Fasano Jazz 2012: SpazioRock intervista Domenico De Mola
Abbiamo scambiato qualche battuta con lo storico direttore artistico del festival pugliese, giunto quest'anno alla sua quindicesima edizione


Articolo a cura di Daniele Carlucci - Pubblicata in data: 07/06/12

Nel 1998 nella città di Fasano, in provincia di Brindisi, si consuma la prima edizione di quello che oggi conosciamo come uno degli appuntamenti classici dell'estate italiana: il Fasano Jazz. Negli anni il prestigio del festival è cresciuto sempre più e, tra una soddisfazione e l'altra, il direttore artistico Domenico De Mola si ritrova a festeggiare il quindicesimo compleanno della kermesse.

 


Salve e benvenuto su SpazioRock, sono Daniele.  Il Fasano Jazz è arrivato alla quindicesima edizione, un traguardo davvero notevole. Quando tutto ebbe inizio nell’ormai lontano 1998, avrebbe mai immaginato di ritrovarsi 15 anni dopo ad aver costruito tutto ciò?


Certamente no! Non pensavo di raggiungere questo traguardo e, soprattutto, di avere a Fasano tutti gli artisti eccelsi che può vantare la rassegna, con qualche connubio artistico che mi onoro di aver assemblato.


Come ha preso forma la quindicesima edizione del festival?


In maniera embrionale era già stata pensata negli anni scorsi. Aver avuto, ad esempio, l’onore di ospitare un musicista sensibile come Fariselli ha condotto, inevitabilmente, a far riferimento agli Area, un gruppo che ho amato tantissimo ai tempi di Stratos, con la chicca della presenza di Maria Pia De Vito, una delle grandi voci del jazz italiano. Una bramata e più volte inseguita correlazione tra il rock e il jazz, con una spruzzata di progressive rock. La vera essenza dello spirito del festival.  


Il Fasano Jazz da sempre si spende per un fine nobile, battendo però un terreno particolarmente ricco di ostacoli in Italia. Quali difficoltà ha dovuto affrontare per fare del Fasano Jazz uno degli appuntamenti più importanti dell’estate nel nostro Paese?


Innanzi tutto, le difficoltà maggiori sono sempre state di ordine economico. Non è facile organizzare un tale evento, solamente con l’apporto di fondi messi a disposizione dall’Amministrazione Comunale della Città di Fasano. Comunque, avendo un rapporto diretto con la maggior parte degli artisti e dei manager, si può ovviare alle difficoltà economiche di cui parlavo, cercando di prediligere progetti mirati e non convenzionali, come sempre dimostra la rassegna.


Qui in Italia il jazz è un genere poco conosciuto e diffuso; troppo spesso mi capita di sentire persone che lo considerano solo come una “musica da sottofondo”. Dovrebbe passare il messaggio che il jazz va “ascoltato” e non solo “sentito”: esiste, a suo parere, un modo per arrivare a ciò?


Bisogna cercare di far avvicinare quanto più possibile il pubblico al jazz, pensando progetti di contaminazione e di scambio musicale che non snaturino il genere. E’ necessario guardare al passato, ad artisti come Miles Davis, ad esempio, che sono riusciti a catturare l’ascolto di fruitori di ogni genere musicale. Un esempio è quello fornito dal gruppo di Roberto Gatto “Progressivamente” che, in occasione della edizione dello scorso anno della rassegna, ha deliziato la variegata platea con un genere caro ai “progressisti” rivisitato in maniera sublime da jazzisti di alta classe come Bosso, Giammarco, Mannutza e la “voce” di John De Leo. Ancora un esempio del pensiero di “Fasano Jazz”.


Pensando alle edizioni passate, le viene in mente qualche aneddoto o qualche episodio particolare o divertente che vuole raccontarci?


