10 album alternative metal da non perdere
Una selezione di 10 album alternative metal pubblicati tra il 2010 e il 2020 imperdibili per i fan del genere


Articolo a cura di Dario Fabbri - Pubblicata in data: 18/04/20

 

DEFTONES-KOI NO YOKAN (2012)
 
 
Arrivati al settimo album in studio, un passo falso sarebbe risultato più che legittimo da parte dei Deftones, dopo sei dischi di altissimo livello. Ma anche in questo caso la band di Sacramento non solo non delude, ma offre ai fan uno dei migliori lavori della propria trentennale carriera. "Koi No Yokan" bilancia in maniera perfetta gli elementi più pesanti e quelli più raffinati del proprio sound, i riff di Stephen Carpenter sono potenti e devastanti e si intersecano perfettamente con le tastiere di Frank Delgado e l'incredibile voce di Chino Moreno, che alterna parti in pulito e parti in screaming con una disinvoltura da manuale. Anche se i Deftones non partono subito in quinta con "Swerve City" e "Romantic Dreams", già dalla successiva "Leathers" dimostrano ciò che sarà la tendenza generale del resto del disco: puro godimento per i fan e non solo. Una nota di merito conclusiva va dedicata, per forza di cose, a "Tempest" e a "Rosemary", le due punte di diamante che innalzano ulteriormente il valore di questo immenso "Koi No Yokan". 

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LINKIN PARK-THE HUNTING PARTY (2014)
 

Nel pieno del loro periodo più sperimentale, in cui è l'elettronica a caratterizzare per la maggiore la loro musica, i Linkin Park decidono di virare all'improvviso e pubblicare il loro album più pesante dai tempi di "Meteora" (2003). L'idea, ovviamente, è stata concepita dalla mente geniale di Mike Shinoda ed è stata portata avanti grazie anche a Brad Delson (alla chitarra) e Rob Bourdon (alla batteria), entrambi in grandissima forma, mentre non sorprende che l'arma in più del gruppo sia ancora una volta Chester Bennington, la cui voce risulta essere incendiaria per tutta la durata di "The Hunting Party". "No control, no surprises" ruggisce così Chester all'inizio dell'opener "Keys To The Kingdom", ed è un po' la filosofia di tutto il disco: pura potenza che fa fatica a essere domata, per poi sfociare nel mastodontico finale composto da "Final Masquerade" e da "A Line In The Sand", combo che riassume un'intera carriera in 10 minuti, durante i quali è naturale venire catapultati nel mondo incontrollato dei Linkin Park. Una prova di uno spessore considerevole, almeno tanto quanto il muro di chitarre di "Mark The Graves". 
 
 
 
CHEVELLE-THE NORTH CORRIDOR (2016)
 
 
Giunti all'ottavo album in studio, gli Chevelle dei fratelli Loeffler sono ben consci di non essere da meno a livello di tecnica rispetto ad altre band alternative metal, ma allo stesso tempo, di non aver riscosso lo stesso successo. "The North Corriodor" pare essere una risposta netta a questi sentimenti non troppo positivi, una vera e propria dimostrazione di forza e di rabbia. Un album che non bada affatto alle classifiche, ma che vuole comunicare un messaggio chiaro: gli Chevelle esistono ancora e sono più incazzati di prima, proponendo di fatto alcune delle canzoni più heavy della propria carriera, partendo dall'opener "Door To Door Cannibals" che è introdotta da un riff in pieno stile Pantera, passando per le devastanti "Last Days" e "Warhol's Showbiz". 44 minuti di adrenalina pura e debordante, con un'unica pausa rappresentata dalla calma malinconica di "Punchline". Provare per credere.
 
 
MASTODON-EMPEROR OF SAND (2017)
 
 
Tra i nomi che raramente hanno deluso in questi anni nel panorama alternative, trova sicuramente posto quello dei Mastodon. Con "Emperor Of Sand", questa tendenza viene confermata alla grande: infatti il disco raccoglie tutte quelle caratteristiche che hanno reso (e si spera renderanno) i Mastodon così dannatamente interessanti e variegati. "Emperor Of Sand" mette a nudo tutto ciò già partendo dalle prime due tracce: "Sultan's Curse" è un pezzo compatto, energico e complesso, in pieno stile Mastodon, mentre la seconda "Show Yourself" mostra il lato più catchy della band in maniera impeccabile, tenendo sempre alta l'asticella della qualità. Forse meno alternative, più progressive, ma ciò dopotutto conta relativamente poco davanti a questo prodotto di buonissima fattura. Brent Hinds e compagni sono promossi a pieni voti, per l'ennesima volta.
 
 
NOTHING MORE-THE STORIES WE TELL OURSELVES (2017)
 
 
Dopo il discreto omonimo album del 2014, i Nothing More di Jonny Hawkins tornano 3 anni più tardi con "The Stories We Tell Ourselves", un disco meno immediato e dirompente del precedente, ma che mette in luce nuovi elementi interessanti. Il filo conduttore è rappresentato dalle illusioni che l'essere umano si crea per convincersi delle idee più o meno fittizie a cui vuole aggrapparsi, un concetto dal quale nascono canzoni in puro stile alternative di ottima fattura, intervallate da numerosi intermezzi recitati dal filosofo Alan Watts. Esplosivi come d'abitudine in "Do You Really Want It", "Let'em Burn" e "Ripping Me Apart", romantici al punto giusto in "Still In Love" e "Just Say When", la band texana propone una formula mai prevedibile ed estremamente godibile, che li rende tra i nomi più interessanti tra le nuove proposte del loro genere. E la conclusiva "Fade In/Fade Out" è la grande conferma di quanto appena scritto.
 
