiche

Data la vasta ed eterogenea mole delle opere è difficile identificare un unico parametro di “classificazione”; se alcuni generi iper-caratterizzati (Kraut-rock, black metal…) potrebbero essere vere e proprie categorie, e -perché no?- magari essere esplorati in futuro, una suddivisione per autore è di fatto l’unico criterio realmente oggettivo: ogni autore finisce  per identificarsi, oltre che con uno stile di disegno,  anche con un certo genere musicale, o un certo ambiente culturale, da cui questo criterio assume anche un forte valore artistico. La selezione delle opere deve rispondere di un doppia esigenza: quella di rappresentare nel miglior modo l’autore, ma anche quella di essere ben inquadrata in un contesto musicale riconoscibile e immediatamente riferibile ad una cifra stilistica e culturale precisa. Così le cover scelte di Roger Dean, oltre a valere di per sè stesse (come per tutti gli altri) rappresentano il movimento Progressive inglese dei ’70; quelle della Barckley-Bonaparte di Griffin e Mouse coincidono in buona parte con il genere psichedelico; tra le tavole di Mattews e Riggs si sono privilegiate quelle che meglio esprimono il senso della New Wave of British Heavy Metal.

Le ultime due sezioni “Rock Design” e “The Musical box”  sono pensate come contenitori aperti, in cui inserire, nella prima, quei capolavori che hanno superato gli autori stessi (molti conoscono la foto da copertina di London Calling o Abbey Road, pochi ne conoscono l’autore); nella seconda, tutto ciò che, attraverso manipolazioni e trasformazioni, ha superato la forma e l’utilizzo propri della copertina. Se all’interno delle varie sezioni l’ordine seguito è tendenzialmente cronologico, le 8 parti non sono inserite su una precisa linea temporale. Alla curiosità dei lettori seguire la trama, e riannodare i fili lungo lo spazio e il tempo di questi affascinanti ensemble.


Per quanto riguarda le fonti, è chiaro che una bibliografia verrebbe inevitabilmente a coincidere con la discografia selezionata; oltre alle didascalie di ogni singola immagine,  per ogni sezione sono forniti gli estremi di alcuni testi di riferimento. Appare altresì utile citare alcune opere di interesse generale:


- AA.VV. The Greatest Album Covers of All Time, Collins & Brown, 2008
- Michael Ochs, 1000 Record Covers, Taschen, 2005


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Sommario

1. Roger Dean: Progressive landscape negli oceani topografici
2. Rick Griffin e Stanley Mouse: Il rosso, il nero e lo scarabeo spaziale alla conquista di ‘Frisco
3. Rodney Matthews e Derek Riggs: British Heavy Metal  a colori
4. Don Van Vliet: Un pittore dietro l’armonica
5. Hipgnosis: la fotografia dell’impossibile
6. Neon Park: una via acida al surrealismo
7. Rock Design: opere in cerca d’autore
8. The Musical Box: lo spazio della musica



Immagini dell'articolo:

The Velvet Underground and Nico – Omonimo – 1967
The Beatles – Abbey Road –  1969
Grateful Dead – Aoxomoxoa – 1969
Faust – Faust – 1971
Yes – Fragile – 1972
The Clash – London Calling – 1979
Captain Beefheart & his Magic Band – Doc at the radar station - 1980
Radiohead – Hail to the Theif - 2003

fonte: internet




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