Ne ricordo tantissimi. Mi vengono in mente le mirabili considerazioni sull’architettura del luogo da parte del grandissimo Bill Bruford, un vero gentleman inglese; oppure la affabilità di Brian Auger e della sua deliziosa figlia Savannah. La simpatia e la professionalità di Peter Erskine che, dopo tutto quello che ha prodotto durante la sua carriera, ha montato tranquillamente la sua batteria con perizia certosina, con un fare da roadie, senza mostrare alcuna altezzosità, al contrario di musicisti italiani abbastanza presuntuosi, senza averne i titoli (e senza fare nomi). Infine, ricordo la gentilezza di Steve Hackett, di Chad Wakerman, la grande simpatia di Boris Savoldelli (diventato un caro amico), Giovanni Tommaso e Stefano Bollani, oltre alla passione gastronomica che mi accomuna a Roberto Gatto, un batterista eccellente con un gusto per il buon cibo non comune (non un semplice mangione, ma un sopraffino degustatore). Ma potrei raccontare tanti altri aneddoti altrettanto interessanti e divertenti. Un’ultima considerazione a proposito di due musicisti che ho amato molto: Pip Pyle e Hugh Hopper. Purtroppo non ci sono più, ma mi resta il caro ricordo di aver trascorso con loro dei momenti indimenticabili.  


C’è qualche artista o qualche band che ancora non è riuscito a portare al Fasano Jazz che vorrebbe in modo particolare?


Nel campo prettamente jazzistico, mi è molto dispiaciuto di aver avuto la defezione di Paolo Fresu, annunciato in questa edizione del festival. Due anni fa ero in contatto con il management di Terry Bozzio, immenso drummer, ma ci furono dei problemi organizzativi. Non dispero per i prossimi anni, se tutto va bene, di averli a Fasano.


Come si è avvicinato al jazz? Cosa o chi ha fatto scattare la scintilla?


Come molti, sono partito dal “jazz-rock” degli anni settanta (Return To Forever, Mahavishnu Orchestra, Perigeo, Weather Report, Brand X). Ma la folgorazione l’ho avuta con Miles Davis (Ascensore per il patibolo, Kind Of Blue, Bitches Brew e In A Silent Way). Il seguito è scontato, perché dopo quegli ascolti il resto viene da sé.


Come mai ha scelto come location del festival proprio Fasano?


Perché è la mia città. Perché desideravo portare qui grandi interpreti della musica, artisti che andavo ad ascoltare facendo molti chilometri. Adesso posso ascoltarli in prima fila (spero non da solo). Perché si parli di Fasano con ammirazione e, perché no, un pizzico di sana invidia. Quanti perché !!!


Con le label che spingono sempre di più per promuovere i prodotti dei reality ed il concomitante taglio dei fondi alla musica (e all’arte in generale), come vede il futuro del settore nel nostro Paese?


La situazione non è certamente rosea. Molti festival sono stati cancellati oppure ridimensionati. Purtroppo lo slogan “più sicurezza, meno cultura” potrebbe essere un triste presagio. Spero non venga recepito nelle alte sfere della politica, di cui non desidero occuparmi.


Cosa vede nel futuro del Fasano Jazz? Con quali aspettative affronterà l’organizzazione della prossima edizione del festival?


Con lo spirito e le aspettative che mi hanno animato durante le 15 edizioni della rassegna. Con la consapevolezza che, se mi verrà ancora offerta la possibilità di occuparmi dell’organizzazione, si tratterà di un importante ed impegnativo, quanto assolutamente gratificante, compito.

Bene, è tutto, grazie per la disponibilità! Lascio a lei l’ultima parola per mandare un messaggio a tutti i lettori là fuori…

Chiudo con un pensiero, che ho manifestato ad Alex Carpani, tastierista validissimo di Bologna, con profondo dolore per i tragici avvenimenti che hanno toccato da vicino le popolazioni dell’Emilia Romagna. La musica può essere una importante medicina per alleviare le sofferenze e le amarezze interiori, a patto che non la si sbeffeggi o la si riduca a mero esibizionismo e gigioneria. Pertanto, buon ascolto ed un invito alla prossima edizione di Fasano Jazz. E’ una speranza ed una promessa di massimo impegno.


Un caro saluto da Domenico De Mola




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