 
PAPA ROACH-CROOKED TEETH (2017)
 
 
Se con alcuni dei precedenti dischi i Papa Roach non hanno esattamente brillato per ispirazione e fantasia, la band di Jacoby Shaddix inverte poderosamente la rotta nel 2017 con "Crooked Teeth". Ben consapevoli di poter offrire molto di più rispetto a "The Connection" (2012) e "F.E.A.R." (2015), il quartetto statunitense propone ora una ricetta innovativa, decidendo di mescolare le sonorità che hanno caratterizzato i due album già citati con quelle dell'iconico "Infest" (2000). E l'esperimento risulta essere alquanto riuscito: "Crooked Teeth" incorpora la violenza esplosiva delle origini e la rende più easy listening, quindi adatta ad un pubblico più ampio, tuttavia non perdendo di vista l'aspetto legato alla qualità. La title-track, l'energica "Traumatic" e l'azzeccatissimo singolo "Born For Greatness" rappresentano i risultati migliori di questo esperimento.
 
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FEVER 333-STRENGTH IN NUMB333RS (2019)

 

Potenza, ribellione e divertimento: potrebbe essere riassunto così "Strenght In Numb333rs", album d'esordio del trio statunitense Fever 333. Il nuovo gruppo del frontman Jason Aaoln Butler, prima di questo lavoro, aveva all'attivo solo l'EP "Made An America", con il quale aveva colpito gli amanti dell'alternative attraverso un'interessante miscela di rap, rock, testi intrisi di rabbia e protesta, il tutto condito con una buona dose di orecchiabilità e di freschezza dei suoni. Con "Strenght In Numb333rs", i tre musicisti statunitensi hanno confermato ciò che di buono è stato fatto con l'EP d'esordio e hanno portato avanti ulteriormente il discorso iniziato con esso. Inoltre, nonostante le affinità dimostrate con i gruppi più noti del genere (Rage Against The Machine e Papa Roach su tutti), il sound della band rimane ben definito e assolutamente distinguibile. Quello dei Fever333 si prospetta un futuro alquanto luminoso e rumoroso. Rumoroso senza ombra di dubbio.

 

 

SLIPKNOT-WE ARE NOT YOUR KIND (2019)

 

Rabbiosi e sperimentali: sono tornati in questo modo gli Slipknot, un po' come li avevamo lasciati ma ancora più maturi, con la stessa voglia di fare casino, certo, ma con gli occhi puntati anche su suoni mai provati prima. Forse non sarà heavy quanto lo erano i primi due album, ma l'ultimo "We Are Not Your Kind" ci offre due autentici capolavori dell'alternative metal come "A Liar's Funeral" e "Solway Firth", e non è cosa da poco. Un ritorno di fiamma, dopo un silenzio discografico durato ben 5 anni, questo è "We Are Not Your Kind", sesta fatica del gruppo mascherato capitanato dal carismatico Corey Taylor.

 

KORN-THE NOTHING (2019)

 

Un inno al dolore: è questo "The Nothing", il nuovo album dei Korn, il tredicesimo della loro carriera. Un album che rivela dei Korn che hanno deciso questa volta di azzardare un'uscita dai confini consolidati della loro "comfort zone", del loro sound tipico che li ha sbattuti sotto i riflettori già con il loro esordio nel 1994, quando si gridò al miracolo della nascita del nu-metal. Forse questo "The Nothing" non sarà un "miracolo" come l'omonimo album di debutto, ma ci rivela una band matura, mossa da quel dolore lancinante, da quel malessere simile a quello delle origini, che se non lo si butta fuori si rischia di rimanerne soffocati. Jonathan Davis e compagni partono da queste basi per sviluppare uno dei migliori album alternative dello scorso anno, un'opera assolutamente oscura, ma che difficilmente può lasciare indifferenti.

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LOATHE-I LET IT AND IT TOOK EVERYTHING (2020)
 

La carrellata si conclude con un gruppo decisamente meno popolare rispetto agli altri, ma non per questo meno valido. I Loathe, band molto vicina alle sonorità dei Deftones (e a tal proposito, Chino Moreno ha espresso un giudizio decisamente favorevole nei loro confronti) ma anche a quelle del metalcore e dello screamo, sono tornati con "I Let It And It Took Everything", pubblicato a inizio anno. Un album roboante, duro, ma anche capace di creare atmosfere da sogno, di catapultare chi ascolta in altre dimensioni. Le chitarre e la batteria risultano martellanti e accompagnano costantemente il frontman nei suoi scream, e in tutto questo si inseriscono quelle magnifiche atmosfere già citate in precedenza. La combo "New Faces In The Dark" e "Red Room" sintetizza perfettamente questo concetto, mentre "Aggressive Evolution" e "Broken Vision Rhythm" danno il via, in pieno stile Loathe, ad un disco a dir poco sorprendente.

 

 




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