Le radici dell'immaginario metal: un doppio debito con l'Inghilterra
Duecento anni dopo la grande stagione del Romanticismo inglese, il fenomeno metal si appropria delle sue suggestioni


Articolo a cura di Federico Mainardi - Pubblicata in data: 03/04/13
Rolling Stones, Led Zeppelin, Black Sabbath, Deep Purple, Judas Priest, Iron Maiden… tanto per citare i soliti nomi, quelli imprescindibili, nomi di band smisurate che dal suolo britannico hanno dato il la ad un’autentica rivoluzione nel rock: senza l’Inghilterra, il versante più duro della musica odierna non sarebbe lo stesso. E fin qui è storia nota. Un po’ meno risaputo, invece, è il fatto che la maggior parte delle tematiche “mainstream” che popolano l’universo metal nascano sempre in terra inglese… ma più di duecento anni fa! Mi riferisco alla grande stagione del Romanticismo, il fenomeno culturale in cui prendono corpo tutte quelle suggestioni che finiranno per popolare l’odierno immaginario europeo, trovando espressione anche in musica: attrazione per le emozioni forti,  fascinazione per l’oscurità ed infatuazione per il medioevo in primis. A quale patito di metal questi temi non suonano familiari? Se alla Germania ottocentesca spettò il merito della diffusione delle idee romantiche, il primato della loro precoce formulazione, ancora nel Settecento, appartiene all’Inghilterra. Insomma il debito che ogni onesto metallaro dovrebbe nutrire per la terra della Regina è doppio: stilistico, certo, ma ancora prima (molto prima!) contenutistico. Cercherò di ripercorrere per sommi capi le tappe di questo debito.

castle_of_otrantoÈ la letteratura britannica che per prima si interessa alle storie cupe, storie soprannaturali, storie da brivido che raccontano eventi macabri e raccapriccianti, trovando tutto ciò dilettevole. Prima della pubblicazione di “Il Castello di Otranto” (1764) dell’eccentrico aristocratico Horace Walpole, la mentalità europea non conosceva ancora la grande fascinazione per l’oscurità, quel sentimento tutto romantico di terrore e al contempo vibrante piacere che, nel rock, è tornato in auge a partire dalla magistrale “Black Sabbath” (il resoconto dell’inquietante visita notturna di una figura dagli occhi fiammeggianti, che fissa e addita dal buio). Prima della rivoluzione romantica, le tenebre sono sì spaventose, ma non anche dilettevoli; dopo di essa l’incubo, l’oscuro, il perturbante entrano di forza nel gusto europeo. Senza Walpole, bisogna aggiungere, dall’altra parte dell’oceano non sarebbero esistiti il lugubre Edgar Allan Poe ed il visionario Howard Phillips Lovecraft, ed il metal avrebbe perso metà dei suoi abituali contenuti! Certo una rivoluzione nel gusto non nasce mai dal nulla: Walpole ha dei precursori… e anch’essi sono suoi compatrioti. Su tutti lo Shakespeare più crudo (quello del “Macbeth”) ed il Milton del “Paradiso Perduto”, altre fonti attinte a piene mani, basta pensare all’immagine di un Lucifero-Satana come libero ed energico oppositore di un Dio dogmatico: il black metal ne fa la sua bandiera, Milton per primo l’ha concepita, William Blake (inglese, sì) l’ha perfezionata. Nel 1821 Thomas De Quincey dà alle stampe “Confessioni di un oppiomane”: col successo di questo libro la cultura europea mette a punto una vera e propria “estetica del male” e scopre il peculiare fascino della morte incombente, del decadimento, della desolazione. I Celtic Frost sono forse tra gli interpreti più smaliziati di questo sentimento perturbante, che ha finito poi per pervadere tutto il movimento death metal nordeuropeo.

fonthill_abbeyE l’infatuazione per il medioevo? In terra britannica, per la prima volta, il medioevo non viene più pensato come una parentesi di involuzione della civiltà, ma come un serbatoio di fascino e valori da riscoprire. Dall’architettura neogotica del Settecento, alla pittura ottocentesca dei Preraffaelliti, popolata di dame e cavalieri, fino al mondo tolkieniano che reinventa i tratti medioevali coniugandoli con folklore ed elementi mitologici (qui ovviamente siamo già approdati nel pieno Novecento): dall’Inghilterra soffia costantemente il vento di una lunga fascinazione per il medioevo, destinata ad abitare in pianta stabile l’immaginario guerriero, più o meno fantastico, dell’epic metal. C’è anche la natura, quella cupa e selvaggia, ed è l’estetica settecentesca del giardino all’inglese a lasciarsi originariamente ammaliare dalla vegetazione selvaggia, abbandonata alla crescita spontanea: una natura buia e misteriosa, che l’inquieta fantasia romantica concepisce come teatro del manifestarsi di forze superiori. Quante band si sono fatte e si fanno fotografare nell’intrico di un bosco, o in mezzo alla natura selvaggia? La malia romantica evocata da tali scenari è tutta made in England.

Ma forse ciò che più di ogni altra cosa lega a filo doppio musica metal e romanticismo britannico è quel gusto per l’intensità, quel gradimento per le atmosfere ricche di pathos, ben lontane da quiete e compostezza, che penetra nella mentalità europea con un altro libro inglese, la “Ricerca filosofica sull’origine delle idee del sublime e del bello” di Edmund Burke (1757). L’irrefrenabile sprigionamento di emozioni forti, tratto saliente del metal, non è che uno dei proseguimenti spinti all’eccesso di quella sensibilità per i versanti estremi dell’esperienza e della fantasia che si impone col romanticismo inglese. Ovviamente ci sono mille altri aspetti del fenomeno metal non riconducibili al mio discorso: nella totalità delle sue forme esso è un genere indescrivibile e paradossale, tanto sfaccettato da spaziare dalla raffinatezza tecnica e concettuale ai parossismi più grotteschi; ciò nonostante, a tratti lascia emergere delle ascendenze culturali abbastanza evidenti, che radicano il suo universo immaginativo proprio sul suolo inglese. Non per caso, dunque, esso è stato la sua terra natia: per i motivi culturali che ho cercato di riassumere, credo che il metal non avrebbe potuto nascere altrove. Hail to England!


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