SpazioRock presenta: Back Catalogue #2
Con Arcangelo Accurso indaghiamo la scena rock inglese dei gloriosi anni '70


Articolo a cura di Arcangelo Accurso - Pubblicata in data: 21/03/12
BACK CATALOGUE #2: ATOMIC ROOSTER

Sono vari i riferimenti culturali dove affondano le radici del movimento rock britannico; uno di questi, occorre ricordarlo, sta nella personalità di un individuo molto particolare e non troppo citato: Arthur Brown. La sua natura istrionica e teatrale di performer ha influenzato pesantemente l’immaginario di molti artisti che hanno preso ad esempio la sua maschera; fra tutti basti citare Peter Gabriel ed Alice Cooper. Ma musicalmente Brown ha contribuito fra gli altri a contagiare soprattutto un giovane tastierista alla fine degli anni ’60, che a sua volta avrebbe intrapreso un proprio cammino mettendosi a capo di un progetto assai degno di nota. Mi riferisco a Vincent Crane ed ai suoi Atomic Rooster.

Crane è un musicista solido, diplomato in composizione ma sfortunatamente afflitto da incipienti disturbi mentali, che purtroppo peggioreranno, condizioneranno la sua vita e saranno alla base della sua morte a soli 45 anni, nel 1989. Nel 1969 assieme a Carl Palmer (che presto si unirà a Emerson e Lake) abbandona la collaborazione con Brown e costituisce una rock band che intende mettere al centro della propria musicalità l’organo al posto della più convenzionale chitarra elettrica. Infatti è soprattutto con l’arrivo del chitarrista John Du Cann che nasce davvero il gruppo, almeno a livello discografico. L’omonimo album di debutto del 1970 fu pubblicato da una delle maggiori organizzazioni indipendenti inglesi dell’epoca (la Trojan Records) tramite una delle sue etichette, la B&C. Il lavoro risente pesantemente dell’impronta di Crane e della sua inclinazione alla narrativa teatrale; Du Cann non partecipò direttamente alla creazione dei brani, ma realizzò solo degli interventi successivi complementari in fase di registrazione, ecco perché spiccano soprattutto le interpretazioni degli altri musicisti, che fra l’altro prefigurano ampiamente il lavoro che Palmer affronterà di lì a poco nel più celebre trio. Non per questo il lavoro non è pieno di atmosfera, sorretto da strutture robustissime di cui Crane si fa carico con pieno successo; il gusto è a tratti beat, psichedelico o jazzistico e la cifra musicale delle esecuzioni è di qualità evidente. È pura musica, senza compromessi.

Ma è col secondo album, “Death Walks Behind You”, sempre del 1970, che la collaborazione fra Crane e Du Cann produce gli effetti creativi più caratteristici del gruppo, nonostante l’abbandono di Palmer. La band piazza addirittura un singolo in classifica, ma sono ben altri i brani ad impressionare maggiormente; la chitarra di Du Cann si inserisce perfettamente nel tessuto steso dall’organo di Crane, alzando il livello di incisività della musica e la tensione complessiva dei pezzi. L’impronta rock ora guida le costruzioni tipiche di Crane, orientandole ad una maggiore partecipazione nell’esposizione, ma mantenendo un ruolo di co-protagonista che si alterna a quello di Du Cann. Il brano che da il titolo all’album, “Sleeping For Years” e “Gershatzer” sono forse i migliori a rappresentare il grado di maturità raggiunto dal gruppo, che offre esecuzioni sfrenate, corali, potenti, senza respiro.

backcatalogue_puntata2_speciale_atomicrooster_02Il successivo “In Hearing Of Atomic Rooster”, pubblicato nel 1971, se possibile è ancora più completo, equilibrato, compiuto, consapevole, senza perdere nulla della tipicità del gruppo. Crane e Du Cann si tengono aderenti alla loro linea di descrizione, ma sono più concisi e diretti; arricchiscono le costruzioni musicali, smorzano certi impeti senza togliere corpo alle composizioni, arrotondano gli spigoli più taglienti ma non attenuano la forza di penetrazione del messaggio. I brani sanno offrire alternative più studiate, cambi di registro, ma come al solito scatenare rock senza esitazioni come in “Head In The Sky”, con Crane che si conferma non meno autorevole di altri grandi di sempre, come Jon Lord. Purtroppo i due non la pensarono allo stesso modo e, per tornare ad una vena più ruvida e spontanea, smantellarono il progetto andandosene ognuno per la propria strada; si riunirono nel 1980, sotto presupposti ed intendimenti musicali chiaramente del tutto diversi.

Nonostante la breve collaborazione gli Atomic Rooster sono un presidio storico del rock e sembra legittimo doverli segnalare come un riferimento di culto nel genere; c’è da domandarsi anche se e che peso possano avere avuto nella maturazione della coscienza musicale dell’epoca, rispetto ai lavori dei King Crimson o dei Pink Floyd ad esempio. Di loro colpiscono la qualità di interpretazione e la potenza espressiva, non sempre facili da ritrovare a questi livelli nella produzione complessiva rock; in più hanno dimostrato un grande coraggio, spingendosi ai limiti dell’esposizione, toccando tasti estremi senza essere prevedibili o superficiali. Con questi album, solo apparentemente incentrati su un’esecuzione istintiva, Crane e Du Cann dimostrano come il rock possa essere un genere dal valore musicale assoluto, al di là dei luoghi comuni spesso giustificati in materia; dimostrano che competenza, capacità di realizzazione e creatività possono produrre anche nel campo della musica non scritta opere di grande contenuto. Ai margini di quello che percepiamo come arte.


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