SpazioRock presenta: Back Catalogue #9
Con Arcangelo Accurso indaghiamo la scena rock inglese dei gloriosi anni '70


Articolo a cura di Arcangelo Accurso - Pubblicata in data: 03/09/12
BACK CATALOGUE #9: PETER HAMMILL

I Van Der Graaf Generator sono particolarmente legati al nostro Paese, perché è da noi che hanno riscosso già negli anni ’70 consensi e successo prima che in patria o altrove. La loro musica infatti, che la storiografia rock vuole sia inserita nella categoria del progressive, non è alla portata di tutti; raccoglie espressioni e linguaggi assai sofisticati e compositi che vanno dalla musica elettronica e contemporanea al jazz, esplorando sperimentalmente territori estetici anche estremi e per niente contigui alla natura spesso diretta delle armonie e melodie rock. In più, pur disponendo di un chitarrista, non si può certo dire che la chitarra sia stata al centro della loro esposizione musicale, anzi. È anche per questo che, negli intervalli di collaborazione che il gruppo ha avuto nel corso della sua attività, Peter Hammill ha sviluppato una considerevole carriera da solista, nella quale ha pubblicato una consistente quantità di lavori molto diversi fra di loro, alcuni dei quali hanno delle caratteristiche più marcatamente rivolte al rock e quindi meritano di essere messi opportunamente in luce in questa rubrica.

Hammill è un musicista certamente assai complesso ed evoluto, oltre che prolifico. La sua ecletticità si riflette anche nelle sue capacità di polistrumentista, che non si fermano alla chitarra o alle tastiere ma si spingono ben oltre ed arrivano soprattutto all’espressione vocale, che adopera senza restrizioni. La collaborazione col gruppo non ha minimamente influenzato la sua attività di ricerca e composizione (anzi, all’inizio le due cose praticamente coincidevano), e si può quindi guardare alla produzione totale di Hammill come ad un insieme complessivamente unitario, sebbene formato da episodi parecchio differenti fra loro. Infatti Hammill è un personaggio dotato di una genialità molto particolare che nella sua carriera, che professionalmente inizia attorno al 1966, ha attirato l’attenzione di personaggi come Robert Fripp, David Bowie e gli stessi Pink Floyd, sicuramente suggestionandoli in qualche misura.

backcatalogue9_peterhammill_02Dopo circa dieci anni di carriera e tanti dischi alle spalle Hammill nel 1977 pubblica “Over”; è uno dei suoi lavori più famosi e si ispira, come dice il titolo, ad una fine (amara, di un rapporto sentimentale). Ovviamente il lavoro contiene tutte le anime dell’autore, quindi trattandosi di un simile musicista non si può classificare in maniera univoca e nemmeno, visto il tema, si tratta di un disco che offre un’atmosfera gioiosa. Piuttosto la grandezza dell’album sta nel condensare la gran parte delle tendenze musicali generate dal rock dopo il suo periodo iniziale, sostanzialmente influenzato dalle sonorità blues; in più, grazie alle capacità creative di Hammill, si segnala come uno dei primi (e più convincenti) esempi di “art rock” di seconda generazione. Compiendo un balzo in avanti passiamo al 1981, quando l’artista arriva alla pubblicazione di “Sitting Targets”. Qui l’esposizione è più concisa e non necessariamente legata alla descrizione di una storia; anche il suono ha subìto una trasformazione ed è più diretto e ritmato, senza le costruzioni anche orchestrali di “Over”. È un album per certi versi più accessibile, pur mantenendo un livello molto alto di inventiva e di originalità nella costruzione musicale; sono presenti elementi punk e new-wave combinati ad echi di avanguardia, soluzioni ed accostamenti che probabilmente hanno influito sul lavoro di personaggi come David Byrne. Un album più orientato ad un uso della chiave rock è invece “Roaring Forties” del 1994. La sperimentazione è sempre presente, anche con episodi molto estesi, ma Hammill riprende anche temi ed impostazioni inspiegabilmente abbandonati da anni, riassumendoli e rivitalizzandoli in una collezione che forse avrebbe potuto essere stata pubblicata già nel 1974; come idea complessiva si può accostare a certe pagine scritte in passato dai Genesis, sebbene il suono sia molto diverso. Anche in questo caso Hammill offre la sua versione di quello che può essere un grande affresco rock, steso usando tutte le tonalità e le forme possibili ed orchestrandolo come pochi oltre a lui saprebbero fare.

Logicamente non si può pensare che Hammill sia un riferimento facilmente accessibile a tutti, è un musicista troppo colto e competente, che va affrontato per gradi; proprio per questo però va considerato attentamente. Intanto ci conferma che costruzioni molto complesse e sperimentali sono del tutto compatibili con l’espressione rock, spostando l’ispirazione su versanti artistici vicini all’avanguardia ma mantenendo ben presenti certi canoni tipici del genere; pertanto conferma che l’evoluzione rock per qualificarsi non deve essere necessariamente orientata al jazz ed alle sue forme di trasformazione. Inoltre Hammill, come ogni precursore, spostando così in là il limite del rock ha delineato un ambito, ha individuato un’area così ampia fra ciò che il rock è stato e quello che potrebbe essere, da obbligare bene o male chi suona a colmare questa distanza, palmo a palmo. Infatti in quest’enorme territorio inesplorato c’è sicuramente una quantità di rock ancora da scoprire. Perché è impossibile che il vero rock sia finito.


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