SpazioRock presenta: Back Catalogue #6
Con Arcangelo Accurso indaghiamo la scena rock inglese dei gloriosi anni '70


Articolo a cura di Arcangelo Accurso - Pubblicata in data: 17/05/12
BACK CATALOGUE #6: WISHBONE ASH

L’abilità incosciente nel combinare le cose, elementi diversi e distanti, intuizioni apparentemente incompatibili; nasce per molti aspetti anche sotto questo segno la storia dei Wishbone Ash. Due musicisti di Torquay, sul mare ai confini della Cornovaglia, nel 1969 cercano un chitarrista per il loro gruppo e ne trovano due; il londinese Andy Powell e Ted Turner da Birmingham. Poi cercano un nome per la band e nell’indecisione ne tengono due, unendoli: Wishbone e Ash. Nel 1970 pubblicano il loro primo album, “Wishbone Ash”, e mettono insieme materiale tanto diverso che la prima facciata sembra non aver niente a che fare con la seconda. Ma ancora oggi c’è da restare colpiti di fronte a tanta visionaria immaginazione.

Il gruppo non è fra quelli misconosciuti del movimento rock britannico, anzi ha ottenuto un buon successo discografico e registrato tour seguitissimi, al punto da trasferirsi presto negli Stati Uniti. Ma forse è il caso di soffermarsi lo stesso a ripercorrere con attenzione il loro percorso, proprio perché il rapido spostamento in America e l’estrema instabilità della formazione, con conseguenti riunioni a distanza di molti anni, hanno contribuito inevitabilmente a confondere il pubblico, rendendo poco leggibile la loro cifra artistica; non senza ragioni, viste le successive cadute di qualità espressiva in forme di soft-rock decisamente dimenticabili. Quindi anche in questo caso, come spesso accade, l’essenza e la tipicità di una formazione va ricercata nel suo periodo iniziale, anche se è stato il cambiamento, continuo e costante, il segno distintivo del gruppo.

L’omonimo album d’esordio esce nel 1970 per la Decca (e contemporaneamente per la MCA negli USA) e disorienta ed affascina per la sua offerta: blues, folk, rock’n’roll, digressioni strumentali, cenni di psichedelia tutti insieme in un caleidoscopio a prima vista improponibile, suddiviso in due facciate che sembrano prese da due dischi differenti. Una personalità musicale contraddittoria, sdoppiata, triplicata anzi multipla, ben descritta da un brano emblematico come Handy, un contenitore eterogeneo straboccante di idee geniali, tutte valide e infilate a volontà, quasi improvvidamente, in un’unica esposizione. L’impeto di creatività prosegue l’anno successivo con la pubblicazione di “Pilgrimage”, dove i musicisti continuano a riversare senza freni il flusso di tutta la musica per loro possibile, sconfinando apertamente nel jazz e nell’improvvisazione per allontanarsene subito dopo, abbandonandosi a ballate acustiche e a brani strettamente rock, come in un’esaltazione irrefrenabile dominata solo dal desiderio incurante di comunicare, senza limiti e preoccupazioni.

wishbone_ash_speciale_2012_02Il picco di popolarità il gruppo lo raggiunge infine con “Argus”, nel 1972; un disco ottimo, molto conosciuto e di grande, immediato successo dove la band trova (sfortunatamente?) un’insospettata coerenza, una compiutezza ed unitarietà espressiva, incanalandosi più decisamente nella vena musicale dell’epoca su registri molto più vicini a quelli che siamo ormai abituati a definire “progressive”, come giungendo con sollievo ad un punto d’arrivo lungamente e forse inconsciamente ricercato. Il successivo “Wishbone Four” del 1973, pur contenendo ancora degli spunti molto apprezzabili, segna purtroppo l’approdo della band alla forma canzone; l’approccio quindi è già snaturato, subentrano delle regole rigide e il gioco si è come rotto, e fatalmente non può più essere aggiustato. Infatti Ted Turner lascia il gruppo, che invece vola negli Stati Uniti verso orizzonti molto invitanti ma musicalmente assai più poveri. La storia dei Wishbone Ash continua tuttora, con tutte le proprie anime, già contenute nei primi album, disperse però in un quadro a questo punto diventato inintelligibile.

Oggi, non solo riascoltando “Argus”, che è un album ormai entrato a pieno titolo nella storia del rock, ma soprattutto gli altri lavori precoci e irruenti della band, ci possiamo rendere conto bene della follia inconsapevole e sorprendente di musicisti che, poco più che ventenni, hanno saputo concepire costruzioni così fantasiose. Nell’epoca che viviamo dischi del genere non sono ammissibili, nemmeno immaginabili; non sono proponibili, non sono radiofonici, non sono classificabili, semplicemente non verrebbero considerati. Purtroppo sono stati i Wishbone Ash stessi a rinnegarsi, passando ad una produzione più confezionata, sconfessando la propria attitudine istintiva. Siamo costretti quindi a rifarci a quegli album originari, ben contenti che ci siano; ma l’obiettivo non deve essere quello della nostalgia o del semplice ricordo, quanto piuttosto quello di ritrovare quella magnifica confusione, quell’apparente noncuranza necessaria per sviluppare temi musicali abbandonati troppo presto e non ancora sufficientemente approfonditi. Ancora oggi i primi lavori dei Wishbone Ash sono una miniera intricata di spunti e percorsi musicali. La dimostrazione delle tante sembianze che il rock può assumere e far coesistere, per ritrovare quella libertà di esprimersi e di contaminarsi, di mettere assieme qualunque cosa, azzardando senza preoccuparsene.


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